ROSITI (Rosetti), Giovan Battista
ROSITI (Rosetti), Giovan Battista. – Allo stato degli studi, scarse appaiono le notizie sulla vicenda artistica di Rositi, e parimenti limitato risulta il catalogo delle sue opere; è invece ben documentata la sua vicenda biografica che, come attestava a suo tempo Carlo Grigioni (1899; 1928), sembra caratterizzarsi per i numerosi affari e gli interessi economici, più che per l’attività di pittore.
Il primo documento notarile che lo menziona è datato 1495, e proprio in relazione a questo si è ipotizzata una data di nascita a Forlì nel primo lustro degli anni Settanta del Quattrocento (Grigioni, 1928, p. 56); parimenti, se si escludono i dipinti firmati, la sua prima attestazione come maestro ricorre in un atto di Giacomo Maria Aspini del 15 marzo 1515 (p. 58). Seguono alcuni documenti dove si ricordano le sue generalità complete («Ioannes Baptista quondam Gasparis alias [dictus] el Graso de Rosettis de Forolivio», atti di Baldino dalle Selle, 15 febbraio 1513 ) e la sua professione di pittore, in una carta rogata il 27 febbraio 1515 sotto la loggia nel Palazzo pubblico di Forlì, nella quale è citato come testimone (Grigioni, 1928, p. 59).
Nella novantina di documenti che ricordano Rositi l’unico relativo alla professione artistica è datato 7 gennaio 1517: il pittore vantava un credito con il Capitolo della cattedrale di Forlì per cui qualche tempo prima aveva realizzato una tavola della Madonna del Fuoco.
L’opera non è mai stata rintracciata e, al di là dell’indiscussa importanza iconografica, «non doveva essere di grandi dimensioni né di particolare bellezza, se retribuita con sole venticinque lire. Si potrebbe supporre che abbia servito da sportello di una nicchia nella quale poteva essere contenuta la taumaturgica xilografia avanti la costruzione del dossale marmoreo di Giovanni Bianchi nel quale questa fu riposta nel 1535» (p. 57).
La sistematica documentazione dei decenni successivi denota la continuità della permanenza di Giovan Battista in patria ma anche una progressiva emarginazione dalla professione artistica, fino al testamento del 9 agosto 1545.
La data 1500 può essere letta nella sottoscrizione con firma del Trasporto della Casa di Loreto, una tela riportata su tavola realizzata per la chiesa di S. Maria dell’Orto a Velletri, poi spostata in S. Maria del Trivio nella stessa città, e oggi conservata presso il locale Museo diocesano. È una testimonianza importante dell’attività di Rositi, che si spostò nella cittadina laziale forse a seguito di un soggiorno a Roma, dove probabilmente operò nel solco dell’esperienza dei più celebri Melozzo da Forlì e Marco Palmezzano.
Le più recenti indagini sull’opera hanno messo in evidenza che la chiesa di S. Maria dell’Orto fu rifabbricata dai frati eremitani della Congregazione di Lombardia con il sostegno di Alessandro VI e il concorso del cardinale Giuliano della Rovere; il futuro Giulio II è una presenza interessante in questo contesto poiché membro della famiglia che patrocinò anche l’attività di Melozzo da Forlì nella basilica dei Ss. Apostoli (L’Occaso, 2005, p. 212). La tela giunse verosimilmente come elemento conclusivo della ricostruzione, e presenta la firma su di un cartiglio alla base della Santa Casa: «io. Baptista de Rositis de Forlivis pinxit 1500 de mense martii». Nonostante lo stato conservativo della pellicola pittorica sia assai compromesso, la critica ha evidenziato la qualità altalenante della pala: «a preziosismi di marca melozzesca e ascendenza urbinate (Giovanni Santi) si contrappongono forti incertezze prospettiche e compositive evidenti nel rapporto spaziale tra la Vergine, le colonne e gli angeli» (p. 212).
La genesi stilistica del pittore forlivese va rintracciata nella ‘brigada melozziana’: a giudicare dai summenzionati esiti pittorici, egli dovette formarsi a contatto con quel gruppo di insigni maestri nell’ultimo periodo di attività di Melozzo.
Analizzando il dipinto veliterno, oltre a Melozzo e a Palmezzano, si intravede una consentaneità di influenze con il Maestro dei Baldraccani (p. 212). Come questo importante interprete melozziano, Giovan Battista sembra possedere una miscela di stilemi provenienti non solo dalla cultura artistica romagnola, ma anche da quella urbinate-peruginesca – torna il nome di Giovanni Santi, ma parimenti alcune reminiscenze di Pedro Berruguete – e infine, aspetto dirimente in questa fase, egli subisce un chiaro ascendente dalla pittura romana dell’ultimo quarto del Quattrocento.
Nel primo quarto del XVI secolo la reiterazione formale dei modelli della tradizione pittorica forlivese dovette divenire l’aspetto caratteristico della produzione di Rositi, e in questa fase maggior rilevanza assunse la pittura di Palmezzano. Un esempio tangibile è costituito dall’unica altra tavola che, allo stato degli studi, compone il catalogo del pittore: la Vergine col Bambino, conservata al Museo cristiano (Keresztény Múzeum) di Strigonio (Esztergom) in Ungheria, che presenta la firma «Johannes Baptista de Rositis Foroliviensis pinxit. Theo toco 1507». L’opera fu correttamente identificata con quella della collezione del conte Savorelli di Forlì che transitò per Roma (Colasanti, 1910, p. 408), per essere infine acquistata dal primate ungherese János Simor.
