CAMPIDORI, Giovan Battista
Figlio di Raffaele, nacque a Faenza il 5 aprile del 1726.
Raffaele, figlio del capomastro Andrea, era nato a Faenza il 12 dic. 1691: Capomastro anch'egli, lavorò associato a G. B. Boschi, di lui più giovane e - sembra - più esperto nel disegno di progetti architettonici; nella maggior parte delle sue costruzioni, adottò lo stile di C. C. Scaletti. Datato 7 ag. 1735 e firmato, con la qualifica di "perito muratore", è uno schizzo sommario delle Mura di Faenza verso il fiume Lamone (Faenza, Arch. comun.), mentre un disegno della "chiesina dei Bertoni" fuori porta Montanara, è allegato al contratto di appalto stipulato col canonico G. Bertoni in data 24 novembre del 1742 (Faenza, Arch. Zauli Naldi, Carte Bertoni):il piccoloedificio ha tutti i caratteri stilistici propri delle opere progettate dallo Scaletti. Dall'ottobre 1740 ebbe inizio la ricostruzione della chiesa di S. Francesco dei minori conventuali, forse su idea dell'arch. C. Mattoni o di A. Torrigiani; l'esecuzione durò più di quindici anni, a criterio dei capomastri faentini R. Campidori e G. B. Boschi, che probabilmente ideò molti particolari esecutivi. Così deve essere avvenuto subito dopo nel palazzo Ferniani, per il quale il Torrigiani aveva preparato uno schizzo, che fu però adattato nell'esecuzione allo stile faentino dei due costruttori; la tecnica muraria e il carattere degli stucchi e delle sagomature sono del tutto uniformi a quelli della facciata del S. Francesco e di altri edifici costruiti dal Boschi e dal C., fra i quali sono da annoverare anche la chiesa delle monache vallombrosane di S. Umiltà (anni 1741-44) e, forse, la chiesa, con annessa palazzina, fatta costruire fuori porta delle Chiavi dal mercante G. Maria Fanelli (anni 1738-40), dedicata a S. Giorgio. Esclusivamente a Raffaele viene invece attribuito il palazzo che fu del can. Bertoni (oggi Bracchini), databile intorno al 1740, oltre naturalmente alle opere in cui, dopo il 1745, ebbe a collaboratore il figlio. Morì a Faenza il 20 ott. 1754.
A differenza del padre, il C. ebbe un'educazione artistica più evoluta, tanto che a ventun anni circa era già in grado di progettare e dirigere opere architettoniche disegnate con eleganza e discernimento: si deve pensare che avesse compiuto viaggi d'istruzione a Bologna, e forse anche a Roma. Delle opere nelle quali collaborò con il padre - apportando spesso anche lievi innovazioni stilistiche - si ricordano: la chiesa della SS. Annunziata in Borgo Durbecco (1746-50) con il capomastro P. Tomba il Vecchio; alcune chiese rurali, come S. Maria di Marzeno e S. Silvestro; in Faenza, il palazzo del conte Scipione Zanelli (oggi Pasi), databile 1745, quello Naldi ai celestini (oggi Cavina), costruito verso il 1750, e forse quello Naldi di S. Orsola (oggi Alpi). Ma la prima costruzione importante, sicuramente da lui progettata (Faenza, Bibl. comun.), fu quella del nuovo ospedale e dell'annessa chiesa di S. Giovanni di Dio, ideata sul finire del 1752. Sia nella facciata del grande fabbricato, essenziale, come nell'interno sobrio e armonico della chiesa, si rivelano le caratteristiche stilistiche del C., il suo rifiuto delle stravaganze esornative del barocchetto e una più cosciente linearità strutturale. Contemporaneamente alla costruzione dell'ospedale, i Campidori, padre e figlio, assunsero l'impresa del rifacimento della antichissima pieve di Sarna, che il C. deve aver progettato e diretto per conto proprio subito dopo la morte del padre, portando avanti per una decina di anni tutta la sistemazione interna in cui, più che altrove, concede spazio a un barocchetto festoso ed aggraziato (anni 1754-64 circa).
