LUCINI, Giovan Battista
Nacque a Vaiano Cremasco il 9 luglio 1639, ultimogenito di Gerolamo e di Laura Fogarola. Il padre, discendente di nobile famiglia, ebbe una buona posizione sociale: nel 1626 venne eletto nel Consiglio nobiliare di Crema, città dove la famiglia dimorava, e nel 1634 fu tra i soci dell'Accademia dei Sospinti. Gerolamo però morì nel 1645, quando il L. aveva solo sei anni, lasciando presumibilmente la famiglia in condizioni economiche precarie. Non si hanno altre notizie del L. fino al 1663, anno in cui entrò a far parte del Consiglio cittadino e risulta essere residente in casa del fratello Carlo.
Alpini, il maggior studioso dell'opera del L., ipotizza che nel frattempo egli fosse stato a bottega presso G.B. Botticchio, l'artista più importante di Crema dopo la scomparsa di G.G. Barbello nel 1656: questa fase di formazione dovrebbe aver avuto forzatamente termine nel 1666, anno della morte di Botticchio. La conferma di un alunnato presso Botticchio la si avrebbe in due opere che presentano caratteri sia di questo sia del L., e che pertanto risultano di difficile attribuzione: l'Annunciazione dell'ospedale vecchio di Crema e i Ss. Domenico e Caterina da Siena nella parrocchiale di Vaiano Cremasco. Ma Alpini (1987) propone anche, per spiegare certe componenti della pittura del L., alcuni viaggi, innanzitutto nella vicina Milano, e poi a Genova e Venezia, che andrebbero collocati in questo torno di anni. Nella formazione del L. deve poi aver influito la presenza, plausibile nelle collezioni delle casate nobiliari cremasche, di opere di piccolo formato degli artisti allora in voga.
La più antica opera certa del L., il S. Francesco di Sales in S. Giacomo a Crema, firmata e datata "MDCLX" (ma con la probabile caduta di un "X", come riporta Ronna, perché il santo venne canonizzato solo nel 1665), mostra infatti tratti affini a quelle dei cosiddetti "tenebrosi", innanzitutto di G.B. Langetti; l'opera peraltro è costruita con pochi elementi e con una grande attenzione verso la prospettiva, arte in cui le fonti antiche definiscono il L. "intendentissimo" (Rosaglio), anche se è stato notato che questo riguardo non include la figura del santo, presentata in maniera più aderente al modello devozionale (Gregori, 1997). Sempre a questa prima fase apparterrebbero la S. Rosa da Lima (Crema, S. Bernardino), databile secondo Alpini (1987) al 1671 e molto vicina ai modi di Botticchio, quadro in cui la figura è ottenuta attraverso il chiaroscuro che ne modella i tratti a tal punto da renderla quasi scultorea; e altre opere dai toni scuri quali il S. Francesco d'Assisi e il S. Antonio da Padova del seminario di Crema, il Ritratto di Domitilla Scotti (Crema, palazzo municipale) eseguito dopo il matrimonio con Gerolamo Benvenuti celebrato nel 1660, la Madonna con Caterina degli Uberti (proprietà privata), sul cui telaio compare la data 1674, la S. Lucia e la S. Caterina d'Alessandria del Museo civico di Crema (tutt'e due più tradizionali) e, ancora, la Morte di s. Giuseppe (collezione privata), prima opera di rilievo dell'artista.
Già nell'oratorio Ghisetti Giavarina di Ricengo, la Morte di s. Giuseppe si inserisce in un filone caro alla tradizione lombarda di primo Seicento, come testimonia la tela di analogo soggetto di G.C. Procaccini in S. Giuseppe a Milano; ma non mancano anche in ambito ligure numerose versioni di questo tema. La scelta compositiva è però originale nel porre la scena come oltre una soglia, nell'uso dello scorcio e nella cromia che privilegia colori accesi dati in ampie campiture. Inoltre, nell'opera si nota una maggiore attenzione all'unificazione prospettica e i volti sembrano derivare da studi dal vero (Gregori, 1997).
