GIORGINI, Giovan Battista
Nacque a Lucca il 13 maggio 1818 da Gaetano e da Carolina dei conti Diana Paleologo di Massa. Allievo degli scolopi a Firenze e poi del liceo universitario a Lucca, rivelò fin da giovanissimo una spiccata attitudine letteraria e già nel 1831 dette alle stampe i suoi primi versi. Una sua raccolta del 1836 intrisa di sentimentalità romantica, Preludi poetici, suscitò l'interesse della critica e ne scrissero in termini lusinghieri G. Mazzini sulla Westminster Review, G. Montanelli nel Nuovo Giornale de' letterati e N. Tommaseo nel suo Dizionario estetico. Il G. tuttavia non dette seguito ai suoi giovanili estri letterari: laureatosi in giurisprudenza a Pisa nel 1838, l'anno seguente, dopo aver preso parte al primo congresso degli scienziati italiani in qualità di segretario della R. Accademia dei Filomati di Lucca, fu nominato professore di istituzioni criminali presso l'Università di Siena. Nell'ottobre 1843 fece ritorno all'ateneo pisano, dove gli venne affidato l'insegnamento di istituzioni canoniche. Fu qui che due anni dopo, auspice la moglie di Massimo d'Azeglio, la marchesa Luisa Blondel, conobbe la figlia di Alessandro Manzoni, Vittoria, con la quale si sposò il 27 sett. 1846.
Nel 1847, nel clima effervescente che seguì l'ascesa al soglio pontificio di Pio IX e la concessione delle prime riforme nello Stato della Chiesa e nel Granducato di Toscana, il G. iniziò il suo impegno politico. Lo fece in quel crogiolo di sentimenti liberali e aspirazioni patriottiche che fu l'ambiente intellettuale pisano, dove egli si trovò in contatto con S. Centofanti, G. Montanelli, G. Fabrizi e altri. Con loro dette vita nel giugno 1847 al giornale L'Italia, sul quale pubblicò numerosi articoli. I primi riguardarono l'emancipazione degli ebrei, per i quali, schierandosi contro i pregiudizi dell'epoca e contro una lunga tradizione legislativa, egli rivendicò il diritto alla piena uguaglianza civile. Altri, nel periodo fra luglio e ottobre 1847, furono dedicati alla questione della reversione anticipata del Ducato di Lucca al Granducato di Toscana e videro il G., il cui padre e il cui nonno ebbero nella vicenda un ruolo di assoluto rilievo, esprimere un parere decisamente favorevole all'operazione. Gli articoli più significativi per inquadrare meglio i suoi orientamenti ideali furono tuttavia quelli apparsi sull'Italia nella prima metà del 1848. Nel gennaio, per esempio, egli manifestò la propria completa avversione per il grave tumulto che era scoppiato a Livorno, nel quale intravide una seria minaccia per l'ordine sociale e l'enfatizzazione degli errori commessi in passato dalle sette segrete. Con una deputazione di professori e studenti della guardia universitaria pisana il G. si recò a Livorno per presentare un indirizzo di plauso da lui redatto alla locale guardia civica, che si era ben disimpegnata per riportare l'ordine in città. Fin da allora il G. si fece dunque sostenitore di un liberalismo moderato sul terreno politico e sociale, che bandiva le scorciatoie violente e rivoluzionarie capaci di sovvertire le gerarchie esistenti, senza però rinunciare a perseguire un disegno ancora non ben definito di risorgimento nazionale. Lo si vide bene il 22 marzo 1848 allorché si aggregò, con il grado di capitano, al battaglione di universitari che partì da Pisa alla volta dell'Italia settentrionale per combattere a fianco delle truppe sabaude nella guerra contro l'Austria: tale esperienza per il G. si concluse verso la metà del maggio seguente, quando egli si ammalò nei pressi di Mantova e fu costretto a rimpatriare.
