MANSO, Giovan Battista
Nacque nel 1569 a Napoli da Giulio e da Vittoria Pugliese. La data di nascita del 1561 è stata a lungo oggetto di controversie, definitivamente chiarite sulla base di un documento conservato nell'Archivio di Stato di Napoli (Manfredi, p. 237) e di quanto il M. stesso dichiara nell'Erocallia (Napoli 1628, p. 344): quando il padre morì, il 25 ag. 1569, lo lasciò che era "ancor nelle fasce involto". Inoltre, nella sua Enciclopedia, rimasta manoscritta, annota di avere reso omaggio a Sisto V nel 1585, quando non aveva ancora superato i 16 anni.
Il M. tentò di accreditare un'origine antichissima della sua famiglia. Nel testamento, oltre che in un memoriale del 1604 e nell'Erocallia (pp. 225 s.) fantasticò di un'origine romana, e Giulio Cesare Capaccio celebrò questa ascendenza ne Il forastiero (Napoli 1634, pp. 749-751). In realtà il M. proveniva da una famiglia del ceto medio, arrivata a occupare posti elevati nelle cariche civili nei primi anni del XVI secolo. Di certo, nella genealogia familiare, si risale al bisnonno Antonino, setaiolo della corte aragonese. Il nonno Giovan Battista fu avvocato, nel 1519 insegnò allo Studio di Napoli insieme con Scipione Capece e tra il 1537 e il 1556 ricoprì più volte la carica di eletto del Popolo; nel 1553 comperò il feudo di Bisaccia. Di Giulio, unico erede maschio, si ha notizia del matrimonio, nel 1562, con Vittoria, di famiglia nobile.
Dopo la morte prematura di Giulio la famiglia si trovò in ristrettezze economiche (fu venduto il feudo di Bisaccia, che poi il M. riuscì a riavere) e il M. fu allevato dalla nonna paterna Laura e dalla madre (nel 1586 nominata tutrice per le questioni patrimoniali). Non si sa nulla di preciso dei suoi studi, ma presumibilmente seguì la formazione normale di un giovane aristocratico, tra arti cavalleresche e studia humanitatis. Tra il 1585 e il 1587 sposò Costanza Belprato, figlia di Bernardino, secondo conte di Aversa, e di Virginia Orsini. Il patrimonio portato in dote contribuì notevolmente al riassesto economico, e un'abile attività finanziaria permise buoni investimenti in acquisti e mutui, cosicché le rendite del M. crebbero al punto di permettergli una gestione liberale della casa e di acquisire rapidamente fama di mecenate.
Da quando, nel 1547, il viceré Pedro de Toledo aveva chiuso le accademie in seguito ai tumulti contro l'Inquisizione, i patrizi napoletani avevano aperto le loro dimore alle adunanze letterarie. Nel 1586 fu fondata l'Accademia degli Svegliati, con a capo G.C. Cortese, segretario Tommaso Costo e tra i suoi membri G.B. Marino, Francesco Mauro, Paolo Regio, Ascanio Pignatelli, Ferrante Carafa e il Manso. L'Accademia ebbe vita breve: nel 1593 fu soppressa con decreto di Filippo II per il sospetto di congiurare contro lo Stato.
Nel 1588 il M. combatté al seguito di Carlo Loffredo contro i pirati turchi a Bari e a Otranto e il 20 giugno ricevette la nomina a capitano dal viceré Juan de Zúñiga. Allo stesso anno risale il primo contatto con Torquato Tasso, cui il nome del M. è rimasto saldamente legato. Il poeta arrivò a Napoli nei primi giorni d'aprile e si fermò nel monastero del Monte Oliveto, da dove scrisse diverse lettere al M. a Bisaccia. Non è accertato un possibile soggiorno di Tasso nel feudo del M. in questa occasione, mentre non ci sono dubbi sul loro incontro nel 1592, quando Tasso tornò a Napoli, ospite dapprima nel palazzo di Matteo Di Capua. Il M. fu tra i molti che porsero omaggio al poeta e ne divenne intimo amico: sorti dei dissapori con Di Capua, Tasso andò a risiedere nel palazzo del M., dove ultimò la revisione della Gerusalemme conquistata e iniziò la stesura del Mondo creato, forse sollecitato dalle conversazioni con la madre del Manso. Al 1592 è possibile far risalire la composizione del dialogo tassiano Il Manso, overo De l'amicizia (il M. è ricordato anche in alcuni versi della Gerusalemme conquistata e in alcune liriche). Le trattative per la stampa, di cui il M. si era assunto l'onere in collaborazione con Marino, si potrassero a lungo anche per la necessità di aggiunte da parte dell'autore. Ancora nel luglio 1594 Tasso ne scriveva al M. (Lettere, V, p. 178) e il dialogo uscì postumo, nel 1596.
