MARSUZI, Giovan Battista
– Nacque a Roma il 10 genn. 1791 da Giacomo, giudice del tribunale del Campidoglio, e da Teresa Garbani (o Gortani), di origine svizzera.
Avviato agli studi letterari presso i gesuiti del Collegio romano, passò quattordicenne all’Archiginnasio della Sapienza per frequentare, sotto la guida di G.B. Dorascenzi, A. Ferracelli e G.B. Piccadori, i corsi di filosofia e giurisprudenza, che portò a termine nel 1808. Il M. manifestò ben presto attitudine alla poesia, distinguendosi, appena diciottenne, in gare d’improvvisazione con F. Pistrucci. Fervente classicista, in gioventù entrò in relazione con alcuni eruditi – fra cui F. De Romanis, P. Ruga, L. Biondi, D. De Crollis, F. Cecilia –, insieme con i quali pare abbia fondato, in casa di P. Odescalchi, «un’accademia ordinata a severi esercizi di classicismo e purismo» (Mazzoni, p. 820), in ossequio ai principali autori latini, nonché a Petrarca e Dante, del quale il M. fu appassionato studioso.
Pur coltivando gli studi letterari, il M. per ragioni economiche seguì la carriera nei pubblici uffici. Nominato, nel 1810, aiuto del procuratore imperiale nella Corte di giustizia criminale di Roma, fu poi promosso sostituto procuratore imperiale e regio nei tribunali di Foligno e Spoleto (1813), mantenendo l’incarico durante la dominazione napoleonica.
Restaurato il regime pontificio, nel 1816 entrò in qualità di minutante nella segreteria della congregazione Economica, ove fu benvoluto dal segretario, l’erudito mons. N.M. Nicolai. Grazie all’appoggio di quest’ultimo, per il quale nell’espletamento degli affari della congregazione compose alcuni scritti, poi pubblicati a nome di Nicolai, il M. riuscì ad affrontare le ristrettezze economiche dovute all’esaurimento del patrimonio familiare (che aveva condiviso con i suoi fratelli) e alla separazione dalla moglie Eleonora Stambrini.
La produzione poetica del M. ebbe inizio con due componimenti in terza rima, La visione di Canova (Roma 1817) e La partenza di Maria Stuarda da Parigi (ibid. 1822), rispettivamente ispirati al gruppo di Marte e Venere di A. Canova e a un dipinto di G. Landi. Questi componimenti furono apprezzati da entrambi gli artisti.
Il M. dovette la sua notorietà a quattro tragedie composte nel decennio 1818-28: Alcmeone (1818), La regina Giovanna (1821), Caracalla (1824) e Alfredo il grande (1828).
Alcmeone, di stile semplicissimo e di argomento greco, fu rappresentata nel 1818 al teatro Valle di Roma e data alle stampe successivamente (da G. Barbieri, in Nuova raccolta teatrale, XII, Milano 1822). La regina Giovanna (Roma 1821), di formale influenza alfieriana dati i toni cupi del linguaggio, è basata invece sulle vicende storiche della sovrana napoletana Giovanna I d’Angiò. Opera apprezzata ai suoi tempi, come attesta una recensione apparsa nell’Antologia (1823, t. 1, pp. 26-38), fu messa in scena solo nel 1834, quando l’attrice Carolina Internari Tafani la scelse per una serata in suo onore da celebrarsi al teatro Valle di Roma. Caracalla (Roma 1824), di stile grandioso, in linea con il rango dei personaggi, fu ritenuta dallo stesso M. superiore alle altre e venne effettivamente elogiata da letterati quali G. Capponi, G.B. Niccolini, P. Giordani, C. Troia e A. Poerio, nonché da A. Manzoni, al quale lo stesso M. l’aveva inviata ricevendone in cambio un esemplare dell’Adelchi. Rappresentata al teatro Valle di Roma nello stesso anno della pubblicazione, fu encomiata anche nella Biblioteca italiana (1825, vol. 37, pp. 177-182), ove venne paragonata al Polinice di V. Alfieri. Alfredo il grande (Roma 1828), essenziale e lirica nello stile, è ispirata alle vicende storiche del primo re del Wessex. Messa in scena al teatro dei Fiorentini di Napoli nel 1826 e oggetto di severe censure, fu accolta dalla critica meno favorevolmente rispetto alle precedenti tragedie del M., come nuovamente documenta un articolo apparso nell’Antologia (1829, t. 3, pp. 145-147).
Frutto di profonda conoscenza del teatro greco, queste tragedie in cinque atti, conformi alla legge dell’unità di luogo, tempo e azione, poggiano su una vicenda scarna e compatta, complicata e poi risolta dalle sole passioni. Eppure, nonostante l’impianto classico, il M. rivelò in esse una malcelata adesione ad alcuni motivi romantici, prediligendo i toni cupi e la materia storica, da lui considerata particolarmente efficace ai fini dell’effetto drammatico.
A seguito del riscontro ottenuto dai suoi lavori teatrali, il M. fu accolto nell’Accademia dell’Arcadia con il nome di Alceo Archemorio (1825), nella Tiberina (1827) e in quella di S. Luca, della quale fu socio onorario (1826).
Il M. entrò inoltre a far parte della Società di recitazione italiana (1827) e della Società filodrammatica di Firenze (1829), rispettivamente in qualità di socio onorario e corrispondente.
Negli anni Trenta, divenuto segretario generale dell’Azienda dei sali e tabacchi, il M., oltre a occuparsi di questo ramo della pubblica finanza, produsse scritti di argomento storico, giuridico ed economico, rimasti inediti. Continuò anche a coltivare la poesia pubblicando, fra l’altro Per l’esaltazione alla sacra porpora di mons. A. Tosti, canzone di influsso oraziano (Roma, probabilmente 1839); Per la morte di Rosa Bathurst (in Il Tiberino, 12 apr. 1841, p. 35), componimento ispirato dall’annegamento di una giovane inglese nel Tevere, un episodio di cronaca che aveva molto impressionato la società romana; Il colle di Narni (in L’Architetto girovago, II [1842], pp. 42-44), ode dedicata a un dipinto di M. Verstappen.
Trasferitosi ad Ancona con l’incarico di vice amministratore dell’Azienda dei sali e tabacchi nel circondario delle Marche, il M., ammalato, trascorse gli ultimi anni lontano da ogni studio e occupazione.
Il M. morì il 23 giugno 1849 a Roma, ove aveva da poco fatto ritorno.
Fonti e Bibl.: Revue encyclopédique, 1825, vol. 26, p. 788; M. Missirini, Sermoni, 3ª ed. con correzioni e aggiunte, Firenze 1832, pp. 22-24; D. Diamilla Muller, Biografie autografe ed inedite di illustri Italiani di questo secolo, Torino 1853, pp. 230-232; G. Cugnoni, G.B. M., in La Scuola romana, V (1886-87), 3, pp. 50-53; 4, pp. 69-74; 6, pp. 117-124; M. Paoli, Un poeta romano dimenticato. G.B. M., in Cronache della civiltà elleno-latina, III (1904), 11-14, pp. 202-221; Storia letteraria d’Italia. L’Ottocento, a cura di G. Mazzoni, Milano 1934, II, pp. 820 s.; Catal. dei libri italiani dell’Ottocento, IV, Milano 1991, p. 2872.