Le sue idee in merito all'ordinamento politico-territoriale che avrebbe dovuto assumere la penisola all'indomani dell'indipendenza si trovano delineate, sia pure in modo ancora confuso, in un importante articolo sull'Italia del giugno 1848 dal titolo rivelatore Il Regno dell'alta Italia e l'unità d'Italia. Qui il G., pur rivolgendo un appello al granduca affinché, scriveva, "si innamori della bellezza sincera che risplende nell'idea dell'Italia una e forte", si mostrava favorevole a una soluzione di tipo confederale, cioè di un nuovo assetto politico che da un lato ponesse un freno alle ambizioni egemoniche piemontesi, dall'altro consentisse alla Toscana di preservare la propria autonomia sotto la dinastia dei Lorena. È altresì vero che appena un mese prima, in una lettera indirizzata alla moglie, egli aveva manifestato tendenze unitarie molto più esplicite ed espresso accenti assai critici verso il granduca, Pio IX e i Borboni. Ma ciò è da intendere come moto di disappunto per l'andamento degli eventi bellici e non sembra modificare le sue posizioni di fondo intorno al futuro ordinamento istituzionale dell'Italia, che ancora per lungo tempo avrebbero ruotato intorno all'ipotesi di una lega dei principi in chiave anti-austriaca.
Non è un caso perciò se nell'ottobre 1848 proprio il G. fu delegato da G. Capponi, allora presidente del Consiglio dei ministri del Granducato, al congresso che si tenne a Torino fra i rappresentanti dei vari Stati italiani per discutere la prospettiva di un patto federativo e per sollecitare Carlo Alberto a riprendere le armi contro l'Austria. Individuato ormai come uno degli esponenti del liberalismo toscano più vicini alla dinastia lorenese, nel febbraio 1849, dopo l'ascesa al potere dei democratici e la partenza del granduca, fu colpito da un provvedimento di F.D. Guerrazzi che lo sollevava dalla titolarità dell'insegnamento universitario. La privazione però fu di breve durata: nell'aprile 1849 la neocostituita commissione governativa dapprima lo reintegrò nel ruolo, quindi lo inviò a Torino in missione diplomatica per ottenere una protezione internazionale e l'appoggio di Francia e Inghilterra. Qualora infatti le due potenze europee avessero occupato Livorno ponendo fine alla resistenza democratica, si sarebbe scongiurato l'intervento militare austriaco, come invece si verificò, e il ritorno al potere di Leopoldo II avrebbe forse avuto ripercussioni meno negative sul sistema sociale e politico del Granducato.
Nel clima di maggiore chiusura intellettuale e di severo rigore poliziesco imposto dal restaurato governo lorenese, il G. prese a dedicarsi quasi esclusivamente agli impegni accademici. Nell'ottobre 1849 passò dalla cattedra di istituzioni canoniche a quella di filosofia del diritto e nel 1851, quando la facoltà di giurisprudenza venne trasferita da Pisa a Siena, egli insegnò dapprima storia del diritto e poi anche istituzioni civili. Dopo un lungo intervallo di tempo, durante il quale, seguendo l'esempio di larga parte dell'aristocrazia fondiaria toscana, ebbe modo di cimentarsi anche nella sperimentazione di macchine e di innovazioni tecniche per l'agricoltura, tornò a occuparsi attivamente di politica all'inizio del 1859 e per oltre un anno si trovò al centro degli avvenimenti che videro la Toscana ribellarsi alla dominazione lorenese e poi decidere la propria annessione allo Stato sabaudo.
Per la verità, al pari di molti esponenti del moderatismo toscano più legati ai Lorena, il G. ebbe un ruolo assai marginale nella preparazione del rivolgimento del 27 apr. 1859. Fino a tutta la prima metà di quell'anno fu anzi contrario all'unione della Toscana al Piemonte. Come avrebbe ammesso più tardi, in una relazione stilata per M. Gioli Bartolommei, "il 27 aprile lo fece, si può dire, la Società Nazionale La Farina, all'insaputa di tutti i barbassori del partito liberale che si riunivano in casa di Bettino Ricasoli in Via del Cocomero […] Nessuno dei liberali toscani del partito nostro s'immaginava a che punto si trovassero le cose. Credevamo all'unità italiana, ma come ad una possibilità remota" (M. Gioli Bartolommei, Il rivolgimento toscano e l'azione popolare, 1847-1860. Dai ricordi familiari del marchese Ferdinando Bartolommei, Firenze 1905, p. 247). La conversione alla prospettiva unionista avvenne durante le prime sedute dell'Assemblea toscana, l'organismo del quale il G., che già faceva parte della Consulta di Stato, venne eletto membro nell'agosto 1859. Anzi fu proprio lui, ormai abbandonate le vecchie ipotesi confederali e ogni utopia autonomista, a stendere il rapporto sopra la proposta di unione dell'ex Granducato al Piemonte, che venne approvato dall'organo rappresentativo toscano il 20 ag. 1859. E fu ancora lui, nel settembre successivo, a guidare la deputazione che presentò a Vittorio Emanuele II il voto della Toscana in favore dell'annessione.