Nell'attività del M. è evidente la volontà di inserirsi nel processo di appropriazione, da parte del circolo letterario napoletano, della figura, dell'esperienza e delle opere di Tasso, eletto a maestro di scrittura per tutta la generazione del primo Seicento. In questo percorso ebbe un ruolo centrale l'opera cui è legata la fama del M., la Vita di Torquato Tasso, che contribuì in maniera decisiva alla costruzione di una vera e propria mitografia tassiana.
La prima edizione, a Venezia nel 1621, per E. Zenchino, fu eseguita quando il M. era a Madrid e quindi non poté esercitare alcun controllo sulla stampa, che risulta piuttosto scorretta. Nel 1625 seguì una ristampa per lo stesso editore con modesti ritocchi e nel 1634 un'edizione romana (a cura di Gabriele Zinano e G.B. Tamantini) in cui Zinano, frequentatore dell'ambiente del M. a Napoli, intervenne sul testo con un restauro arbitrario e inaffidabile. Molte incertezze permangono sui tempi di composizione, visto che è considerata infondata la notizia, contenuta nella prefazione dell'edizione romana, secondo cui la stesura avrebbe avuto inizio già nel 1600 su mandato del cardinale Cinzio Passeri Aldobrandini, protettore di Tasso. È probabile, invece, che la composizione sia da circoscrivere tra il 1604 e il 1619. Nel 1604, infatti, uscì a Napoli, a firma di Giovanni Pietro D'Alessandro, una biografia di Tasso, molto scarsa e imprecisa, allegata alla sua Dimostrazione di luoghi tolti e imitati in più autori dal signor Torquato Tasso nel Goffredo, ovvero Gerusalemme liberata; mentre nel 1619 apparve un Compendio della vita di Torquato Tasso scritta da Gio. Battista Manso per le cure di Francesco De Pietri, giurista vicino al M., che attinse certamente dal manoscritto ultimato della Vita. Alcuni detrattori del M. hanno ritenuto che De Pietri fosse quasi un coautore della Vita; in realtà il Compendio ebbe una sua storia autonoma, anche se è probabile che De Pietri abbia contribuito alle citazioni giuridiche presenti nella Vita.
La Vita ebbe uno straordinario successo: fu subito utilizzata nelle edizioni di opere di Tasso, come le Rime, e nelle edizioni delle opere complete per tutto il Sette e Ottocento, sebbene raramente considerata fededegna. Il M. non inventa del tutto, ma accanto alle notizie che si procura anche rivolgendosi direttamente ad amici (Angelo Grillo) e parenti (Ercole Tasso) del poeta, egli sfrutta tutte le testimonianze letterarie a disposizione, anche quelle che già percorrevano la strada della mitizzazione: dalla Comparatione di Homero, Virgilio e Torquato di Paolo Beni (1607) al Tasso o vero il Farnetico savio di Alessandro Guarini (1610). Ne risulta un Tasso abile nell'arte della conversazione, arguto e brillante cortigiano, anche perfetto cavaliere, bravo nell'armeggiare, nel cavalcare, nel giostrare. Per quanto riguarda la questione più delicata, la malattia nervosa, il M. ne cerca le cause nell'ipocondria, in pagine che sembrano anticipare i futuri studi su umore malinconico e genio creativo. Circa gli amori, infine, il M. si sofferma lungamente sulla questione delle tre Leonore alla corte di Ferrara, delle quali solo una, Leonora d'Este, sorella del duca Alfonso II, è a suo avviso indiziata di essere la causa della carcerazione di Tasso nell'ospedale di S. Anna.
