CONTINI, Giovan Battista
Figlio di Francesco e di Agata Baronio, nacque a Roma il 7 maggio 1642 (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parr. di S. Tommaso in Parione), Ebbe la prima formazione di architetto dal padre che, secondo il Pascoli (1736, p. 552), "con nobiltà lo educò e mandò a tutte le scuole, cui andar sogliono i nobili", ma si perfezionò anche sotto Gian Lorenzo Bernini. Al grande maestro rimase talmente legato da assisterlo in punto di morte (Baldinucci, 1682, p. 63) e da tenere in casa un ritratto di lui "di stampa tirato su tela con cornicetta nera" (Inv. dei beni). La prima commissione importante del C. che ci sia nota sembra essere l'erezione del catafalco per Alessandro VII (1667). pervenutagli tramite il Bernini (cui fu anche erroneamente attribuita: Fagiolo dell'ArcoCarandini, 1977. p. 234). In Roma, oltre a svolgere funzioni pratiche come quelle di misuratore e architetto della Camera apostolica e architetto dell'Acqua Vergine, nelle quali successe al Bernini (1681-1723), si dedicò con particolare successo all'erezione di cappelle di famiglia e altari; ma la sua attività principale si spostò ben presto in luoghi diversi e spesso lontani da Roma, eppur nello Stato pontificio.
Gli inizi, tuttavia, furono promettenti, sebbene Niccodemo Tessin, in occasione del suo soggiorno romano del 1673, lo abbia annoverato, insieme con Giovanni Antonio De Rossi e Angelo Torriani, tra gli architetti mediocri che, a suo dire, dovrebbero essere definiti misuratori piuttosto che architetti (Eimer, 1970, p. 210).
Tre anni dopo la morte del Bemini, nel 1683, il C. divenne principe dell'Accademia di S. Luca, succedendo a Luigi Garzi in una funzione tarito prestigiosa quanto indicativa della statura professionale già da lui raggiunta in quel periodo.
Nell'Accademia deluse alquanto, però, dimostrando in maniera fin troppo ovvia che il suo interesse si concentrava tutto sul praticare la professione (Missirini, 1821 p. 147). Nel 1696 egli fu giudice nel concorso bandito in occasione dei primo centenario dell'Accademia, ma non sono note altre sue attività per quest'istituzione fino al 1702, quando operò come istruttore Insieme con Francesco Fontana, Sebastiano Cipriani, Carlo Buratti e Carlo Francesco Bizzaccheri. In questo incarico è documentato ancora dai Verbali delle Congregazioni negli anni 1703 e 1704. Dal 1702 al 1709 fu anche giudice dei concorsi clementini insieme con il Fontana e con il Buratti (per gli anni successivi manca l'informazione delle Relazioni dei Concorsi). L'onore della nomina a "cavaliere" gli arrivò tardi, nel 1713, e soltanto nel 1719 fu di nuovo "principe", cioè ben trentasei anni dopo la sua prima elezione. Usò allora grande energia nel dirigere l'Accademia e, a quanto dice il Missirini (1823, p. 202), "mantenne ordini severi".
Una delle prime volte in cui il suo nome compare è nel 1662, in connessione col proseguimento della costruzione del convento delle monache di S. Maria dei Sette Dolori, condotta da suo padre (165862). Dal 1673 al 1675 costruì la volta dell'abside di S. Maria di Monserrato (J. Fernández Alonso, S. Maria..., Roma 1968, p. 27); il 23 nov. 1672 fu nominato architetto di S. Agostino, carica che mantenne sino alla morte (Donati, 1940, p. 25 n. 25), e verso il 1673 eresse la parte del convento di S. Agostino che si affaccia su via dei Pianellari e che verrà proseguita da L. Vanvitelli.
Mentre era principe dell'Accademia stese il progetto per il campanile della cattedrale di Saragozza in Portogallo (Fiore, 1976, p. 201 n. 6), la cui esecuzione fu iniziata soltanto nel 1686 e rimase fedele al suo disegno solo fino al primo piano (Pollak, in Thieme-Becker). Nel 1687 fece un piano per la sopraelevazione della loggia del Paradiso nell'abbazia di Montecassino, che rimase non eseguito, mentre fino al 1694 circa vi furono realizzati i suoi progetti per il chiostro dell'ospizio dei nobili, che fiancheggia il cortile del Paradiso sulla sinistra, e il suo congiungimento con questo mediante arcate aperte che offrono una veduta libera anche nel cortile sul lato opposto. L'impostazione degli edifici che si affacciano su questo terzo cortile fu variata da architetti posteriori, che però non si allontanarono completamente dall'idea originaria del C. (Hager, G. B. C. ..., 1970).
