CODRONCHI, Giovan Battista
Nacque a Imola il 27 ag. 1547 da Alessandro e Camilla Maltachetti. Compì i primi studi nella città natale, poi si recò a Bologna a studiare medicina, laureandosi il 24 ott. 1572. Si dedicò all'esercizio professionale a Imola e venne chiamato a far parte del Consiglio cittadino, ma la salute, che fu sempre malferma, lo costrinse ad abbandonare tale incarico politico. Analogamente, nominato nel 1591 vessillifero della città e ufficiale della Spesa, già un anno dopo rinunciava anche a queste cariche.
Il suo primo scritto fu una dissertazione sulle acque minerali di Riolo e Valsenio (De aquis Rioli ac Vallissenii libellus, Imolae 1579), ma i principali interessi del C. si rivolsero ben presto a quella che oggi verrebbe definita medicina legale, disciplina della quale egli fu tra i primi a tracciare i lineamenti, anche se in forma ancora piuttosto vaga, il più delle volte indissolubilmente legata a una casistica di etica professionale. Nel 1589 viene infatti stampato a Venezia il testo Casi di coscienza pertinenti a medici principalmente e anco a infermi,infermieri e sani, che può essere appunto ricordato come uno del primi trattati di deontologia medica. Successivo a questo è il De Christiana ac tuta medendi ratione (Ferrara 1591), di argomento analogo, dedicato a Girolamo Mercuriale, che aveva sollecitato il C. alla pubblicazione.
Il trattato esorta i medici a non posporre alla cura dei mali fisici altrui la cura della propria anima e il metodo seguito nella stesura consiste nel raccogliere ordinatamente, dagli scritti dei dottori della Chiesa, i brani attinenti ai doveri del medico. L'opera rivela chiaramente due fondamentali aspetti della personalità del C.: da un lato vediamo il suo radicale conservatorismo in campo scientifico, manifestantesi nel suo elogio della "medicina veterum", il cui patrimonio di esperienza supererebbe il confronto con le nuove ricerche; dall'altro riscontriamo le assillanti preoccupazioni etico-religiose che conducono allo sviluppo di una pedante casistica di morale professionale, nella quale il possibile errore materiale del medico coincide con un errore morale e religioso.
Sono del 1595 le due principali opere del C.: De morbis veneficis ac veneficiis e Methodus testificandi, pubblicate congiuntamente a Venezia.
Il primo scritto ha lo scopo di dimostrare che il veneficium, equivalente per il C. al maleficium, è un fenomeno reale provocato dai demoni. Per dimostrare l'esistenza di questi ultimi, l'autore si serve di argonenti biblici e filosofici: giunge così alla dibattutissima questione se la filosofia di Aristotele ammetta o no i demoni. Il C. risponde affermativamente pur ammettendo che Aristotele non tratta esplicitamente il problema; alle stesse conclusioni egli giunge anche parlando di Ippocrate e di Galeno. La principale preoccupazione del C., in questo scritto, è quella di dimostrare come sia il pensiero filosofico sia il pensiero scientifico e medico giungano a porre questioni che costringono ad abbandonare l'indagine sul mondo fisico per rivolgersi al mondo delle sostanze immateriali: egli polemizza così con Pietro Pomponazzi, negando che le cause naturali siano sufficienti a spiegare fenomeni quali il maleficium. I demoni dunque esistono e conferiscono potere agli strumenti magici (di per sé inattivi), i cui effetti possono essere combattuti con certi medicinali, benedetti e utilizzati con spirito di devozione. Il trattato si conclude così con una dissertazione a carattere esorcistico, nella quale vengono anche riportate le preghiere che con maggiore efficacia possono essere recitate nei casi di possessione e di maleficio diabolici. La seconda opera, Methodus testificandi, è un altro esempio, ancora primitivo, di trattato di medicina forense. La nozione di tale disciplina è tuttavia ancora allo stadio di una vaga intuizione: la medicina legale non è ancora separata dalla medicina generale e anche qui si tratta pur sempre di un medico generico che si occupa di questioni legali.
Nonostante il suo già accennato conservatorismo metodologico, i lavori del C. contribuirono ad aprire nuovi campi di ricerca, oltre a quello della medicina legale: costituiscono infatti novità di notevole portata i suoi studi di laringoiatria e le sue ricerche sull'idrofobia, mentre non trascurabili intuizioni relative al campo igienico-profilattico sono contenute in certe osservazioni sulle febbri influenzali a carattere epidemico sviluppatesi nella sua città. Al primo argomento citato si riferisce il De vitiis vocis, pubblicato a Francoforte nel 1597, opera nella quale vengono prese in esame l'anatomia e la fisiologia della laringe, si classificano i vari tipi di voce e si toccano questioni di patologia e di terapeutica, sempre relative alla laringe.
Nel 1602 C. raccolse le proprie osservazioni sulle febbri epidemiche che colpirono Imola nel 1599 e nello stesso 1602. Riuscito a individuare un nesso tra le febbri e i miasmi esalati dai maceratoi di canapa situati nella campagna circostante, sollecitò con successo la rimozione dei maceratoi stessi. Gli appunti raccolti in quel periodo diedero origine al De morbis qui Imolae et alibi communiter vagati sunt commentariolum, stampato a Bologna nel 1603. Contributi notevolissimi furono quelli dati dal C. (grande precursore in questo campo) agli studi sull'eziologia dell'idrofobia: egli identifica la causa della malattia in un veleno (virus) che si trasmette attraverso il morso degli animali infetti. All'argomento è dedicato il De rabie,hydrophobia communiter dicta, pubblicato a Francoforte nel 1610.
Il C. aveva sposato Irene Teodosi, figlia del medico Giambattista, professore all'università di Bologna; dal matrimonio erano nati ben quattordici figli, dei quali, però, erano sopravvissuti soltanto due femmine e un maschio, Tommaso, medico anch'egli, ma destinato a morire a soli ventiquattro anni. Appunto Tommaso curò la versione italiana e la pubblicazione (Bologna 1612) di varie parti del De rabie, sotto il titolo di Compendio della cura che si deve alla morsicatura e saliva inghiottita degli animali arrabbiati,et in particolare del cane,e della preservazione della rabbia. Nel 1618 morì Irene e il C., spinto dalle idee religiose che aveva sempre coltivato, prese i voti. Non sospese tuttavia completamente l'attività scientifica e nel 1620 comparve a Bologna la sua ultima opera: De annis climactericis.
Morì a Imola il 21 febbr. 1628.
Bibl.: A. Filippi, Eseg. medico-legali sul "Methodus testificandi" di G. B. C., Firenze 1883; P. Capparoni, Profili bio-bibliogr. di medici e natur. cel. ital., I, Roma 1926, pp. 28-30; A. Pazzini, Storia della medicina, Milano 1947, pp. 700 s.; L. Thorndike, History of magic and experimental Science, VI, New York 1959, pp. 545-47; G. Zanier, Ricerche sulla diffusione e fortuna del "De incantationibus" di Pomponazzi, Firenze 1975, pp. 65-67; E. Fischer-Hamberger, Hebannen und Hymen, in Sudhoffs Arch. für gesch. der Medizin... LXI (1977) p. 81.