COMELLI, Giovan Battista
Nacque a Bologna il 24 giugno 1776 da Francesco e da Gertrude Bellentani; il padre, che fu un celebre costruttore di orologi, era originario del villaggio di Bargi, sito nell'alto Appennino presso il confine toscano. Il C. seguì in Bologna studi di filosofia e di medicina, fino alla laurea conseguita il 19 nov. 1799. Tra i suoi maestri si ricordano il fisico Canterzani, Giovanni Aldini e Luigi Galvani. All'ospedale della Morte, che frequentò come astante per qualche anno, ebbe a compagno di studi Matteo Venturoli, che divenne poi docente nell'ateneo bolognese e resse per molti anni l'insegnamento della chirurgia.
Seguì, nei primi passi della sua carriera, l'insegnamento di Carlo Mondini e fu allievo anche di Gaetano Gaspare Uttini; ma si formò principalmente alla scuola di Luigi Laghi che lo ebbe tra gli allievi prediletti. Il Laghi teneva la cattedra di medicina teorica all'università, ed era clinico medico all'ospedale Maggiore, con una vasta attività pratica sostenuta da buona fama; il C. gli fu accanto per diversi anni nell'attività ospedaliera, supplendolo anche nella clientela privata, quando il Laghi, di cagionevole salute, iniziò a rallentare la propria attività.
Egli aveva già acquistato una solida reputazione medica quando G. Tommasini venne da Parma all'università di Bologna, alla cattedra di clinica medica; in quella occasione M. Bufalini, che come supplente aveva svolto l'insegnamento negli anni precedenti, lasciò la clinica e il posto di assistente, al quale il C. venne nominato nell'ottobre 1815. Iniziò allora la collaborazione con il Tommasini, che in quegli anni andava organizzando il corpo della sua "nuova dottrina medica italiana". Nello ottobre 1824 ebbe la nomina a professore supplente. Quando poi, nel settembre 1829, il Tommasini lasciò la cattedra e l'ospedale bolognese, il C. gli succedette come medico primario. Nello stesso anno fu ascritto al Collegio medico chirurgico della città. Da allora, per più di trent'anni, egli resse l'insegnamento della clinica medica. Fu anche tra i soci della Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna e nel 1842 venne nominato accademico benedettino o pensionato dello stesso Istituto.
Parallelamente alla sua carriera scientifica e alle tappe della lunga attività di docente, si consolidava una notorietà nello esercizio della attività ospedaliera che lo faceva annoverare tra i medici più celebrati del suo tempo. Socio di diverse accademie italiane e straniere, fu anche membro e vicepresidente del Consiglio provinciale di sanità. Vigoroso e attivo fino in tarda età, non lasciò l'insegnamento e la direzione della clinica medica che nel 1860, a 84 anni. Ritiratosi dagli impegni pubblici, non cessò tuttavia dalla professione privata che condusse incessantemente fino all'età di 90 anni.
Per tracciare il profilo scientifico del C. occorre tenere conto dell'influenza che ebbe su di lui la collaborazione con Giacomo Tommasini; fino dai primi anni del suo lavoro nella clinica medica di Bologna, infatti, il C. dimostrò di. seguire i principi del maestro. Nel 1818 si era inserito nella polemica tra sostenitori e oppositori della nuova dottrina medica italiana con un lavoro che apparve negli Opuscoli scientifici.
Tra gli avversari più tenaci del Tommasini si segnalava in quegli anni G. B. Spallanzani, che aveva pubblicato in Reggio Emilia, nel 1818, le Lettere medico-critiche sulla Nuova dottrina medica italiana testé sviluppata dal sig. prof. Giacomo Tommasini; in esse, accanto alle principali questioni di dottrina, l'autore aveva anche discusso della classificazione di alcuni farmaci, come il tartaro stibiato e la acqua coobata di lauroceraso, che il Tommasini riteneva controstimolanti mentre gli esperimenti di altri autori, e segnatamente quelli di Bergonzi a Reggio Emilia, li volevano dimostrare stimolanti. Il C., avvalendosi della collaborazione di altri docenti dell'ateneo bolognese, tra i quali Gandolfi, Notari e Gualandi che lo assistettero nella sperimentazione condotta su qualche decina di conigli, giunse a conclusioni opposte a quelle del Bergonzi, che pubblicò nelle Esperienze comparative col tartaro stibiato, e coll'acqua di lauro ceraso ne' conigli fatta sotto la direzione del professor Tommasini nel Clinico Instituto di Bologna in aprile, maggio e dicembre 1817, in Opuscoli scientifici, II (1818), pp. 50-63.