Nel 1689 si recò a Macerata dove fornì ai padri filippini un progetto per la loro chiesa e convento, che però non venne accettato (Bettucci, 1894, pp. 16 s.); ma dopo, nuove difficoltà, nel 1705 il C. fece un nuovo disegno secondo il quale fu costruita la chiesa attuale terminata soltanto nel 1732 dopo la sua morte (per la storia della costruzione, vedi Paci, 1973).
L'impronta romana, e in particolare dell'insegnamento berniniano, in questo edificio è riconoscibile nell'adozione della pianta ovale trasversale, nella policromia e nei campaniletti, prestati dalla chiesa dell'Assunta, ma spostati sulla fronte incompiuta, che si trova in scenografica posizione all'imbocco di due strade. Suo è anche il convento che si estende dietro la chiesa.
L'anno dopo, per gli Altieri, costruì il "palazzo della Badia" a Monterosi (Pascoli, 1736, p. 554), attualmente in stato assai rovinoso (Fiore, 1976, p. 203 n. 22).
Nell'interludio fra i progetti per S. Filippo a Macerata, fra il 1699 e il 1703 edificò a Ravenna la chiesa di S. Domenico (Tarlazzi, 1852).
La navata unica, coperta da una volta a botte e terminante in un vano rettangolare per l'altare maggiore, si apre su ciascun lato in tre cappelle, staccate da intervalli contenuti da pilastri, e si distingue per il trattamento equivalente degli ingressi al vano dell'altare maggiore e alle cappelle centrali laterali, che sono più estese di quelle che le fiancheggiano, mediante un arco sormontato da un frontone triangolare aperto alla base. A sinistra della cappella dell'altare maggiore ve n'è una su pianta rettangolare con cupola senza tamburo che in certo modo viene anticipata dalla cappella Elci in S. Sabina, degli anni 1671-88, mentre il motivo del collegamento della porta con un riquadro trasversale richiama l'analoga sistemazione, realizzata dal Bernini, della parete destra della cappella della Pietà in S. Pietro in Vaticano.
A Roma, negli ultimi anni del Seicento, il C. inserì le colonne nella crociera della chiesa della Trinità dei Pellegrini, per rinforzare il sostegno della cupola (G. Matthiae, Contributo a C. Rainaldi, in Arti figurative, II [1946], pp. 57 s. n. 7; Wittkower, 1965, p. 348 n. 35; S. Vasco Rocca, 1979, pp. 41-45).
Nel primo Settecento successe al Crovara nella direzione della fabbrica di S. Eustachio, dove costruì, pare su suo progetto, dal 1703 al 1706, la semplicissima navata con cappelle (C. Appettiti, S. Eustachio, Roma 1964, pp. 33 s.). In questo periodo stese anche il primo progetto per la chiesa di S. Francesco delle Stimmate (Fasolo, 1945), con tre cappelle su ciascun lato, che, con gli angoli concavi, segue la tradizione borrominiana e anticipa la chiesa di S. Filippo dello Iuvarra a Torino (Boscarino, 1973, p. 108 s., 260).
Dopo diversi anni e una variazione del disegno che essenzialmente consiste nel radoppiamento dei pilastri che contengono gli ingressi alle cappelle, i lavori furono ripresi nel 1714 (prima pietra, il 23 settembre) e condotti dallo stesso C. almeno fino al 7 luglio 1717; nell'ottobre gli successe A. Canevari che condusse a termine la chiesa che era pronta per la consacrazione il 16 luglio 1719 (Hager, 1970); nell'inventario dei beni del C. numerosi sono i suoi disegni per questa costruzione.
A motivo delle somiglianza dello schema planimetrico con quello di S. Francesco delle Stimmate, da chi scrive fu attribuito ipoteticamente al C. un disegno dell'Albertina di Vienna, che reca la data 1708, per la chiesa dei SS. Andrea e Claudio dei Borgognoni (Hager, 1971, pp. 50, 63 n. 74, fig. 9).
Dopo il terremoto del 1701 i padri di S. Bernardino a L'Aquila interpellarono il C. per la ricostruzione della loro chiesa, ed egli fornì un progetto che però non trovò esecuzione, sebbene, secondo L. Vicari (Due architetti romani operanti ad Aquila nei primi anni del sec. XVIII: S. Cipriani e G. B. C., in Bull. della Dep. abruzzese di storia patria, LVII-LIX [1967-69], pp. 11-15), i padri accettassero i suoi suggerimenti riguardo alla cupola (1715). Sempre a L'Aquila, e simultaneamente alla chiesa di S. Filippo di Macerata, l'architetto romano ricorse alla forma ovale, questa volta longitudinale, per la chiesa di S. Agostino iniziata nel 1707 (Vicari, ibid., pp. 12, 16 s.).
Pochi anni dopo eseguì la collegiata di S. Maria della Presentazione a Vignanello (Fiore, 1976, pp. 200, 203, n. 22).