Assai stretto fu il rapporto del M. anche con G.B. Marino, del quale scrisse una biografia di cui non è rimasta traccia. Numerose invece le lettere scritte da Marino al M., che elargì la sua protezione al letterato in momenti difficili della sua vita: lo ospitò quando fu cacciato di casa dal padre, lo aiutò con sovvenzioni e anche quando ebbe guai con la giustizia (nel 1612, dal carcere di Torino, Marino gli scrisse per pregarlo di intercedere presso il duca Carlo Emanuele I di Savoia, che aveva ritenuto il poemetto La cuccagna offensivo della sua persona). Tra il 1593 e il 1594 le lettere riguardano invece scambi di letture, giudizi e correzioni di componimenti poetici, alcuni dei quali saranno compresi nella raccolta di rime del Manso. I due si incontrarono di nuovo a Parigi nel 1622 e Marino compose nell'occasione il sonetto Signor, ch'inteso ad alta gloria, e prima. Poco dopo il M. fu il regista del trionfale ritorno di Marino a Napoli. A pochi giorni dalla morte (15 marzo 1625) il poeta gli scrisse un'ultima lettera, che fu preposta all'Erocallia, e lo nominò suo erede ed esecutore testamentario; Cesare Chiaro, cognato di Marino, fece causa al M. perché lo considerava colpevole di aver trafugato i manoscritti a Marino moribondo. Il M. fece comunque traslare le spoglie di Marino nella cappella di S. Angelo a Foro, annessa al suo palazzo di residenza.
Nel frattempo il M. non aveva abbandonato gli impegni militari. Il 26 giugno 1595 il viceré Zúñiga nominò Carlo Loffredo commissario generale per le province di Terra di Lavoro, Principato Ultra e contado del Molise, perché provvedesse a estirpare il banditismo. Il contributo del M. fu significativo: andò anche a Roma per trattare con il papa e il cardinale Pietro Aldobrandini, ed ebbe i riconoscimenti di Enrique de Guzmán conte d'Olivares. Si distinse inoltre militando con il duca Carlo Emanuele I di Savoia nel 1597 nella guerra contro la Francia e, forse, nel conflitto con Ginevra. Svolse anche compiti diplomatici presso la corte spagnola. Nel 1597 fu a Madrid per occuparsi della riforma della quarta Rota da aggiungere al Sacro Regio Consiglio di Napoli e nel 1600 accompagnò il viceré Fernando Ruiz de Castro a Roma per il giubileo.
Nel 1601 fu tra i fondatori del Pio Monte della misericordia, un istituto di beneficenza ospedaliero, e nel 1608 istituì il Monte Manso per l'educazione di giovani patrizi che non avevano i mezzi economici per dedicarsi alla vita spirituale.
Questo suo interesse giungerà al progetto di un collegio per i migliori ingegni europei, che secondo Amabile (I, p. 362) fu pensato dal M. insieme con T. Campanella; certamente nel 1631 di questo disegno (il collegio Barberino) fu messo a conoscenza Urbano VIII, ma per l'opposizione del cardinal nipote Francesco Barberini e per i dubbi sull'ortodossia di Campanella non se ne fece nulla.
Nel 1605, dopo la morte di Clemente VIII, il M. si recò a Roma in occasione del conclave e nel 1607 fu coinvolto nel contenzioso tra il nuovo papa Paolo V Borghese e la Repubblica di Venezia.
Tornato in patria, pubblicò la Vita et miracoli di s. Patricia vergine sacra, con il compendio delle reliquie che si conservano nella chiesa del monasterio di detta santa in Napoli (Napoli 1611; ibid. 1619), parte di una produzione agiografica che dovette essere vasta, ma di cui non resta altro. Era nel frattempo divenuto punto di riferimento per molti letterati e intellettuali napoletani. Intorno al M. gravitavano G.B. Basile, T. Accetto, S. Errico, G.C. Capaccio, A. Pignatelli, P. Beni, M. Sarrocchi. Non fu difficile quindi trasformare questo privato sodalizio in una struttura accademica istituzionale, e il 3 maggio 1611 nacque l'Accademia degli Oziosi.