Seguono una Danza di Salomè (collezione privata), che rivisita la tradizione locale, in particolare le opere di T. Pombioli, ma pure rievoca la vena narrativa di Barbello; una Madonna del Carmine della parrocchiale di Zappello, la cui principale novità è costituita da un originale fondo giallo dorato; e il Padre Eterno della sagrestia della chiesa di S. Benedetto a Crema, che rivela la conoscenza dell'analogo dipinto di C. Boccaccino (C. Boccacci) conservato presso la Pinacoteca di Cremona.
Un altro lavoro importante, nonché uno dei capisaldi nella definizione del percorso dell'artista, è la pala raffigurante la Liberazione di s. Pietro dal carcere (Crema, S. Bernardino, altare di S. Pietro), databile al 1675, anno in cui la fraglia dei mercanti la commissionò al pittore per l'altare a loro appena assegnato.
Si tratta di un'opera in cui l'aderenza ancora presente ai modi tenebrosi si accompagna a un'accentuazione della resa del reale che prelude alle ricerche lombarde di G.A. Ceruti o di G.A. Petrini. In questo lavoro il L. sembra registrare la presenza di A. Pozzo in Lombardia, in particolare nella vicina Romano, dove lasciò, nel 1673, una Disputa di Gesù al tempio, la cui impostazione influenzò il quadro del Lucini. Il quale comunque giunse a un'elaborazione autonoma, originale e innovativa: l'opera infatti rivela le capacità luministiche del pittore, unite a uno studio psicologico che sarebbe divenuta una cifra della produzione del L., mentre la tavolozza si schiarisce sempre più. Inoltre il quadro, dalla composizione organizzata per diagonali, divenne esso stesso un modello per F. Abbiati e soprattutto per il S. Ricci di Trescore Balneario.
Sono proprio le complesse caratteristiche fin qui delineate che hanno indotto studiosi dell'Ottocento e del primo Novecento a collocare erroneamente il L. tra i pittori del Settecento, fino alla scoperta, da parte di Terni de Gregory, del testamento dell'artista e agli studi approfonditi che si sono da allora succeduti, in ultimo quelli di Alpini, che hanno portato a una corretta collocazione del pittore nel suo tempo. Il L. fu il maggior pittore della seconda metà del Seicento a Crema, dove dominò la scena e si accaparrò committenze importanti grazie alla novità nella resa delle figure nello spazio, oltre che nell'uso della luce e nelle iconografie, e alla capacità di dar vita a soluzioni di grande modernità che anticipano certi risultati a cui la pittura lombarda perviene, appunto, nel corso del Settecento.
Appena precedente la Liberazione di s. Pietro è la martoriata pala raffigurante s. Giovanni Decollato con s. Marta e i ss. Filippo e Giacomo (Crema, S. Bernardino, già in S. Marta); mentre successive sono la pala di Ripalta Nuova (Madonna con Bambino e santi), le due versioni della Madonna della Cintura con i ss. Antonio da Padova, Michele e Tommaso, una conservata nella parrocchiale di Chieve e l'altra in collezione privata.
Tali opere sembrano fare in diverso modo il punto sulla produzione precedente, sintetizzandola; accanto a esse va collocato il Martirio di s. Stefano (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), caratterizzato da una forte animazione. La drammaticità della scena è resa grazie alle pennellate veloci e corsive che movimentano la composizione, esempio di una tecnica bozzettistica che costituirebbe una prova di più, secondo Alpini, del grande gusto per la sperimentazione caro al pittore, che nelle successive prove, più monumentali, placa in parte la sua ansia di originalità.
Vanno inoltre ricordati il Riposo nella fuga in Egitto e l'Episodio dell'infanzia di Gesù, entrambi a Ombriano (chiesa parrocchiale): le due opere fanno parte di un ciclo più ampio, a cui parteciparono altri pittori, tra cui Pombioli e Barbello, comprendenti serie differenti provenienti probabilmente da chiese diverse (vi sono infatti alcuni soggetti che si ripetono; e anche le dimensioni sono variabili), riunite per decorare la nuova parrocchiale di Ombriano, sorta alla fine del Settecento: il colore corposo e squillante e la solidità delle figure ne fanno gli immediati precedenti della pala di S. Pietro d'Alcántara.
