MARTELLI, Giovan Battista
– Nacque a Milano il 12 sett. 1780 da Cesare e da Maria Banfi, commercianti originari di Miasino sul lago d’Orta.
Nel 1802, mentre svolgeva gli studi di diritto e medicina presso l’Università di Pavia, il M., che aveva sottoscritto per primo una petizione studentesca per sollecitare l’inizio delle lezioni di eloquenza di V. Monti, conobbe personalmente il poeta; grazie all’intervento di questo – con una lettera inviata il 19 apr. 1802 al ministro dell’Interno – il M., ritenuto implicato nei disordini verificatisi qualche mese dopo nell’ateneo in occasione dell’avvio del corso, poté evitare ogni punizione. Da allora il M., che già manifestava spiccata attitudine per la letteratura, strinse con Monti una duratura amicizia, basata anche sulla condivisione di posizioni classiciste.
Di salute cagionevole e temperamento instabile, il M. poté giovarsi dell’incoraggiamento di Monti, come documentano alcune lettere di quest’ultimo, pubblicate per la prima volta nel 1874 nel periodico Il Baretti.
Terminati gli studi universitari, il M. risiedette alternativamente fra Milano, Miasino e Piacenza, ove aveva sede l’attività commerciale dei genitori. Laureato in giurisprudenza, esercitò la professione di avvocato solo come consulente e per breve tempo.
Intensificò invece il suo impegno negli studi letterari, suo reale interesse, intraprendendo una fervida attività di traduttore dalla lingua inglese. Nel tradurre da W. Collins le Odi descrittive ed allegoriche (Piacenza 1814) rivelò anche di essere in possesso di discrete qualità poetiche, riconosciutegli – fra gli altri – dalle Notizie biografiche e letterarie, in continuazione della Biblioteca modonese del cavalier abate Girolamo Tiraboschi (IV, Reggio [nell’Emilia] 1835, pp. 67-70: Sopra alcune odi di Collins tradotte dall’inglese nell’italiano).
Successivamente, il M. pubblicò la novella patetica in terzine Alminda e Sniveno (Milano 1818), rielaborazione dell’episodio di Ceice e Alcione tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, che egli finse di aver tradotto da un’opera inglese contemporanea, producendo un falso testo originale a fronte di quello italiano.
Benché fervente classicista, il M. tentò con tale espediente di avvicinare le due scuole, volendo dimostrare come motivi e toni attribuibili alla letteratura romantica potessero figurare anche in un brano poetico di stampo mitologico e classico.
Nel 1831 il M. portò a termine il suo lavoro più importante, pubblicando a Milano, con il titolo La vergine Una, la versione italiana della prima leggenda, in dodici canti (The legend of the knight of the red cross, or of holiness), del poema rinascimentale The faerie queene di E. Spenser.
Nella prefazione dell’opera, dedicata agli amici V. Monti e B. Mandello, entrambi scomparsi, il M. affermò di avere scelto questa parte del poema, oltre che per la sua compiutezza, per le sue connotazioni classiche. Data notizia delle difficoltà incontrate nella traduzione, si soffermò anche sulla necessità di adattare i nove versi della strofa spenseriana all’ottava rima italiana, operazione che richiedeva padronanza stilistica e soprattutto creatività poetica.
L’opera ottenne positivi riscontri. In una recensione, apparsa nella Biblioteca italiana (t. 61, marzo 1831, pp. 273-288), il M. fu elogiato per essere «riuscito con somma felicità in questa difficile impresa», laddove «era richiesto non solo una grande padronanza di stile, ma somma forza di fantasia e di gusto» (ibid., p. 284).
Negli anni che seguirono la scomparsa di Monti, il M., rimasto privo del suo appoggio e in una temperie culturale sempre meno incline al classicismo, vide scemare le opportunità di pubblicare i propri versi e dovette limitarsi prevalentemente a componimenti d’occasione per strenne e giornali.
Ne sono esempio un’ode a N. Paganini (in Censore dei teatri, 28 genn. 1835), poi confluita in Per l’inaugurazione del busto di N. Paganini (Genova 1835) insieme con versi di G.C. Di Negro, munifico mecenate genovese e suo amico; un brindisi a G. Rossini (in Strenna teatrale europea, 1840, pp. 253-256), nonché alcuni sonetti (in Il Pirata, 24 dic. 1839 e 10 marzo 1840).
Tuttavia il M., che dall’attività letteraria traeva sostentamento per sé e la sua famiglia, continuò a redigere giornalmente traduzioni dall’inglese per vari periodici, ricevendo il sostegno di alcuni amici introdotti nell’ambiente letterario. Fu apprezzato, tra gli altri, dal classicista T. Calepio (cfr. Lettera di Trussardo Calepio all’avvocato G.B. M. intorno alla novella di T. Grossi «Ulrico e Lida», Milano 1837, in cui, dopo un attacco alla novella romantica, il M. era fatto oggetto di un giudizio positivo sia come poeta sia come traduttore).
Successivamente il M. dette alle stampe Roderigo, o L’ultimo de’ Goti (Milano 1841), traduzione in versi sciolti del poema epico di R. Southey. Il M. fu favorito dall’amico F. Romani, che presentò la traduzione in anteprima in un articolo apparso nella Gazzetta piemontese, riportato dalla Gazzetta privilegiata di Milano (30 ott. 1840), ma ciò non fu sufficiente a mutare lo scarso interesse con cui l’opera fu accolta.
Negli ultimi anni, trascorsi in uno stato di prostrazione fisica e morale alleviata dalla presenza della moglie Giuseppa Savoini e dei quattro figli, il M. alternò alla permanenza milanese soggiorni estivi e autunnali a Miasino e Borgo Ticino. Si dedicò poi prevalentemente a lavori brevi, fra i quali alcuni sonetti per nozze (in Gazzetta privilegiata di Milano, 8 sett. 1843 e _ 23 febbr. 1844) e la poesia in quarantotto strofe La fortuna e il tempo (ibid., 23 febbr. 1844).
A seguito degli eventi del 1848 il M. lasciò definitivamente Milano per trasferirsi a Borgo Ticino, dove morì il 29 nov. 1850.
Fonti e Bibl.: V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, II, Firenze 1928, pp. 251, 258, 262, 276 s., 283, 289 s., 310 s., 313 s., 324, 351 s., 357 s., 360 s., 369, 377; III, ibid. 1929, pp. 6 s.; Il Baretti, 5 marzo 1874, pp. 78-80; 12 marzo 1874, p. 91; C. Ugoni, Della letteratura italiana nella seconda metà del sec. XVIII, IV, Milano 1857, p. 528; F. Calvi, Il poeta G.B. M. e la battaglia fra classici e romantici, in Arch. stor. lombardo, XV (1888), pp. 69-87; G. Mazzoni, L’Ottocento, Milano 1934, pp. 245 s., 394, 721; Diz. della letteratura italiana, a cura di E. Bonora, Milano 1977, I, p. 320; Catal. dei libri italiani dell’Ottocento, I, p. 714; IV, p. 2874.