Nel gennaio 1860, quale naturale conseguenza del ruolo svolto nei mesi precedenti, il G. fu inviato insieme con G. Fabrizi a Parigi per sondare le intenzioni di Napoleone III e perorare la causa unitaria della Toscana. I due delegati però non raggiunsero la capitale francese e si fermarono a Torino, dove nel frattempo C. di Cavour si apprestava a sostituire U. Rattazzi alla testa del governo. Da Torino il G. inviò preziose informative a B. Ricasoli sull'orientamento dei Piemontesi e delle potenze straniere, cercò di dare dignità e spessore alle posizioni del proprio governo, ma non riuscì a impedire la richiesta da parte delle diplomazie francese e inglese di un secondo pronunciamento della popolazione a favore dell'annessione: tale richiesta, allora fieramente avversata dal Ricasoli, si concretizzò poi nel plebiscito del marzo 1860.
Nell'aprile 1860 il G. entrò a far parte del primo Parlamento italiano quale rappresentante del collegio di Siena, iniziando nelle file della Destra un'intensa attività di deputato, che, interrottasi nella IX legislatura in seguito alla clamorosa sconfitta da lui riportata nelle elezioni del 1865, riprese nel 1867 e si concluse nel 1872. Il 23 giugno di quell'anno il G. venne infatti nominato delegato governativo presso la Regia cointeressata dei tabacchi e fu costretto a rassegnare le dimissioni da membro della Camera. Il 9 nov. 1872, peraltro, venne immediatamente nominato senatore. In questo periodo egli visse con grande impegno il mandato parlamentare, partecipò sovente alle discussioni della Camera e soprattutto fu relatore di numerosi disegni di legge.
Nel 1861, per esempio, fu sua la relazione della legge che attribuiva a Vittorio Emanuele II il titolo di re d'Italia; nel 1862 quella della legge per la dotazione della Corona; nel 1864 quella sulla convenzione di navigazione e trattato di commercio con la Francia. E ancora, fra il 1863 e il 1865, fu relatore dei progetti di legge sull'accordo di navigazione e commercio col Belgio, sulle inchieste parlamentari, sulla repressione del brigantaggio, sulle leggi doganali per l'importazione dello zucchero, sulla riforma del codice civile, sui provvedimenti finanziari presentati da Q. Sella, la cosiddetta legge "omnibus". Altri suoi interventi furono dedicati a sostenere la riforma amministrativa del Ricasoli contro i progetti di decentramento e di regionalismo avanzati da M. Minghetti (con interventi su Dell'Unità d'Italia in ordine al diritto e alla storia. Considerazioni, Milano 1861, e su La centralizzazione, i decreti d'ottobre e le leggi amministrative, Firenze 1861); oppure a caldeggiare la libertà dell'insegnamento e la riforma dell'università, da attuarsi mediante una più netta separazione fra corsi scientifici e corsi professionali (La libertà d'insegnamento e la riforma universitaria, Torino 1863).
Attento studioso della questione romana, alla quale già nel 1859 aveva dedicato un importante opuscolo in cui teorizzava la necessità per il papa di rinunciare al potere temporale (Sul dominio temporale dei papi, Firenze), nel settembre 1864 il G. fu tra coloro che approvarono la convenzione con la Francia e il conseguente trasferimento della capitale a Firenze. Divenuto un convinto assertore dell'opportunità di un accordo fra Stato e Chiesa, nel 1865, replicando alle accuse di A.-F. Dupanloup, vescovo di Orléans, propose come soluzione transitoria una sorta di "neutralizzazione" di Roma. Nel marzo 1866 poi, in un importante articolo apparso sulla Nuova Antologia (pp. 503 ss.: La Chiesa e il partito liberale in Italia), ribadì l'esigenza di una politica conciliante col Papato e mosse qualche critica all'atteggiamento troppo intransigente del mondo liberale, persuaso, come scrisse nel suo articolo, che "la maggior parte del popolo italiano, quella che si tien fuori dalle agitazioni della vita pubblica e che i partiti affettano di disprezzare, ma che è più forte di loro, accoglierebbe con la più viva soddisfazione un accomodamento con Roma; respirerebbe; si sentirebbe come sollevata da un peso".