Nel frattempo, nel 1678, il L. fornì un disegno di tabernacolo per l'altar maggiore della chiesa di S. Monica delle Agostiniane in Crema, opera poi realizzata dall'orefice F. Hennin, e perduta in seguito alle soppressioni napoleoniche.
Il discorso di intensa analisi psicologica e di vivace realismo è ripreso, verso il 1679-80, in due opere eseguite nuovamente per la chiesa di S. Bernardino a Crema: la pala raffigurante i Ss. Pietro d'Alcántara e Bernardino da Feltre (ancora in loco), e il dipinto laterale con il Miracolo di s. Pietro d'Alcántara (Crema, Museo civico).
In queste due opere, da considerare come un nucleo omogeneo, la luce svolge la funzione di legante tonale dell'intero quadro, oltreché di elemento fondamentale per la definizione della psicologia dei personaggi, soprattutto per via di quel suo uniformare l'atmosfera restituendoci un'impressione di calma (Alpini, 1997), impressione che del resto caratterizza tutti i momenti più alti raggiunti da questo pittore. Viene abbandonato del tutto il fare tenebroso; mentre brani di realtà, quali il gruppo delle pecore, fanno pensare a una conoscenza del genere della pittura di paesaggio con animali da parte del L., che avrebbe risentito, per l'impostazione generale dell'opera, anche di influenze genovesi, da Pozzo (e per suo tramite, del P.P. Rubens del Miracolo di s. Ignazio) a B. Strozzi, a G. Assereto, ai De Ferrari e a D. Fiasella. Un'ulteriore considerazione è stata fatta da Gregori (1997) riguardo alla committenza: la studiosa ha infatti ipotizzato una vicinanza da parte del pittore alla spiritualità pauperistica propria dell'Ordine dell'osservanza domenicana, anche se dal testamento si può dedurre la sua appartenenza alla Confraternita del Carmelo.
A questa fase appartengono anche le due teste di vecchio e di vecchia, conservate presso l'Istituto Gazzola di Piacenza: la materia è ancora corposa, come nei dipinti appena citati; mentre sarà nel nono decennio del secolo che il L. tenderà a utilizzare un colore meno pastoso, come avviene in due opere in collezione privata, che riprendono soggetti già da lui stesso trattati: una S. Rosa da Lima e un S. Ludovico Bertran (Alpini, 1997).
I due quadri, molto solidi nella composizione, si segnalano innanzitutto perché quasi monocromi; in secondo luogo i santi raffigurati vengono rappresentati come fossero collocati entro una nicchia, cosa che fa pensare a una commissione per la parete laterale di una cappella o per l'arco d'accesso di un presbiterio. Il L. aveva già realizzato due pale d'altare dedicate a questi stessi santi per la chiesa di S. Domenico a Crema (ora rispettivamente collocate, dopo la soppressione della chiesa domenicana, in S. Bernardino a Crema e in S. Maria delle Grazie a Milano). Per questa stessa chiesa aveva dipinto anche una Circoncisione nota solo da fotografie, insieme con altre opere citate dalle fonti. Una Presentazione al tempio, passata sul mercato antiquario, risulta essere uno studio preparatorio proprio per la Circoncisione (Alpini, 2000); mentre sempre da S. Maria delle Grazie potrebbe provenire una terza S. Rosa da Lima, ora di proprietà della Banca popolare di Crema. Il ricorrere dello stesso soggetto non deve stupire, dato che s. Rosa e s. Ludovico Bertran furono canonizzati nel 1671, determinando una forte richiesta di immagini per la devozione, a cui del resto il L. aveva già fatto fronte, e con impostazione analoga delle figure, nel caso delle due sante ora conservate presso il Museo civico di Crema.
Nel 1681 il L. consegnò due quadroni, commissionatigli dal Consorzio del Ss. Sacramento per il duomo di Crema, raffiguranti rispettivamente il Miracolo eucaristico di Torino e il Miracolo eucaristico di Valenza.
