DETI, Giovan Battista
Nacque a Firenze fra il 1578 e il 1581 da famiglia patrizia lontanamente imparentata con Clemente VIII e fu chiamato a Roma ancora fanciullo per volontà del nipote di quello, il cardinale Pietro Aldobrandini. Studiò dai gesuiti e successivamente, all'improvviso, venne nominato cardinale nel 1598 o nel 1599, quando ancora non poteva avere l'età minima prescritta per la porpora, da Sisto V. Ebbe il titolo di S. Adriano, poi mutato con quello di S. Maria in Cosmedin.
Si segnalò ben presto per una serie di scandali causati dalla sua "vita libera" (Bentivoglio) e fu più volte censurato dal papa, alla morte del quale perse ogni freno. Fu tuttavia sempre protetto dalla famiglia Aldobrandini, cui rimase politicamente fedelissimo sostenendo il cardinale Pietro durante e dopo l'elezione al soglio pontificio di Paolo V Borghese (1605). Gli Aldobrandini si preoccuparono di trovargli per tutta la vita abitazioni degne dei suoi incarichi: il D. era infatti troppo povero (o troppo poco economo) per poter acquistare un palazzo. Dopo un iniziale girovagare fra dimore di scarso conto, fu ospitato nel palazzo già dei Della Rovere presso S. Maria in via Lata e poi in quello dei Colonna di Palestrina in piazza Sciarra, ma si servì anche di abitazioni degli Aldobrandini per dare feste e ricevimenti.
Nonostante le accuse di scarsa intelligenza e poche lettere rivoltegli dai suoi contemporanei, il D. ebbe certamente velleità culturali: patrocinò rappresentazioni teatrali e pubbliche dissertazioni, fondò e presiedé l'Accademia degli Ordinati, di cui però si stancò ben presto, nonostante un certo successo iniziale. Mantenne comunque alcune relazioni culturali, come testimonia una sua lettera a Galileo Galilei, che a sua volta parla dell'accademia del D. nella corrispondenza con Virginio Orsini.
Nel 1607 fu assunto al grado presbiteriale con il titolo dei Ss. Pietro e Marcellino: affittò allora il palazzo Ferratini a Trinità dei Monti, più tardi sede del Collegio di Propaganda Fide. Nel 1613 provò a comprarlo ma non vi riuscì e, quando questo fu acquistato dai Ruspoli, dovette tornare nuovamente in affitto dai Colonna di Palestrina. Divenuto sostituto del cardinale camerlengo (per altro il solito Pietro Aldobrandini) nell'amministrazione pontificia, si rimise in cerca di una casa degna della nuova funzione: a partire dal 1614 poté infine usufruire della villa Ruffinella di Frascati per gentile concessione dell'Aldobrandini, che nello stesso periodo gli pagava l'affitto dai Colonna e un appannaggio annuo di 500 scudi. Sempre grazie all'aiuto familiare divenne anche viceprotettore del Ducato di Savoia, camerlengo del S. Collegio nel 1618 e poté agire come procamerlengo di S. Romana Chiesa nel conclave del 1620-21.
Alla morte dell'Aldobrandini si trovò momentaneamente senza protettore, ma fu ben presto aiutato da Gregorio XV Ludovisi, che lo elevò nel 1623 al titolo vescovile di Albano. Alla morte di Gregorio XV era ormai gravemente ammalato di podagra e dovette cercare stabile dimora a Roma, dove infine fu ospitato da Olimpia Aldobrandini, sorella del defunto cardinale. Ebbe così a propria disposizione il palazzo al Corso, poi passato ai Chigi: vi si insediò nel 1624 con un discreto seguito, che ben presto si mise in luce per risse e faccende di gioco.
Nel palazzo il D. visse ritirato per le cattive condizioni di salute e le sempre esigue disponibilità finanziarie, dedicandosi al restauro e al decoro del piano nobile e dell'angolo fra piazza Colonna e via del Corso. Nel 1626 fu promosso alla sede vescovile di Frascati, dopo sei mesi a quella di Porto e infine nel 1629 a quelle abbinate di Ostia e Velletri. Nel frattempo era divenuto decano del S. Collegio, dove suscitò nuovo scandalo facendosi portare a braccia perché "stroppiato" dalla podagra e da altre malattie contratte durante la sua vita disordinata.
In questi suoi ultimi anni si occupò anche di problemi amministrativi, quali i divieti di gettare immondizie, e curò gli ampliamenti di alcune chiese, quale sostituto del nuovo cardinale camerlengo, Ippolito Aldobrandini. Riferì in un concistoro sulla santità del beato Andrea Corsini. Non rinunziò tuttavia alle proprie passioni e per quanto semiparalizzato proseguì a interessarsi di carrozze e cavalli.
Nel 1630 infine fu colpito dal "flusso" (forse tifo o dissenteria, per alcuni addirittura peste) e morì il 31 luglio a Roma, lasciando un'eredità alquanto misera, nonostante avesse aggiunto agli altri titoli anche il vescovato di Mondovì.
Del D. si possiede una Relatio facta in Consistorio secreto coram S. D. N. Urbano Papa VIII a Ioanne Baptista episcopo Portuensi S. R. E. card. Deto, die Martii M.DC.XXX super vita, sanctitate, actis canonizationis, et miraculis B. Andreae Corsini, Carmelitani et episcopi Fesulani, Romae 1629.
Fonti e Bibl.: Lettres du cardinal d'Ossat, avec des notes histor. et politiques de M. Amelot de la Houssaie, Amsterdam 1732, III, p. 303 e n. 12; IV, p. 250; Relazioni degli ambasc. veneti, a cura di E. Alberi, s. 2, III, Roma, Firenze 1846, pp. 352, 439; Le relazioni della corte di Roma lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel sec. XVII, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, Venezia 1877, pp. 164, 270; G. Galilei, Le opere, Firenze 1890-1909, XI, pp. 82, 338; XX, p. 431; G. Bentivoglio, Mem. e lettere, a cura di C. Panigada, Bari 1934, p. 81; J. Orbaan, Documenti sul barocco a Roma, Roma 1920, pp. 41, 61, 73, 78, 85, 155, 162, 212, 215, 219, 224, 240, 249, 279 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1929, pp. 184, 463; R. Lefevre, Un cardinale del Seicento G. B. D., in Arch. della Soc. romana di storia patria, s. 3, XCIV (1971), pp. 183-208.