Nel 1866 il G. lasciò l'insegnamento e si trasferì a Firenze. Rieletto deputato l'anno dopo nel collegio di Massa, nel 1868 legò il suo nome alla tassa sul macinato, del cui disegno di legge fu relatore alla Camera nella tornata del 30 marzo. Non solo: rinverdendo la propria antica passione per la costruzione di strumenti tecnici, egli ideò e realizzò il contatore meccanico che venne applicato alle macchine molitorie per accertare l'esatta quantità di grano macinato. Da allora peraltro cominciò ad assumere un atteggiamento sempre più defilato dalla politica attiva, che si acuì durante gli anni trascorsi come delegato governativo alla Regia cointeressata dei tabacchi, carica da cui si dimise nel 1876 dopo l'ascesa al potere della Sinistra. Al Senato, del quale fu membro autorevole e partecipe, non ebbe più un ruolo paragonabile a quello svolto in passato. Il suo intervento più significativo fu quello pronunciato nell'aprile 1880 nella discussione sul progetto di legge per la riforma del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione che gli valse il sincero apprezzamento del ministro F. De Sanctis. L'ultimo fu quello che svolse nel dicembre 1886, ancora una volta su un tema, la nuova disciplina dell'istruzione superiore, a lui molto caro.
In realtà il grande interesse che il G. riscoprì nella seconda parte della sua vita fu quello per l'attività letteraria e linguistico-lessicografica, cui dedicò le energie migliori. Arguto epigrammista e scrittore in versi latini e francesi, egli tradusse in latino alcune poesie di G. Carducci e G. Pascoli, e in italiano i versi di Orazio e di alcuni poeti moderni come H. Heine e W. Goethe. Ma la sua attività più importante fu certamente la diretta partecipazione all'ideazione e alla lunga redazione del Novo Vocabolario della lingua italiana (I-IV, Firenze 1870-97), voluto dal ministro della Pubblica Istruzione E. Broglio, fervente manzoniano, e concepito, in linea con le teorie linguistiche dello scrittore lombardo, come vocabolario dell'italiano moderno secondo l'uso vivo delle classi colte di Firenze. L'impianto è quindi rigorosamente sincronico, senza esempi d'autore e con la fraseologia attinta dal parlato. Pur con questi caratteri di novità, il vocabolario non ebbe grande fortuna editoriale; notevole importanza nel dibattito linguistico del secondo Ottocento ebbe invece la prefazione al dizionario, in forma di una lunga lettera indirizzata a Q. Sella (I, 1870, pp. I-LX), scritta dal G. servendosi di materiali editi e inediti del suocero ("fino ad apparirne, in certi punti, un intelligente centone", Ghinassi, p. 12). In essa egli espose nitidamente la tesi manzoniana sull'unità della lingua e sostenne, fornendone di fatto con le sue pagine una limpida esemplificazione, la necessità di adottare il fiorentino parlato come lingua nazionale. Egli venne così a rappresentare uno dei casi più emblematici del contributo dato da intellettuali e politici al progetto di costruzione di un'identità nazionale italiana, che aveva ovviamente come indispensabile premessa la codificazione e la divulgazione di un idioma comune.
Morì il 18 marzo 1908 a Montignoso, un borgo nei pressi di Massa dove la sua famiglia conservava alcune proprietà e dove egli si era ritirato negli ultimi anni.
I principali scritti del G. sono: Prolusione al corso di istituzioni criminali, Siena 1840; Prolusione al corso di istituzioni canoniche, Pisa 1843; Sullo stato politico del principato lucchese, ibid. 1847; Delle istituzioni di Giustiniano, Siena 1853; Storia esterna del diritto romano, ibid. 1853; Proemio all'opuscolo Toscana ed Austria. Cenni storico-politici, Firenze 1859; Della vocazione del nostro secolo allo studio della storia, Siena 1859; Sul matrimonio civile, Milano 1860; Sopra un opuscolo del vescovo d'Orléans. Osservazioni, Torino 1865; La Camera e i partiti dal 1861 al 1865. Lettera, 3 ott. 1865, Firenze 1865; Lettera agli elettori di Massa e Carrara, ibid. 1870; Una pagina di storia. A proposito di uno scritto inedito del generale Alfonso Lamarmora, in Nuova Antologia, 1° nov. 1907 e poi in versione più corretta Pisa 1907.
Fra le traduzioni ricordiamo le più significative: Dalle liriche di Giosuè Carducci. Saggio di versione latina, Pisa 1893; La donna nelle odi di Orazio, ibid. 1894; In cielo. Traduzione da Heine, ibid. 1895; Saggio di versioni di Q. Orazio Flacco. Amatorie. Politiche, ibid. 1904; Paedagogium, carme latino di G. Pascoli, versione italiana di G.B. Giorgini, in Nuova Antologia, 1° giugno 1905, pp. 435 ss.; G. Puccianti, Traduzioni oraziane di G.B. Giorgini, ibid., 16 sett. 1907, pp. 196 ss.