Con queste due opere il L. si inserisce nel filone dei quadroni inaugurato a Milano, in duomo, con la produzione degli esemplari con la Vita, prima, e con i Miracoli, poi, di s. Carlo Borromeo, filone che in anni ancor più vicini al L. aveva dato prova di vitalità, come dimostra la serie della Vita del cardinale Federico Borromeo all'Ambrosiana. Altro possibile modello per il L. dovettero essere i teleri di M. Cignaroli per il coro di S. Benedetto a Crema. Si tratta di opere caratterizzate da una maggiore teatralità, del resto consona alla loro destinazione; nella forte animazione, dovuta anche all'impiego di un gran numero di personaggi variamente distribuiti nello spazio, si riscontra un mirabile uso della luce e delle ombre.
Ai miracoli eucaristici il L. si dedica anche nell'ultimissima parte della sua produzione; ma prima bisogna citare, scalate tra il 1681 e il 1686, altre opere di qualità: la già menzionata pala di S. Ludovico Bertran (Milano, S. Maria delle Grazie, già in S. Domenico a Crema), eseguita attorno al 1685 e già in passato attribuita a D. Fetti, e i quadri di piccolo formato, per committenti privati, raffiguranti S. Luigi di Francia, S. Elisabetta d'Ungheria (o s. Dorotea), probabili ritratti di membri della famiglia Vimercati, S. Antonio da Padova, S. Rosa da Lima (collezione privata, tutte e quattro già a Ricengo, oratorio della villa Ghisetti Giavarina), due Figure allegoriche femminili (collezione privata). Altre opere che in tempi recenti Alpini (2000) ha riferito al L., da datare immediatamente dopo il 1680, sono un Gesù Bambino e una Giuditta con la testa di Oloferne, entrambe in collezioni private, quest'ultima talmente caratterizzata psicologicamente da poter essere considerata un altro possibile ritratto. Tra le opere elencate, in particolare le prime due sono importanti, perché testimonierebbero a favore di un'attività non sporadica del L. quale ritrattista, e inoltre sarebbero una prova in più circa il legame tra il pittore e la famiglia Vimercati: Ettore Vimercati, amico e parente del L., ne fu una sorta di protettore, e non a caso anche presidente di quel Consorzio del Ss. Sacramento che contattò in due riprese lo stesso Lucini.
Nel dicembre del 1684, infatti, l'artista firmò un contratto con il Consorzio per altri quadroni, che dovevano avere per soggetto ciascuno un miracolo eucaristico, questa volta però di dimensioni minori: si trattava del Miracolo di Lanciano-Offida, del Miracolo di Pozen, del Miracolo di Bolsena e della Comunione della beata Cadamosto tutti nella cattedrale di Crema. Del secondo e del quarto siamo in possesso anche del bozzetto preparatorio, così come dei bozzetti per i Miracoli di Torino e Valenza e per la pala di S. Ludovico Bertran; notevole è peraltro, sia detto per inciso, il corpus di disegni dell'artista rintracciati presso l'Accademia Carrara di Bergamo, l'Accademia Tadini di Lovere e una collezione privata.
In questi ultimi quadri si riscontra, pur nella perdurante teatralità dell'insieme, un minor numero di personaggi, studiati nella gestualità nervosa e arricchiti a volte di notazioni popolari e zingaresche nella foggia degli abiti: se il possibile modello è ancora una volta Pozzo, in particolare il suo Miracolo di s. Siro per il duomo di Pavia, la critica suggerisce anche la possibile visione dell'opera di D. Crespi della certosa di Garegnano (Alpini, 1987). I quattro quadroni portano inoltre lo stemma Martinengo perché realizzati grazie al lascito di Ortensia Martinenghi, che finanziò quest'impresa, e anche la precedente, a favore del Consorzio.
Probabilmente il L. lasciò incompiuto un quinto quadrone, raffigurante Gli ebrei che gettano l'ostia nella fornace, in pessime condizioni presso il seminario di Crema; mentre il sesto e ultimo, La comunione di s. Secondo, non fu mai iniziato dal L., e venne successivamente affidato a Cignaroli.
Il L. fece testamento il 18 febbr. 1684; non si era mai sposato e non aveva avuto figli, ma ebbe alcuni allievi: il nipote Giovan Battista Lucini, Giambattista Marmoro e Giambattista Carello.