Fu costruita per munificenza del marchese Marescotti, che aveva sposato la ricchissima Vittoria Ruspoli, assumendone anche il cognome. Già nell'anno 1710 furono scavate le fondamenta "attorno la vecchia chiesa", e demolita questa nel 1713, la costruzione del nuovo edificio fu condotta a termine tra il 1719 e il 1723 (Arch. Segr. Vat., Fondo Ruspoli, div. 3a, arm. R., tomo 602, fasc. 3-6). Nel 1725 Benedetto XIII si recò con grande corteo a consacrare la nuova chiesa (Cracas, Diario, 1725, n. 1290 [10 novembre], p. 3; n. 1293 [17 novembre], pp. 3 s.; n. 1308 [2 dicembre], p. 17; Valesio [1708-1728], pp. 597, 602). Con questa il C. si riaggancia allo schema di S. Domenico a Ravenna, attenendosi in linea di massima alla stessa disposizione degli annessi e mirando ad una accentuazione maggiore della direzione longitudinale dell'edificio. Lo spazio interno termina in un'abside che chiude la prospettiva con un tabernacolo sostenuto da angeli, nello stile di quello creato da C. Rainaldi per S. Maria in Campitelli (Arch. Segr. Vat., Fondo Ruspoli, div. 3a, arm. R, tomo 604, fas. 6; div. 2a, arm. E, tomo 200, fasc. 5).
Il C. riprese il tema della chiesa longitudinale nella quasi contemporanea collegiata di S. Andrea apostolo a Vetralla, progettata nel 1710 e costruita fra il 1711 e il 1720 (A. Scriattoli, Vetralla., Vetralla 1924, pp. 232-235; Gambardella, 1979, fig. 87), dove la configurazione dell'insieme è ridotta all'essenziale.
La chiesa è iscritta in un rettangolo non molto profondo da cui sporge soltanto l'abside con l'altare maggiore; la navata si estende soltanto per due campate, con le cappelle laterali contenute fra pilastri singoli, e si apre nella crociera sormontata da una cupola senza tamburo con lanterna, spartita all'interno da costole in forma di piatte lesene. La facciata (1728-30) il cui corpo centrale è leggermente sporgente, viene articolata mediante pilastri ìn tre campate su tutti e due i pianì, ed è coronata da un frontone triangolare.
Con queste due collegiate nel Viterbese l'attività del C. come architetto di chiese giungeva a termine; ma deve essere stata più vasta di quanto si è accertato finora.
Il Pascoli (1736, p. 554) informa in maniera un po' vaga che il C. "sopraintese a parte" della chiesa dell'Annunziata (Descrizione di Roma moderna, Roma1697, p. 630; M. Vasi, Magnificenze, VIII, Roma 1758, tav. 157). E nell'Inventariodei beni del C. troviamo riferimenti a materiale non ancora rintracciato: ad un "disegno per una chiesa mandato in Portogallo"; ad un altro progetto per una chiesa in Mantova, dei padrì dì S. Marcello; ad un disegno per i campanili di S. Pietro, di cui non sappiamo se fosse suo o di suo padre. Si hanno notizie anche della sua più o meno estesa attività per il palazzo di Propaganda Fide; per S. Paolo fuori le mura; per SS. Apostgli; per le chiese di Cerveteri e Riano (su commissione del principe Ruspoli); per il duomo di Albano (per monsignor d'Aste); per i monasteri di S. Ruffina, Regina Coeli, SS. Domenico e Sisto a Farfa, per menzionare solo gli edifici più importanti.
Sia in Roma che fuori, il C., come il suo coetaneo Carlo Fontana, si fece conoscere come ìdeatore di cappelle e altari. La prima cappella di una certa notorietà da lui progettata è la cappella Marcaccioni in S. Maria del Suffragio, del 1674 circa (Hager, 1969, p. 119 n. 11), nella quale la struttura sopra l'altare volge verso lo spettatore il lato convesso quasi a presentargli l'immagine della Madonna portata da angeli. Quadri laterali servono da sfondo per i busti dei defunti (Bruhns, 1940, p. 381, fig. 299; Via Giulia, 1975, pp. 336 fig. 24, 341).
Più importante però è la cappella Elci in S. Sabina sull'Aventino, dedicata a s. Caterina, la cui realizzazione si protrasse dal 1671 al 1688 (Berthier, 1910). Progettata su pianta quadrata con gli angoli tagliati, si distingue non solo per la policromia concepita in contrasti molto luminosi, cui armoniosamente si aggiungono gli affreschi nei pennacchi e nella cupola dì Giovanni Odazzi, ma soprattutto per l'impiego della luce (Hager, 1969, p. 110). Quando essa era vicina ad essere terminata, il C. concepì un secondo capolavoro: la cappella de' Angelis in S. Maria in Aracoeli (1682-1684) dedicata a s. Pietro d'Alcantara, di schema planimetrico simile, e ancora più vicina alla cappella Raimondi in S. Pietro in Montorio del Bernini, per la scenografica impostazione della decorazione scultorea sopra l'altare, opera di Michele Maille (M. Nicaud, in L'Urbe, IV [1939], 3, pp. 13-18 passim). Il disegno della decorazione figurativa, come impostazione generale, è facilmente attribuibile al C. stesso.