Con il nome accademico di Tardo e con il cielo di Saturno come impresa, il M. ne fu principe quasi ininterrottamente fino alla morte; segretario fu Francesco De Pietri e cantore ufficiale Giovan Pietro D'Alessandro, autore del poemetto Academiae Ociosorum libri III (Napoli 1613). Tra i partecipanti furono Marino, A. Grillo, G. Battista, G. Maia Materdona, G.B. Della Porta, A. Basso, G.V. Imperiali. Le riunioni si tennero dapprima nel chiostro di S. Maria delle Grazie presso S. Agnello e poi nel monastero di S. Domenico Maggiore. L'Accademia nacque sotto gli auspici e la protezione del viceré Pedro Fernández de Castro, intenzionato a esercitare un saldo controllo dell'istituzione, anche attraverso un severo rituale che tendeva a fondere potere politico e cultura. I contenuti delle lezioni dovevano essere stabiliti dal principe, ma per statuto dovevano evitare implicazioni teologiche e riguardanti il pubblico governo. Oltre che dalle leggi accademiche, la ricca produzione dell'Accademia è documentata in due manoscritti della Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., XIII.B.77 e XIII.C.82, cfr. Fulco, pp. 234 s.). Il ruolo del M. non fu puramente formale; egli partecipò attivamente al dibattito teorico intorno alla scrittura poetica e alla retorica, fu molto attento alle discussioni sull'uso della metafora e dei concetti; una vera e propria disputa testimoniano le lettere che gli inviò Giuseppe Battista (G. Battista, Le lettere a G.B. M., in Opere, a cura di G. Rizzo, Galatina 1991, pp. 453-462).
Il M. mostrò anche curiosità per il dibattito scientifico. Fu uno dei primi a sapere da Paolo Beni dei risultati delle ricerche di G. Galilei e fece da tramite con l'ambiente napoletano: tre lettere del 1610 nell'epistolario di Galilei discutono le nuove scoperte e riferiscono i dubbi circolanti a Napoli, soprattutto da parte di G.B. Della Porta. Nel 1620 il M. divenne anche socio dell'Accademia dei Dogliosi restaurata ad Avellino da Marino Caracciolo. L'anno seguente fu di nuovo impegnato a Madrid per una missione diplomatica, nel 1622 fu a Parigi alla corte di Luigi XIII, poi nelle Fiandre, dove si ammalò gravemente. Nello stesso anno Filippo IV di Spagna gli conferì il titolo di marchese di Villa Lago. In realtà, sin dal 1594 il M. aveva chiesto al governo spagnolo titoli e ricompense e nel 1604 aveva presentato un memoriale alla Camera della Sommaria (Manfredi, pp. 237-248).
Tra il 1624 e il 1630 una serie di lutti turbò profondamente la vita del M., che si fece più appartata: prima la madre, poi nel 1625 Marino, nel 1627 Luigi Di Capua, nel 1630 la moglie Costanza e gli amici Luigi Carafa e Marino Caracciolo.
Oltre che nella Vita e nella stesura degli argomenti dei dialoghi tassiani (nelle Prose di Torquato Tasso con gli argomenti di Gio. Battista Manso marchese della Villa…, Napoli 1643), il culto del M. per Tasso si rivela nella scelta del poeta come interlocutore fisso in altre due opere, entrambe in forma dialogica: I paradossi o vero Dell'amore (Milano 1608) e l'Erocallia, overo Dell'amore e della bellezza, dialoghi XII, con gli argomenti a ciascun dialogo del cavalier Marino. Et nel fine un Trattato del dialogo dell'istesso autore (Venezia 1628).
Negli anni successivi il M. ripudiò la pubblicazione milanese dei Paradossi perché, a suo dire, avvenuta senza il suo consenso, negato a un'opera giudicata troppo acerba. In realtà, il dialogo giovanile confluì quasi immutato nell'Erocallia, che ne è un ampliamento. Dedicata al re di Spagna Filippo IV, l'Erocallia è un testo di proporzioni monumentali che però non va oltre una fitta catalogazione di ogni argomento riguardante i due temi trattati, l'amore e la bellezza, con il risultato di una ricerca ossessiva di completezza, senza una vera rielaborazione dei dati. Rigorosa è la partizione dell'opera, divisa in tre "quaderni", di cui ciascuno comprende quattro dialoghi, secondo uno schema di corrispondenze "proporzionate". Il trattato Del dialogo apposto in calce, anch'esso in forma dialogica e con Tasso come interlocutore, consacra l'attenzione del M. per questo versante dell'opera tassiana.
La composizione delle Poesie comiche di Gio. Battista Manso… divise in Rime amorose, sacre e morali (Venezia 1635) risale, almeno in buona parte, a partire dalla fine del Cinquecento.
