CASOTTI, Giovan Battista
Appartenente a famiglia nobile di origine bolognese, nacque a Prato il 21 ott. 1669 da Giovan Ludovico e da Maria Porzia Raffaelli.
Dopo aver frequentato, da chierico, le scuole locali, fu mandato a Firenze per perfezionarsi negli studi letterari, e a Firenze entrò in dimestichezza con i Medici che lo accolsero a corte. Nel 1691, in qualità di segretario di B. Ricasoli, egli seguiva l'ambasciatore fiorentino a Parigi, ove risiedé fino al 1695 stabilendo relazioni col Ménage e con Régnier Desmarais. Tomato a Firenze e ordinatovi sacerdote, fu chiamato nel 1702 a reggere l'Accademia dei nobili ricoprendo una cattedra di filosofia morale e di geografia. Nel 1712 venne nominato professore di storia sacra e profana allo Studio fiorentino, ma poté svolgere tale incarico per breve tempo, ché, giunto a Firenze il giovane principe poi elettore di Sassonia Federico Augusto, il C. fu destinato al suo servizio per volere di Cosimo III. Per l'illustre ospite il C. compose e fece rappresentare Il Vero onore, una "festa teatrale" stampata a Firenze nel 1713; poi, al seguito di Federico Augusto, compì un viaggio nell'Italia settentrionale, soggiomando a Torino e a Venezia, da dove inviò agli amici fiorentini Carlo Tommaso Strozzi e Lorenzo Gianni quelle Lettere che verranno raccolte e pubblicate a Prato a cura di Cesare Guasti nel 1866. Ritomato a Firenze col titolo di conte che gli era stato conferito da Federico Augusto, il C. si poté dedicare con assoluta tranquillità alla sua prediletta attività erudita ritomando sul Della Casa, le cui opere egli aveva già dato alle stampe nel 1707, a Firenze; dedicandosi alla vita di Benedetto Buonmattei e alle opere dei due Buonaccorsi da Montemagno, compilando le Memorie istoriche sull'immagine della Vergine dell'Impruneta. Nel 1720, a seguito di una malattia, il C. fece ritorno a Prato, dove ottenne un canonicato nella cattedrale e l'ascrizione all'Accademia degli Infecondi (appartenne inoltre all'Accademia della Crusca e all'Accademia fiorentina, di cui fu censore nel 1709 e consigliere nel '14, a quella degli Arcadi, con il nome di Dalisto Maicerate, degli Innominati di Bra e degli Apatisti). Risalgono a questo secondo soggiomo pratese la Lettera intorno alla fondazione del napoletano monastero di S. Francesco degli Scarioni e il Ragionamento istorico sulla città di Prato: opera che il C. dovette interrompere perché costretto, forse dalle precarie condizioni di salute, a lasciare la città natale, per stabilirsi nel 1726 all'Impruneta. Qui trascorse gli ultimi anni di vita. Morì all'Impruneta il 6 luglio 1737.
Tipico rappresentante dell'erudizione settecentesca in Toscana, dai limiti culturali un po' angusti ma filologicamente ben disposta a un'attività di ricerca e di sistemazione, il C. merita di essere soprattutto ricordato per le cure rivolte al Della Casa e al Buonmattei. In effetti le Opere di Monsig. Giovanni della Casa con una copiosa giunta di scritture non più stampate (Firenze 1707) risultano di gran lunga accresciute rispetto alle edizioni cinquecentesche (sia la Gemini del 1558 che la giuntina del '64) e ancora più ricca si rivela l'edizione dellacasiana, sempre approntata dal C. per Angiolo Pasinelli: Opere di Monsig. Giovanni della Casa. Edizione veneta novissima. Con aggiunte di opere dello stesso autore e di scritture sopra le medesime, oltre a quelle che si hanno nell'edizione fiorentina del 1707 (Venezia 1728-29, da cui derivano l'edizione napoletana, notevolmente più scorretta, del 1733 e le Opere di Monsignor Giovanni della Casa, seconda edizione veneta accresciuta e ordinata, Venezia 1752).
Il C. utilizza sistematicamente gli inediti fiorentini della Marucelliana e della Riccardiana, nonché della Roncioniana di Prato; non mostra invece di tenere nel dovuto conto, forse per preoccupazioni moralistiche, dell'archivio Ricci-Parraciani, i cui materiali non gli erano comunque ignoti, come dimostrano le trascrizioni eseguite per conto del C. da Eustachio Buglioni. Minore interesse presenta la "Vita" dello scrittore cinquecentesco premessa dal C. alle Opere del 1707. e poi ristampata, con singolare fortuna, in fronte a quasi tutte le edizioni dellacasiane, fino a quella procurata dalla tipografia dei "Classici italiani" (Milano 1806). Qui la biografia si risolve in fredda apologetica, e la tranquilla religiosità dell'erudito si rispecchia del resto perfettamente nell'azione del politico controriformista, del quale viene soprattutto esaltata la virtù oratoria, prescindendo da un'attenta valutazione del trattatista e del poeta.