Di minore importanza sono la sistemazione dell'altare nella cappella di S. Rita in S. Agosfino (terza a destra), e l'apertura di un coretto sopra la cappella di S. Monica nella medesima chiesa (Donati, 1940, pp. 22, 26 n. 27), che venne poi chiusa dal Vanvitelli. Disegnì per l'urna di s. Rita vengono menzionati nell'Inventario dei beni.
Commissione più notevole fu quella di tradurre in marmo (1682) l'altare di stucco del 1677 dell'allora veneratissima Madonna delle Grazie, che si trovava in un passaggio del palazzetto Venezia. L'altare, con il suo tabernacolo che racchiude l'effigie della Madonna con Bambino adorata, alla maniera berniniana, da due angeli inginocchiati, di Filippo Carcani, fu trasferito (1911), con la sua cappella fedelmente ricostruita, nel palazzo Venezia. L'attribuzione dell'altare originale a Carlo Fontana (Coudenhove Erthal, 1930, p. 5) è senza prove e, al contrario, è più probabile che esso fosse già dei C. (Hager, 1976).
Successore del Borromini come architetto della Sapienza, il C. disegnò l'altare di S. Ivo e l'incomiciatura del quadro di Pietro da Cortona, la quale culminava in un frontespizio a padiglione (tre progetti sono conservati nell'Arch. di Stato di Roma: vedi P. Portoghesì, Borrominì nella cultura europea, Roma 1964, pp. 49, 60, figg. 59., 70, 71; Del Piazzo, 1968, pp. 153 s.; Donati, 1940, pp. 197 n. 32, 397 s.).
Il C. fu di nuovo precondizionato nella realizzazione della cappella dei SS. Guinizzone e Gennaro a Montecassino, dove dovette attenersi alla forma delle cappelle già esistenti (Hager, 1970, pp. 99 s., 109 s.); e non molto libero fu nel caso della cappella di S. Giovanni Battista in S. Maria in Campitelli (seconda a sinistra), sistemata per ordine del cardinale Paluzzo degli Albertoni-Altieri, che l'aveva scelta come luogo di sepoltura. Fu questa l'ultima cappella, alla cui sistemazione il C. attese, nel 1697, con la partecipazione di diversi scultori tra cui di nuovo il Maille (A. Schiavo, Palazzo Altieri, Roma s. d., p. 192).
Nella contemporanea cappella Capocaccia in S. Maria della Vittoria il C. creò un ricettacolo per il gruppo statuario del Sognodi s. Giuseppe di Domenico Guidi. L'architettura del tabernacolo a prospettiva aperta, non poteva essere altro che una copia di quella della cappella di S. Teresa del Bernini che le sta di fronte (Fagiolo dell'Arco-Carandini, 1977, p. 261 n. 10; Enggass, 1976, p. 24). Da menzionare il rifacimento dell'altare maggiore della Collegiata di Ariccia che nel 1689 fu staccato dal muro e ingrandito, per poter collocare sotto la mensa il corpo di s. Deodato; e, in occasione dell'allargamento dello spazio per i canonici, fu data ai gradini una forma convessa (E. Lucidi, Memorie storiche dell'antichissimo municipio... di Ariccia, Roma 1796, pp. 342, 345; Golzio, 1939, pp. 242, 252 s.).
Nell'Inventario dei beni troviamo anche riferimento ad una "Pianta di una cappella nella chiesa di SS. Apostoli", ma non siamo sicuri se sia sua o non piuttosto di Francesco, al tempo in cui questi lavorava per la chiesa (E. Zocca, La Basilica dei SS. Apostoli in Roma, Roma 1959, p. 56). E non è rintracciabile un "Disegno dell'altare in Spagna"; così come ignoriamo quale fosse la cappella in S. Giacomo degli Incurabili fatta dal C. e di cui egli conservava in casa un disegno incorniciato.