Anche qui emerge una particolare attenzione alla struttura. Ognuna delle tre sezioni in cui è divisa la raccolta è ulteriormente tripartita (per esempio, le rime amorose sono divise in amore sensuale, umano e divino) e le singole rime sono disposte secondo un ordine che segue un crescendo tematico sempre ritmato in forma ternaria. Una Dichiarazione degli argomenti e un Partimento illustrano i rapporti tra i singoli componimenti e la struttura generale. Quella del M. è una poesia moraleggiante, che evidenzia, soprattutto nelle tematiche elegiache, un perdurare del modello petrarchista. Al più il M. si fa tentare da qualche paragone ingegnoso o da motivi meno tradizionali, come quello della solfatara di Pozzuoli (Nuda erma valle, ai cui taciti orrori), che ebbe una certa fortuna nella lirica barocca. All'interno della raccolta anche un poemetto in ottave La Fenice (pp. 242-252), traduzione della Phoenix di Claudiano, e un'ampia sezione (pp. 253-333) di Poesie di diversi a G.B. M., comprendente circa novanta autori (anche se di alcuni componimenti è stata dimostrata la non autenticità), che testimonia il prestigio raggiunto, oltre alla capacità di sfruttare a pieno le finalità celebrative e promozionali dei testi poetici.
Scarse le notizie sugli ultimi anni, a parte l'evento che dette al M. rinomanza europea: nel 1638 John Milton nel suo viaggio in Italia fu ospite dell'Accademia degli Oziosi e strinse amicizia con il M., che gli fece conoscere le opere di Tasso e di Marino, tra le quali sicuramente dovevano figurare il Mondo creato e la Strage degli innocenti, che influenzarono la composizione del Paradise lost. In onore del M., Milton compose una delle sue Sylvae latine più belle, intitolata appunto Mansus.
Il M. morì a Napoli nel 1645.
Nel suo lungo testamento dettato il 28 nov. 1638, con l'aggiunta di un codicillo dell'8 sett. 1645, diede disposizioni molto scrupolose per l'Accademia degli Oziosi, che dopo la sua morte avrebbe dovuto avere l'assistenza dei governatori del Monte, i padri gesuiti, per le riunioni da tenere in una stanza del suo palazzo e per il libero accesso dei soci alla sua biblioteca. Ma già nel 1646 nacquero dispute e i gesuiti si appellarono al viceré perché impedisse le riunioni. L'Accademia continuò la sua attività fino ai primi del Settecento, ma dopo la morte del M. e dei suoi più rappresentativi esponenti il declino fu inevitabile.
Del lunghissimo elenco dei manoscritti che il M., nel testamento, lasciò alle cure dei suoi amici letterati il più importante è quello dell'Enciclopedia, conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., XIII.F.63). L'opera, anche se incompleta, svela un progetto molto ambizioso, imperniato su una ideazione mnemotecnica, analoga a molti tentativi cinque-secenteschi di ordinamento del sapere. Erano previsti dieci libri: il primo, introduttivo, sul principio, la successione e la divisione della filosofia, poi logica, retorica, poetica, metafisica, fisica, matematica, etica, economica, politica. Furono realizzati soltanto i primi tre e parte del quarto. La materia è trattata anche in questo caso secondo una struttura tripartita, perché, spiega il M., tre sono gli strumenti del sapere, e cioè divisione, definizione e dimostrazione, corrispondenti alle triadi di materia, di forma e di composto.
Unica opera del M. edita modernamente è la biografia di Tasso: Venezia 1825; nel vol. XXXIII delle Opere di T. Tasso a cura di G. Rosini (Pisa 1832, pp. 103-272) e a cura di B. Basile, Roma 1995. Il Compendio è pubblicato in Autobiografie e vite de' maggiori scrittori italiani fino al secolo decimottavo narrate da contemporanei, a cura di A. Solerti, Milano 1903, pp. 383-413. Alcune rime sono incluse in raccolte antologiche di poesia secentesca: Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1910, pp. 33-35; Poesia del Seicento, a cura di C. Muscetta - P.P. Ferrante, I, Torino 1964, pp. 737 s.; G. Ferroni - A. Quondam, La "locuzione artificiosa". Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell'età del manierismo, Roma 1973, pp. 423-426; Poesia italiana del Seicento, a cura di L. Felici, Milano 1978, pp. 151-153; Lirici marinisti, a cura di G. Getto, Milano 1990, pp. 303-305.
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