Siffatte intenzioni d'indole devota invadono anche la biografia di Benedetto Buonmattei, di cui sono lodati il sentimento religioso, il senso dell'onore nel fronteggiare le sfortune domestiche, oltre alle qualità di chiarezza, di ordine che il grammatico cinquecentesco espresse nei due libri Della lingua toscana. Ma a parte queste remore che si riscontrano nell'ideazione generale della "Vita", buone - e consolidate dalle più recenti indagini - sono le osservazioni del C. sul Buonmattei dantista e pregevole si rileva l'edizione, con note del Salvini, che il C. approntò della Lingua toscana (Firenze 1714): quarta in ordine di tempo e prima dopo la morte del Buonmattei, essa può considerarsi pressoché definitiva.
A notevole. distanza da questi lavori si situa la Prefazione ed annotazioni alle prose e rime de' due Buonaccorsi da Montemagno, ed alcune rime di Nicolò Tinucci (Firenze 1718), in cui vengono per la prima volta distinti i due scrittori e sono presentate in appendice rime di minori poeti pratesi del Trecento, mentre dì scarso rilievo si rivelano le opere di erudizione maggiormente stimate dai contemporanei: Memorie istoriche della miracolosa immagine di M. V. dell'Impruneta raccolte da G. B. Casotti lettore d'istoria sacra e profana nello studio di Firenze (Firenze 1714); Lettera del conte G. B. Casotti canonico pratese al n.h. Giovan Battista Recanati patrizio veneto, intorno alla fondazione del Regio Monastero di S. Francesco delli Scarioni della Reale città di Napoli (Firenze 1722); Ragionamento storico dell'origine, de' progressi, e della stato presente della città di Prato inseriti negli Opuscoli scientifici e filologici del Calogerà (I, Venezia 1728, pp. 257 ss.); Pratenses olim Praepositi nunc Episcopi, una dissertazione inserita nel volume III dell'Italia sacra dell'Ughelli (pp. 317 ss.); Annotazioni alla Cronica di Buonaccorso Pitti (Firenze 1720) Cui collaborò il Salvini. Né meritano altro che una menzione le opere dichiaratamente edificanti del C.: Vita di Enrico Barillon vescovo di Lussore (Firenze 1697) ed Esercizio divoto in ossequio di S. Maria Maddalena de' Pazzi (Firenze 1725). Inedite rimasero varie prose recitate all'Accademia fiorentina e le prelezioni di storia universale per lo Studio.
L'opera più vitale del C. tra le non erudite rimane quella corrispondenza Da Venezia: nel 1713 che ha trovato anche di recente un garbato espositore in Achille Bosisio.
Lo scrittore partecipa agli amici fiorentini, "così come la penna getta", le impressioni più immediate del soggiorno veneziano trascorso tra la locanda del Leon bianco e la casa di un francese, certo La Palisse, che abitava presso il campo di S. Moisè "dove vedo passar della gente senza fine e in conseguenza non ci godo la quiete del mio romitorio di S. Tommaso. Ma non si può aver tutto". Nonostante questa punta di rimpianto per la pace toscana, l'avventura letteraria del C. consiste soprattutto nel rivelare ai corrispondenti la Venezia più colorita e chiassosa, quella dei gondolieri che si contendono a colpi di remi e di insulti un buon posto d'osservazione in una festa popolare; quella degli alterchi furibondi - "un vero bordello per cui fu necessario l'intervento della sbirreria" - fra i sostenitori di due rivali per l'elezione del piovano di S. Cassiano; quella, tutta esteriormente godibile, di "Merceria, messa con buonissimo gusto in gala dai mercanti che convertono in nobilissimo ornato, ma con isquisito disegno e con ottima disposizione, le merci della propria bottega, i drappi d'oro, trine e punti finissimi, telerie, nastri d'ogni genere, e fra questi, ogni altra sorte di merce, chè cosa vaghissima e benissimo intesa". Sono proprio questi effetti minori che attraggono l'attenzione del C. anche quando lo spunto della narrazione sembra essere costituito da più severi impegni (una celebrazione ufficiale del doge Giovanni Comer, l'elezione a procuratore di S. Marco di Lorenzo Tiepolo, le esequie del cancelliere grande Pietro Busenello), e persino nei casi in cui la lettera si propone di descrivere luoghi molto celebri, il C. non sfugge alla tentazione di evidenziare uno scorcio desueto, impressionisticamente prezioso della visione, come accade nella descrizione del monastero dei monaci cassinesi di S. Giorgio Maggiore, nella cui biblioteca "i libri per le pitture che ne adornano le coperte formano sugli scaffali una specie di parterre". Si tratta evidentemente di una prosa minore, ma pregevole ed ancora fruibile come quella in cui lo scrittore consegue una media tonalità colloquiale, equidistante sia dalla freddezza dello stile erudito che dalla magniloquenza della trama apologetica. Il destino del C., come quello di molti suoi contemporanei, gli riservava di potersi afferrare alla sensibilità dei posteri con ciò che egli doveva giudicare, non a torto, come una semplice occasione di mondanità.
Bibl.: E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani ill. nelle scienze, lettere ed arti, VII, Venezia 1840, pp. 354-362; L. Campana, Monsignor Giovanni della Casa e i suoi tempi, in Studi stor., XVI (1907), pp. 8 ss.; R. Dumas, De quelques lettres ital. adressdes au marquis de Caumont, in Revue des études ital., VI (1959), pp. 197-210; A. Bosisio, Lettere venez. di G. B. C., in Prato. Storia e arte, XII (1971), 30-31, pp. 33 ss.; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1936, ad Indicem.