Come è stato ricordato, la carriera del C. ebbe inizio con la progettazione di una struttura effimera: il catafalco di Alessandro VII del 30 maggio 1667 (Hager, 1976, pp. 87 s., 91 n. 51; Battaglia, 1941, p. 14 n. 20). Lo schema verrà ripreso dall'architetto nel 1700 per la struttura funeraria per Innocenzo XII (Hager, 1976, pp. 88, 91 n. 52), e variato nel catafalco eretto nella chiesa del Gesù per il cardinale Antonio Barberini nel novembre del 1671 (il documento in M. Aronberg Lavin, Seventeenth-Century Barberini Documents..., New York 1975, p. 44, doc. 358), l'opera forse più ingegnosa e sciolta del. C. in questo genere, dove trasforma gli obelischi in reggicandelabri, che torneranno, in tal forma, nel catafalco per Bartolomeo Ruspoli del 1689 (Fagiolo dell'Arco-Carandini, 1977, pp. 274 s., 294 s.). Da questo gruppo si distacca il catafalco per Clemente IX del 1669, nel quale il C. impiega la forma di un tempietto dorico sormontato, in maniera assai inconsueta, dal motivo delle costole che sincrociano e che derivano dal primo progetto del Bemini per il tabernacolo di S. Pietro del 1624 (vedi in particolare, per questo tipo di strutture, Fagiolo dell'Arco-Carandini, 1977).
Sembra invece che fosse assai limitata l'attività del C. nel campo dei monumenti funebri di carattere permanente, e che si esaurisca tutta nei monumenti nella ricordata cappella Marcaccioni in S. Maria del Suffragio, e in quello per la principessa Eleonora Borghese in S. Lucia dei Ginnasi che, alla demolizione di questa, fu trasferito nella chiesa dei SS. Alessio e Bonifazio all'Aventino; il monumento, su disegno del C., fu eseguito (1702-04) dallo scultore Andrea Fucigna (Hager, 1969).
Dall'Inventario dei beni sappiamo anche di un "modello di creta per un deposito di un Pontefice con telaro attorno di tavola e tavoletta sotto di p.mi 2 et 1 1/4" e di un altro "simile fatto per un Gran M.ro di Malta di p.mi 2 1/2 e 1/4".
Nonostante un patronato assai notevole e un'attività estesa nel campo dell'architettura profana, per quel che riguarda la costruzione di palazzi o ville, il C. non svolse in Roma compiti veramente significativi.
Dal 1671 in poi eseguì per il cardinale Carlo Barberini modifiche nel cinquecentesco palazzetto facente parte della villa Barberini sul Gianicolo, dove progettò pure l'ingrandimento del casino della Palma sopra un declivio del terreno (Battaglia, 1943, con disegni autografi del C. su tav. IIa, IVb; I. Belli Barsali, Ville di Roma, Roma 1970, pp. 42 ss., 89 s. n. 90). Disegni e una perizia datata 20 maggio 1688 per la "Casa di Siena dell'Ecc.mo Sig. Principe D. Agostino Chigi" si trovano nella Biblioteca Vaticana, Mss. Chigi, p. VII, ff. 45 s. Quando Carlo Fontana sistemò il palazzo Ludovisi per la nuova fimzione di Curia, sembrava venuta anche per il C. l'ora per un compito importante, perché i Capranica, che possedevano terreni sul lato opposto della piazza, lo incaricarono di elaborare un progetto per un nuovo palazzo. Nel 1695 fu presentato alla presidenza del Tribunale delle Strade (Borsi, in Montecitorio, 1972, pp. 34, 112; docc. 25 s., 39), ma non fu mai eseguito.
Nel 1696, con il Fontana, nel 1696-97 e ancora- nel 1722, con Alessandro Specchi, il C. è documentato come stimatore di lavori nel palazzo del Quirinale e "suo Giardino" (Dei Piazzo, in Il Quirinale, Roma 1973, p. 262).
Sul finire del secolo costruì la sopraelevazione sul fianco.sinistro di palazzo Chigi, che tanto ne disturba l'equilibrio estetico, per potervi sistemare la biblioteca del cardinale Flavio. la famosa "Chigiana", che vi fu portata già nel 1695, e per la quale disegnò anche le scaffalature (R. Lefevre, Palazzo Chigi, Roma 1972, pp. 162-164). Nel 1699 gli fu affidata la sopraelevazione di palazzo Sacchetti in via Giulia, sullato del Tevere (L. Salerno, in Via Giulia, 1975, p. 313).
Più importanti di queste commissioni occasionali furono quelle affidategli fuori città, come, a Santa Marinella, l'allargamento della fortezza e del giardino del cardinale Carlo Barberini (1692), e la costruzione di un casino in un giardino da collegare con la fortezza mediante una strada alberata (1697). Dei disegni relativi, assai numerosi, che si trovano nella Biblioteca Vaticana e furono pubblicati dal Fiore (1976), sono interessanti quelli che configurano il casino su pianta pentagonale, una libera elaborazione di quello che Francesco Contini aveva costruito per il giardino dei palazzo Barberini a Palestrina, scartato a favore di un progetto piuttosto modesto. Vi si notano anche certe tangenze con uno disegnato nel 1687 da Carlo Fontana per una località ignota o nel Veneto" (Braham-Hager, 1977, pp. 107 ss.).