Gli anni più fecondi per la produzione scientifica del C. appaiono però quelli a partire dal 1840; i suoi lavori furono ospitati negli Atti dell'Accademia delle scienze dello Istituto di Bologna, nelle Memorie o nei Rendiconti. Nel 1842 trattò della Necessità di ben definire mediante pratiche osservazioni il modo di agire delle sostanze medicinali, in Rendiconti d. Acc. d. scienze d. Ist. di Bologna, pp. 126 ss. Nel 1845 pubblicò Cinque casi di tifo contagioso, ibid. (1844-45), pp. 55 ss.Più volte tornò ad affrontare il tema dei morbi epidemici e delle febbri. Nel marzo 1849 lesse una relazione Delle intermittenti che hanno regnato presso di noi nell'autunno ultimo passato, ibid. (1848-49), pp. 41 ss., su un morbo caratterizzato da disturbi gastroenterici che aveva colpito le armate soggiornanti nelle province venete. Già nel 1846 si era occupato della natura delle febbri intermittenti, e aveva ripreso l'argomento nel 1847, quando aveva trattato di una epidemia catarrale reumatica osservata durante l'inverno precedente.
Il suo lavoro di maggior respiro su questo argomento resta però quello Sulla natura e l'indole del Grippe onde rilevarne più chiara e ragionevole la patogenia e più utile la terapia, apparso nelle Memorie d. Acc. d. scienze d. Istit. di Bologna, II (1850), pp. 51-66, nel quale trattò della epidemia influenzale che aveva imperversato in Bologna tra il dic. 1847 e il genn. 1848. Riferendosi all'Epidemicus latens di altri autori, al "nescio quid in aere regnans" del Targa e agli omologhi concetti di Frank o di Borsieri, annotò l'importanza delle condizioni atmosferiche nell'eziologia dell'influenza epidemica, che definì una "affezione bronco catarrale di indole irritativa"; quel "miasma particolare sparso e diffuso" appariva di carattere "disaffine" all'organismo e quindi, per usare il linguaggio di Tommasini, non stimolante né controstimolante, ma piuttosto irritante e tale da produrre, nelle parti elettivamente colpite, soprattutto le bronchiali, i caratteri della flogosi. Il C. restava tuttavia nella scia di autori precedenti nell'escludere la contagiosità del morbo. Sull'argomento della tosse, allora chiamata "coqueloque", scrivendone nei Rend. d. Acc. d. scienze d. Ist. di Bologna (1852-53), pp. 43 ss., espresse alcune osservazioni originali, in contraddizione con altre accreditate opinioni che la definivano una "neurosi"; per la terapia raccomandò, attenendosi al parere di Brofferio, suffimigi di acqua coobata di lauroceraso. Di un certo interesse appare anche la nota Sulla anestesia come soccorso terapeutico nelle interne cliniche contingenze, ibid. (1850-51), pp. 7ss., discussione di due casi in cui applicò, con qualche vantaggio, in malattie altrimenti incurabili - un caso di tetano e uno di idrofobia - la tecnica dell'anestesia mediante cloroformio. Si ricorda anche la precoce attenzione che il C. dedicò al metodo dell'auscultazione in semeiotica; sebbene egli non si impratichisse personalmente in questa tecnica, ne sostenne comunque l'utilità e volle che ne fosse impartito l'insegnamento agli allievi della sua clinica. Fu tra i primi a introdurre in Italia la cura della polmonite con il metodo "inglese", cioè polvere di calomelano e oppio, senza il salasso. Del salasso infatti egli fece uso assai moderato, anche in quelle malattie nelle quali allora si solevano praticare abbondanti sottrazioni di sangue. Un lavoro utile a comprendere la posizione di dottrina del C. è la relazione che lesse all'Accademia il 18marzo 1852, Della convenienza ed utilità dell'eclettismo nella pratica medicina, pubblicata nelle Mem. d. Acc. d. scienze d. Ist. di Bologna, IV (1853), pp. 43-59; in essa è ancora evidente l'influenza del Tommasini per l'asserito intento di accordare nell'"eclettismo" le necessità dell'empirismo e le dottrine dei sistemi medici, e singolarmente della nuova dottrina italiana.
Al di là dei contributi scientifici, il C. venne comunque ricordato per la lunga attività di docente, che lo vide maestro di una numerosa schiera di medici, e per il vasto consenso che la sua attività clinica registrò anche fuori della sua regione.
Rimasto vedovo di Anna Verati, egli visse gli ultimi anni della sua vita, insieme alla famiglia del figlio Francesco, a Bologna. Nella primavera del 1866 fu colto da erniplegia; visse ancora un anno assai tormentato e morì a Bologna il 29 giugno 1867.
Bibl.: In on. di G. B. C., clinico nell'università di Bologna, Bologna 1830; S. Mazzetti, Repert. di tutti i professori antichi e moderni della famosa università e del celebre Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1847; G. Brugnoli, Biografia degli illustri clinici bolognesi G. B. C. e M. Venturoli, Bologna 1868; G. B. Ercolani, L'Accad. delle scienze dell'Istituto di Bologna della origine a tutto il MDCCCLXXX, Bologna 1881; utile, inoltre, per gli ampi riferimenti al casato e le note suglialtri personaggi di rilievo della famiglia e il volume di G. B. Comelli, Bargi e la Val di Limentra, Bologna 1917.