Fonti e Bibl.: Una buona parte del carteggio del G. si conserva, insieme con le carte della famiglia, presso l'Archivio contemporaneo del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze. Altri cospicui nuclei documentari si trovano presso le biblioteche Braidense di Milano e Labronica di Livorno. Le principali pubblicazioni di lettere del G. e al G. sono le seguenti: XXVII lettere dal campo. Primavera del 1848, a cura di M. Schiff Giorgini, Pisa 1912; VIII lettere, a cura di A. D'Ancona, Pisa 1913; M. Puccioni, Quattordici lettere di Vincenzo Salvagnoli a G.B. G., in Miscellanea storica della Valdelsa, XLII (1934), pp. 84-91; M. d'Azeglio, Cinquantasette lettere dal carteggio di G.B. G., a cura di M. Puccioni, Firenze 1935; M. Puccioni, Lettere di Marco Minghetti a G.B. G., in Atti della Società Colombaria, XIV (1937-38), pp. 383-396; P. Millefiorini, Due cattolici liberali negli anni dell'unificazione: L. Galeotti e G.B. G., 1859-1870, in Boll. stor. pisano, XXX (1961), pp. 333-425; G. Luseroni, Giovanni Fabrizi, G.B. G. e l'annessione della Toscana. Lettere inedite a Bettino Ricasoli, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXVII (1990), pp. 191-238; Lettere di Bettino Ricasoli a G.B. G., a cura di A. Albertini, in Rassegna storica toscana, XXXVI (1990), pp. 269-314.
Per un elenco dettagliato degli scritti del G. vedi: A. Simoni, La vita, l'attività e gli scritti di G.B. G., Pisa 1926, e G. Talamo, I liberali e i moderati dalla Restaurazione all'Unità, in Bibliografia dell'età del Risorgimento, I, Firenze 1971, pp. 199 s. Molti riferimenti alla vita e alle opere si trovano nella memorialistica coeva e nelle raccolte di carteggi e documenti di personaggi che a vario titolo furono con lui in relazione (G. Baldasseroni, G. Capponi, M. d'Azeglio, G. Montanelli, B. Ricasoli, M. Tabarrini ecc.). Gli studi più specifici sono invece piuttosto scarsi. Oltre ai necrologi di V. Cian in Nuova Antologia, 1° luglio 1908, pp. 48-73, e G. Dallari, G.B. G., Siena 1908, si vedano: E. Michel, Maestri e scolari dell'Università di Pisa nel Risorgimento nazionale (1815-1870), Firenze 1949, ad indicem; G.B. Gifuni, G. uomo del Risorgimento, in L'Osservatore politico-letterario, 1960, n. 10, pp. 72-91; R. Mori, La questione romana 1861-1865, Firenze 1963, ad indicem; A. Salvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente ital. (1859-1876), Firenze 1965, ad indicem; N. Danelon Vasoli, Il plebiscito in Toscana nel 1860, Firenze 1968, pp. 9-11; G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze 1971, ad indicem; A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1971, pp. 117, 166, 179, 204; G. Gentile, Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo XIX, Firenze 1973, pp. 95-97; G. Ghinassi, A. Manzoni e il "Novo Vocabolario della lingua italiana", presentazione alla rist. anast. dello stesso, I, Firenze 1979, pp. 5-33; P.G. Camaiani, Dallo Stato cittadino alla città bianca. La "società cristiana" lucchese e la rivoluzione toscana, Firenze 1979, ad indicem; L. Serianni, Il secondo Ottocento, in Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni, Bologna 1990, pp. 72-74; D. Barsanti, L'Università di Pisa dal 1800 al 1860…, Pisa 1993, passim; V. Della Valle, La lessicografia, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni - P. Trifone, I, I luoghi della codificazione, Torino 1993, pp. 83-86; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli "anni francesi" all'Unità, Torino 1993, pp. 348, 362, 382, 399, 418, 423; A. Chiavistelli, Un moto effimero: le riforme del 1847 nel Ducato di Lucca tra mobilitazione cittadina e Ancien Régime, in Rass. stor. toscana, XLV (1999), pp. 521 s., 524, 526, 528, 534-536, 540 s.; Diz. del Risorgimento nazionale, sub voce.