Non modesto come potrebbe parere a prima vista fu l'incarico di preparare i restauri dello "stallone" del palazzo Farnese a Caprarola, in concorrenza con S. Cipriani e C. Fontana, che poi ricevette l'incarico effettivo (Braham-Hager, 1977, pp. 162 ss.). L'esempio più notevole dell'attività in questo campo è certamente la costruzione (1707-14) del palazzo Buonaccorsi a Macerata, per incarico del conte Raimondo che intendeva sostituire l'edificio precedente con uno più ampio. La facciata del palazzo, che viene annoverato fra i più belli della città, collega il concetto classico dell'impostazione con l'ornamentazione in stile borrominiano delle finestre. Nucleo dell'edificio, la galleria è aperta da finestre verso la facciata e verso il cortile, ed è distinta da un terrazzo con statue. Vengono attribuiti al C. (Paci, 1973) anche la villa e i giardini dei Buonaccorsi realizzati a Montesanto (Potenza Picena). A Roma il C. lavorò per diversi committenti: nel 1719, in veste di architetto dell'Acqua Vergine, costruì un terrazzo con parapetto per il duca di Poli che aveva ottenuto il permesso di ingrandire in tal modo il suo palazzo verso la piazza della Fontana di Trevi, per avvicinarlo alla "mostra d'acqua" (Schiavo, 1956, pp. 95 s.; L. Salerno, in L'accademia... di S. Luca, Roma 1974, p. 69). Secondo il Pascoli 0736, p. 554) "costruì o ammodernò" il palazzo del cardinal Lodovico Pico della Mirandola, e secondo il Moroni (L, p. 318), eseguì il rammodernamento del palazzo del cardinale Tommaso Ruffo in piazza SS. Apostoli (M. Vasi, Itinerario..., a cura di G. Matthiae, Roma 1970, p. 222). L'eredità del C. includeva disegni per altri prelati: nell'Inventario dei beni è elencato "un involto antico di schizzi misure e stime e conti per il palazzo dell'Emm.a S.r Ill.ma Colonna a SS. Apostoli" e disegni del palazzo Ruspoli sempre a. Roma.
Nel 1723, anno della sua morte, insieme con la collegiata di Vignanello egli terminò anche il pal. Marescottì, sulla stessa piazza (Fiore, 1976, pp. 200, 203 n. 22), per il quale creò una semplice e dignitosa facciata. Parte considerevole della sua attività, il C. la dedicò al mondo del teatro e alla creazione di scenari. Durante il carnevale 1679, nella sua casa e alla presenza di Cristina di Svezia e di Benedetto Pamphili, fu recitata l'opera comica Gli equivoci nel sembiante di cui egli stesso fornì il libretto e A. Scarlatti la musica. L'opera fu replicata nel famoso Collegio Clementino (Montalto, 1955, pp. 314, 317). Nel 1697, sostituendone uno più piccolo, per Giuliano e Angelo Capranica costruì un teatro che già nel 1713 subì un rifacimento ad opera di Tommaso Mattei, con la possibile partecipazione di F. Iuvarra (Inv. dei Beni;Rovere-Viale-Brinckmann, 1937, p. 143 n. 1).
Nel 1712 fu chiamato ad allestire il teatro dell'Arcadia, protagonista dell'iniziativa il principe Francesco M. Ruspoli. Si trattava di una struttura "all'antica assai vaga", a tre ordini di sedie, sita sull'Aventino presso S. Sabina, orientata verso il Tevere, ed eseguita secondo Pidea del cavaliere e arcade Girolamo Odam, il quale la disegnò e pubblicò in forma di incisione (C. D'Onofrio, Roma valbene un'abiura, Roma 1976, p. 271). Ancora per il Ruspoli allesti la recita degli oratori Resurrezione (Pasqua 1708) e S. Francesca Romana, che si tenne nel salone nobile del suo palazzo in Roma. U. Kirkendale (in Journal of the American Musicological Society, XX[1967]) p. 235) ne descrive l'allestimento. L'intera decorazione, come il rafforzamento statico degli ambienti, era responsabilità del C., i cui rapporti con la nobile famiglia furono tali che, quando fu in età avanzata il principe gli offrì alloggio nella propria casa (Kirkendale, 1966, pp. 47 ss.).
Pascoli (1736, pp. 552 s.) ricorda come il C. fosse preparato non solo nell'architettura civile e militare, ma, anche "nell'idragogica" e riferisce che assisteva C. Fontana nell'esame e restauro dell'Acqua Paola (sotto Clemente X: Coudenhove Erthal, 1930, p. 48); mette inoltre in evidenza il fatto che egli aveva familiarità, oltre che con l'idraulica, anche con l'idrostatica, in particolare del Reno e del Po nelle zone di Bologna e Ferrara, dove si trovò a fronteggiare le ìnondazioni dal 1690 al 1693, quando il cardinal Pamphili era legato a Bologna (Montalto, 1955, pp. 379 s.).