Si trova in uno stato conservativo migliore della pala di Velletri e denota una certa maturazione stilistica del pittore: la fisionomia di Maria rimanda evidentemente a Palmezzano – si confronti per esempio con quella della Sacra Famiglia firmata e conservata a Baltimora al Walters Art Museum – mentre altri elementi della composizione, come il cuscino sotto il Bambino o il libro scorciato, proseguono una linea prospettica melozziana intrapresa anche dal Maestro dei Baldraccani; lo stesso può dirsi per la solidità anatomica del fanciullo.
In relazione alle lacune documentarie che vanno dal 1495 al 1508, e alla luce del dipinto veliterno e delle influenze stilistiche romane, è verosimile che Rositi fosse impegnato nel Lazio in quel torno di anni.
La lunghezza della sua carriera ha spinto la storiografia del passato a cimentarsi nel tentativo di attribuire al catalogo del pittore anche altri dipinti d’ambito romagnolo; tuttavia, con il progredire degli studi, queste opere sono state più propriamente ricondotte al catalogo di altri artisti.
Il caso forse più interessante è quello della tavola con la Madonna col Bambino della Pinacoteca civica presso i Musei di S. Domenico a Forlì; l’opera, venduta alla Pinacoteca dal libraio Bassetti nel 1844 (Ricci, 1911, p. 92), anche sulla base di una scritta posticcia sul retro dove si legge «De Rositis pict. Foro», venne tradizionalmente attribuita a Rositi.
Il dipinto, che ha suscitato diverse attribuzioni, non pare mostrare una sostanziale identità di mano né con la pala di Velletri né con la tavola della collezione ungherese (L’Occaso, 2005, p. 212), mentre sembrerebbe più corretto, come a suo tempo indicò Federico Zeri (1976, pp. 224 s.), leggervi una derivazione di qualità inferiore dall’opera di Giovan Battista Bertucci da Faenza di medesimo soggetto conservata al Walters Art Museum di Baltimora.
Lo stesso Zeri poté individuare sul mercato antiquario una tavola con l’Adorazione dei pastori, forse attribuibile a Rositi, di cui si sono perse le tracce. Nell’archivio fotografico della Fondazione Zeri di Bologna l’immagine di questa tavola si conserva in un fascicolo intitolato a Giovan Battista Rositi. Giovanni del Sega (scheda 59515).
Confrontando la foto con le sole due opere note dell’artista, sebbene emergano alcune divergenze – come le aureole a disco e l’influenza pierfranceschiana presente anche nella diroccata architettura –, le fisionomie delle figure, il modo di panneggiare metallico e duro e le chiare ascendenze spaziali riferibili alla pittura di Melozzo potrebbero caratterizzarsi come elementi riconducibili a una fase alta della produzione del pittore di Forlì.
Fonti e Bibl.: C. Grigioni, Documenti su Marco Palmezzano, pittore forlivese, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, II, 1899, p. 115 s.; A. Colasanti, Quadri italiani ignorati in una collezione ungherese, in Bollettino d’arte, IV (1910), pp. 407 s.; A. Tersenghi, Velletri e le sue contrade, Velletri 1910, p. 217; C. Ricci, Per la storia della pittura forlivese, in L’arte, IV (1911), pp. 81-92 (in partic. pp. 91 s.); C. Grigioni, Giovan Battista Rosetti da Forlì e una sua tavola della Madonna del Fuoco, in La Romagna, 1928, 1, pp. 58-65; R. Buscaroli, La pittura romagnola del Quattrocento, Faenza 1931, pp. 199, 211, 244, 248-251; U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, XXIX, Leipzig 1935, p. 50; Az Esztergomi Keresztény Mùzeum Képtàra, a cura di M. Boskovits - M. Mojzer - A. Mucsi, Budapest 1964, pp. 100-102; F. Zeri, Italian paintings in the Walters Art Gallery, I, Baltimore 1976, pp. 224 s.; La Pinacoteca civica di Forlì, a cura di G. Viroli, Forlì 1980, p. 50; F. Zeri, Schede romagnole. Il Maestro dei Baldraccani. Bernardino da Tossignano, in Paragone, XXXVII (1986), 441, pp. 22-26; A. Colombi Ferretti, La pittura in Romagna nel Cinquecento, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, a cura di G. Briganti, Milano 1988, pp. 278-287; M. Di Gregorio, in Museo diocesano di Velletri. Guida, a cura di R. Sansone, Milano 2000, pp. 83-86; R. Sansone, Il Museo diocesano di Velletri. Il nuovo allestimento, in Museo e territorio. Atti della III giornata di studi... 2003, a cura di M. Angle - A. Germano, Velletri 2004, pp. 49-55 (in partic. p. 55); S. L’Occaso, in Marco Palmezzano: Il Rinascimento nelle Romagne, a cura di A. Paolucci - L. Prati - S. Tumidei, Cinisello Balsamo 2005, pp. 212 s.; S. Tumidei, Studi sulla pittura in Emilia e in Romagna. Da Melozzo a Federico Zuccari 1987-2008, a cura di A.M. Ambrosini Massari et al., Trento 2011, pp. 133, 149, 169, 205, 210.