Nel 1759 il C. aveva pronto il progetto per il nuovo porticato e sovrastante loggia della parte di mezzogiorno della piazza Maggiore di Faenza, a ridosso dell'antico palazzo del podestà. Nel 1765 fu invitato a presentare progetti per la nuova chiesa di S. Matteo, in concorrenza con altri architetti, fra i quali era anche C. Morelli (la chiesa fu poi costruita molti anni dopo su progetto di G. Pistocchi). Una delle opere del C., minore per volume, ma notevole per impegno creativo, fu la sistemazione, negli anni 1767-68, dell'oratorio di S. Pietro in Vincoli, detto della Beata Vergine della Grazie: egli trasformò un piccolo locale al primo piano, a ridosso della parrocchiale di S. Terenzio, con accesso, a mezzo di scala, dalla piazza del vescovado dietro il duomo; la felice soluzione architettonico-decorativa di questo ridotto ambiente fu arricchita dalla collaborazione di vari artisti (pittori, stuccatori, falegnami, ecc.), che ne fecero un piccolo gioiello di grazia settecentesca. Nel 1770 il C. partecipò col vecchio socio del padre, G. B. Boschi, all'appalto dei lavori per il tronco di chiavicone che dall'angolo della chiesa dei Servi andava al fiume: questa collaborazione si concluse con una lite fra i due protrattasi negli anni 1772-73. Nel 1771 il C. riplasmò la vecchia chiesa di S. Salvatore in Albereto, dandole un carattere di estrema semplicità, con un plastico gioco di volte a vela e a botte alternate. Partecipò poi nel 1775, forse in antitesi al Boschi, al progetto per la ricostruzione, mai eseguita, della chiesa dell'antico ospedale Casa di Dio (oggi loggiato della Congregazione di carità). Nell'anno 1776 venne incaricato, col ravennate C. Moriggia, di esaminare la statica dell'antica torre del podestà e ne firmò la perizia di collabenza che ne consigliava l'abbattimento. Un'opera non documentata ma, per tradizione e per caratteri stilistici, certamente del C. è il rifacimento dell'antico palazzo Severoli, la cui facciata presenta le caratteristiche riquadrature a semplici fasce che si riscontrano anche nella facciata dell'ospedale e in alcune chiese minori. Un ben più ricco e impegnativo prospetto architettonico e quello del palazzo Bertoni, poi Ginnasi, di fronte alla chiesa di S. Agostino, che il C. dovette costruire negli ultimi anni di vita e che alla sua morte (1781) non era ancora finito, specialmente nell'interno.
Nella bella e ricca facciata si notano solo alcuni particolari tipici dello stile del C., come lo zoccolo delle cantine, le pilastrate d'angolo, certe sagomature di cornice, ma nell'insieme l'opera presenta un rococò ricco e arioso, slanciato in verticale, che sembrerebbe progettato da un lombardo piuttosto che da un romano, come è stato detto.
Un'altra opera da assegnare al C. è la sistemazione della villa dei Campidori a Belvedere e, infine, la chiesa rurale di S. Stefano di Corleto, databile al 1778, che nello stile ricorda ancora, sia all'interno sia all'esterno, il S. Giovanni di Dio dell'ospedale di Faenza. Il C. morì a Faenza il 14 maggio 1781 e con lui finì una delle più attive dinastie di costruttori faentini.
Bibl.: A. Montanari, Guida stor. di Faenza, Faenza 1882, pp. 94, 97, 170, 239 (125, 143, 149 per Raffaele); A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, pp. 431, 493, 516 (434, 498 s., 517, 522 per Raffaele); E. Goffieri, Architetti e costruttori nella Faenza settecentesca, in Studi romagnoli, VIII (1957), pp. 86, 92 s., 95 s., 98-100, 108 s. (86, 89 s., 91 ss., 98 per Raffaele); A. Archi, Guida di Faenza, Faenza 1958, pp. 37, 63, 70 (44, 48, 51, 63, 69, 85, 93, 98, 106 per Raffaele); G. Mazzotti, Albereto di Faenza, Faenza 1966, pp. 78, 147; A. Emiliani, in Questa Romagna, (Bologna), 1968, 2, p. 53; A. Savioli-R. Ricci, La pieve di Sarna, Faenza 1971, p. 7, figg. 4 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 472 s.