Del 1° apr. 1698 è la sua perizia, illustrata da una pianta, della passonata dei Tevere (Roma, Bibl. Corsiniana, cod. 34, K. 13, n. 5). seguita poco dopo, il 18 giugno, da un progetto per un antemurale per il porto dì Civitavecchia (ibid., n. 24). compito di cui si occupò anche C. Fontana (Braham-Hager, 1977, pp. 167 s.). Come allievo dei Bernini, nel 1681 lo sostituì come architetto dell'Acqua Vergine, posizione che conservò fino al 1720, quando, ormai settantanovenne, gli subentrò il figlio architetto Maffeo (C. D'Onoffio, Roma vista da Roma, Roma 19673 p. 368; Id., 1962, p. 51 n. 11). Al C. viene ipoteticamente attribuito il bacino rotondo della fontana in piazza dell'Aracoeli, oltre a modifiche e restauri a numerose altre fontane di Roma (D'Onofrio, 1962). Del resto egli è l'autore di un "modello in terracotta per una fontana con un conchiglione dove dentro vi è una Vergine col Scocorno [unicorno?]" (Inv. dei beni). Si può tentare di attribuirgli anche un disegno conservato a Windsor Castle, del tempo di Clemente XI, per una fontana coperta da un padiglione, con la statua di Minerva al centro della tazza, destinata al cortile ottagono del Belvedere nel Vaticano (Braham-Hager, 1977, p. 176). Ancora sotto il pontefice Clemente XI il C. si era occupato del progetto dì rialzamento dei ponte S. Angelo, realizzato solo in tempi moderni, per il quale un disegno con descrizione, datato 1711, è menzionato nell'Inventario dei beni.
Alcuni anni prima gli era stato ordinato lo "scandaglio della spesa" per il restauro delle mura della città che erano divenute difettose in diversi punti (Valesio, [1702-1703], p. 319). Nel 1703 fu scelto per l'impegnativo compito di sollevare, con Carlo e Francesco Fontana, la Colonna Antonina, trovata allora vicino a Montecitorio (cfr. C. D'Onofrio, Gliobelischi, Roma 1967, p. 243; Oechslin, 1972, p. 48 n. 78).
Il C. morì a Roma il 16 ott. 1723 (parrocchia di S. Marcello) e dopo una "decorosa pompa funebre", fu deposto nel sepolcro di famiglia nella Chiesa Nuova, dove fu seguito tre anni dopo (12 luglio 1726) dalla moglie Francesca Crescenzi, che aveva sposato il 12 sett. 1682, nel battistero lateranense. Dei numerosi figli due lo seguirono nella professione: Giulio nato il 3 maggio 1684, del quale si sa soltanto che combatteva in Germania con il grado di capitano di cavalleria, e Maffeo.
Pascoli (11736, pp. 554 s.) lo dipinge come uomo di spirito e mondano che "si divertiva in savi ed ameni discorsi..., in giochi onesti e dì spasso" e che viveva "spendendo generosamente per ben trattarsi... trascurando le piccole mercedi, e badando solo alle grandi". In verità l'architetto si cimentò con molti compiti di ordinaria routine e spesso di carattere modesto.
Dopo un inizio assai promettente e dopo essere giunto quarantaduenne alla carica più alta nell'Accademia di S. Luca, quando sembrava in grado di competere con ìl coetaneo C. Fontana, la cui carriera mostra una chiara linea ascendente, egli non riuscì ad affermarsi in Roma. Dimostrò invece una notevole flessibilità nell'adattarsi a commissioni che gli provenivano dallo Stato pontificio. A parte, infatti, le cappelle in S. Sabina e in S. Maria in Aracceli che stabilirono la sua reputazione come architetto romano di una certa distinzione, le sue opere principali si trovano fuori città: a Montecassino, dove egli determinò in maniera molto fortunata un vasto programma edilizio, e a Macerata dove la chiesa dei filippini e il palazzo Buonaccorsi lo mostrano al culmine della sua carriera, capace di valersi felicemente del repertorio della tradizione del pieno barocco romano; ma, allo stesso tempo, sia a Macerata, sia, in maniera paradigmatica nelle opere sue in genere, egli appare fruitore delle conquiste stilistiche di quel periodo piuttosto che protagonista capace di condurle in nuove direzioni. La sua frequente partecipazione nel Settecento al programma d'istruzione dell'Accademia documenta la sua inclinazione per l'insegnamento e conferma quello che in proposito aveva scritto il Pascoli (1736, p. 555): "e per tirar innanzi glì scolari prendeva ogni impegno". Ma quando cerchiamo di rintracciare il frutto di quest'insegnamento e l'influsso delle sue opere non possiamo fare a meno di constatare che non lasciò riguardevole impronta. Come suo allievo è identificabile, documentariamente, nel 1695, soltanto Sebastiano Cipriani (P. Pecchiai, Il Gesù di Roma, Roma 1952, p. 159) che però subi talmente l'influsso di C. Fontana da poter essere annoverato senza difficoltà fra i membrì della sua "scuola" (BrahamHager, 1977, p. 18).