Il L. morì a Crema nella notte tra il 14 e il 15 sett. 1686.
Fonti e Bibl.: Crema, Biblioteca comunale: G.B. Rosaglio, Relazione intorno a Crema compilata( l'anno 1769 (ms.); A. Ronna, Zibaldone. Taccuino cremasco per l'anno 1793, Crema 1793, pp. 103-106; Crema, Biblioteca comunale: P.L. Braguti, Documenti relativi a pittori, scultori, architetti, incisori cremaschi (ms., XIX sec.), e F. Bianchessi, Cartella L. G.B. (ms., XX sec.); G. Lucchi, G.B. L., pittore dell'Eucarestia, in Il Nuovo Torrazzo (Crema), 20 maggio 1955; A. Bombelli, I pittori cremaschi dal 1400 ad oggi, Milano 1957, pp. 123-127; W. Terni de Gregory, Il testamento di G.B. L. pittore cremasco, in Arch. stor. lombardo, LXXXIV (1957), pp. 419-423; F. Arisi, Il Museo civico di Piacenza, Piacenza 1960, pp. 237 s.; U. Ruggeri, Corpus graphicum Bergomense II, Bergamo 1970, pp. 13 s., 17; Id., Disegni lombardi seicenteschi dell'Accademia Carrara di Bergamo, Bergamo 1972, tav. 19; G. Lucchi, in Il Nuovo Torrazzo (Crema), 20 febbraio, 4, 11, 18 e 25 marzo, 8, 15, 22 e 29 aprile, 13 maggio 1972; 9 giugno 1973; G. Bora, in S. Maria delle Grazie in Milano, a cura di G.A. Dell'Acqua, Milano 1983, pp. 180, 184; C. Alpini, Precisazioni sulle opere dei pittori cremaschi del Seicento al Museo di Crema, in Insula Fulcheria, XIV (1984), pp. 56-58, ill. alle pp. 53 e 55; Id., G.B. L. 1639-1686, Crema 1987 (con bibl.); F. Frangi, Pittura a Crema, in Pittura tra Adda e Serio. Lodi, Treviglio, Caravaggio, Crema, a cura di M. Gregori, Milano 1987, pp. 253 s., 308 s.; P. Pajardi, Frammenti illustrati da opere d'arte del territorio cremasco, a cura di M. Marubbi, Milano 1987, p. 137; L. Bandera, La pittura a Cremona nel Seicento, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, pp. 135 s.; C. Alpini, ibid., II, pp. 792 s.; Id., Arte e decorazione 1600-1900, in La basilica di S. Maria della Croce a Crema, Cinisello Balsamo 1990, pp. 152 s., ill. a pp. 150 s.; C. Parisio, Nuove proposte per alcuni dipinti della Tosio-Martinengo, in Commentari dell'Ateneo di Brescia per l'anno 1991, CXC (1991), pp. 290 s.; C. Alpini, Pittura sacra a Crema dal '400 al '700, Crema 1992, ad ind.; Id., Ritrovato un L., in Il Nuovo Torrazzo (Crema), 26 marzo 1994; Id., Un L. "popolare", in Insula Fulcheria, XXV (1995), pp. 165-169; Id., Due grandi "miracoli" di B. L., in Il Nuovo Torrazzo (Crema), 2 marzo 1996; Id., Opere d'arte della parrocchiale, in A. Zavaglio, La parrocchia di S. Bernardino a Crema, Crema 1996, pp. 39-46; F. Frangi, La pittura a Milano negli anni di formazione di Magnasco, in Alessandro Magnasco 1667-1749 (catal.), Milano 1996, p. 83; M. Gregori, Pittura del Seicento a Crema: un contributo per la sua reintegrazione, in L'estro e la realtà. La pittura a Crema nel Seicento (catal., Crema), Milano 1997, pp. 22-26; C. Alpini, G.B. L., ibid., pp. 176-259; Id., Cremaschi in asta e altrove, in Insula Fulcheria, XXX (2000), pp. 164-174; D. Tarabra, in Il Dizionario dei pittori, II, Milano 2002, pp. 527 s.