Oltre a questo e al suo proprio figlio Maffeo, del resto poco noto, l'unico architetto che raggiunse a Roma un certo livello e che finora è stato considerato come suo allievo è Gabriele Valvassori, perché partecipava ai concorsi dell'Accademia quando il C. vi era attivo (G. Carandente, Il palazzo Doria Pamphili, Milano 1975, p. 191).
II suo modo di disegnare, sebbene non senza freschezza nel contrasto dei colori (per lo più in grigio forte e giallo, occasionalmente rosa e altri), non arriva di solito al livello di quello dì C. Fontana (Braham-Hager, 1977, pp. 19 s.), ma rimane piuttosto duro, senza sfumature e quasi primitivo, specialmente nella resa dei particolari figurativi, fatto sorprendente ìn un architetto che era stato uno degli allievi più intimi dei Bernini, e che era capace di produrre in cappelle ed altari effetti colorisfici assai sofisticati.
Classificato non senza giustificazione come esponente del classicismo barocco, dimostra eleganza ed effetti molto sciolti in alcuni dei suoi catafalchi, come per esempio in quello per Antonio Barberini, del 1671.
Non mancano tangenze con l'opera del Borromini, come nell'altare a S. Ivo, in S. Francesco delle Stimmate, a S. Domenico a Ravenna e nella decoratone delle finestre del convento dei filippini e del palazzo Buonaccorsi a Macerata (Paci, 1971 p. 80), le quali fanno molto.dubitare che il famoso dialogo (Pascoli, 1736, pp. 555-558) con un molto pretenzioso giovane, durante il quale espresse in maniera spietatissima il suo disdegno per "le tante centine, centinati e centinature" e le "forme triangolari, esagonali e ottangolari...", possa essere veramente rivelatore della sua filosofia architettonica, e non ìndichi piuttosto preoccupazione da lui nutrita che lo sviluppo dell'architettura, verso la fine del Seicento, potesse essere condotto, "sull'ultimo moderno buongusto" citato dal "Borrominello", alla disintegrazione della dignità classica, che egli vedeva dissolversi in una ornamentazione ultraparticolareggiata, e senza significato perché staccata dalla subordinazione al complessivo schema architettonico (Hager, 1976, p. 84). E sebbene al C. la "maggior sodezza, grandiosità, maestà, e signoria" talvolta riesca piuttosto arida e addirittura banale, come nelle collegiate di Vignanello e Vetralla, tuttavia non si può negargli il merito di aver rappresentato nell'Accademia, all'inizio del nuovo secolo, glì ìdcali della classicità secondo i concetti dei Bernini. Anche se alla maggioranza delle sue opere manca molto della vitalità e genialità che distinguono quelle dei maestro, ciononostante egli si guadagnò rispetto e all'inizio del Settecento fu riconosciuto dai contemporanei a Roma "Architetto di primo grido" (Fagiolo dall'Arco-Carindini, 1977, p. 348). Pascoli (1736, pp. 559 s.) ci informa che dopo la morte di Clemente XI (1721), di cui aveva goduto il patronato, anziano e sofferente egli stesso, non compi più opere significative sotto il nuovo papa Innocenzo XIII.
Il figlio Maffeonacque a Roma il 4 luglio 1691 (Arch. stor. dei Vicariato, Parr. di S. Maria in Via). È menzionato dal Pascoli (1736, p. 560) come seguace del C. nella professione e come "architetto dell'Acqua di Trevi". Dal 1720 successe al padre nella carica di architetto dell'Acqua Vergine. Ebbe inoltre la funzione di "Revisore e Commissario dell'Acqua di Piazza Navona" (D'Onofrio, 1967).
Sulla sua attività professionale abbiamo scarsissime notizie: al momento sappiamo solo di un pagamento che gli venne fatto nel 1733 in connessione con il suo incarico di architetto della fontana di Trevi. Il Pascoli ci informa che egli era sposato con "una gentildonna di casa Franconi, che fu crede di certi Fontana parenti di Domenico, che si rendè celebre nel pontificato di Sisto". Con la sua scomparsa, intorno al 1743, termina, piuttosto silenziosamente, la "dinastia" degli architetti Contini (Fasolo, 1961) che, a differenti livelli di importanza, svolse il proprio ruolo a Roma per circa un secolo e mezzo.
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