BRACCIOLINI, Giovan Battista
Secondogenito legittimo di Poggio e di Vaggia de' Buondelmonti, più comunemente chiamato Battista, nacque il 23 febbr. 1440. Educato e istruito personalmente dal padre e poi da un precettore (dal 1454 è il cappellano tedesco Niccolò), a dieci anni già godeva di un beneficio ecclesiastico del reddito di 80 staia di grano annuali.
In occasione dell'entrata in Roma di Federico III, il B. doveva forse recitare l'orazione augurale latina composta dal padre, il quale tuttavia abbandonò il proposito giudicando il destinatario avido e sciocco e non all'altezza di un imperatore. Il B. tenne forse un discorso latino a Niccolò V a nome del padre e dei tre fratellini, ringraziandolo per i benefici concessi a uno di loro e pregandolo di assistere Poggio con visibili aiuti.
Sicuramente a tredici anni, ma forse già dal 1449, il B. era canonico del duomo di Firenze, e aveva la commenda di S. Ippolito e Cassiano a Laterina in diocesi di Arezzo, donde nell'estate del 1456 il cappellano Tommasino di Montevarchi, suo amministratore, fuggiva con soldi, paramenti e vari altri beni. (Per il canonicato della cattedrale di Firenze si veda S. Salvini, Catalogo cronologico de' canonici della chiesa metropolitana fiorentina compilato l'anno 1751, Firenze 1782, p. 45 n. 369, all'anno 1449;gli successe in tale titolo il fratello Filippo che, rinunciandovi nel 1471, passò il beneficio all'altro fratello Gianfrancesco, il quale pure godette della pieve di Laterina alla morte del B.:Salvini, p. 54 n. 409, all'anno 1470, e n. 411 all'anno 1471. Prima del Salvini ricordarono il canonicato del 1449 I. B. Recanati, in Poggi Historia Florentina, Venezia 1715, p. XXXVI, e G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 242). Che poi il B. beneficiasse della pieve di Laterina, da alcuni studiosi confusa con S. Giovanni in Laterano di Roma, dal 13 febbr. 1452, risulta dal documento in tale data (Walser, p. 380) con cui Dietaiuti Moriti chierico fiorentino veniva nominato suo procuratore.
Quanto ai suoi studi, invece di Parigi - che Poggio inizialmente preferiva per la maggior dignità dei professori e per il più concentrato ciclo di cinque anziché di sette anni, usuali in Italia - venne scelta Ferrara (Poggio annunciava al Guarino l'arrivo del figlio: Epistolae, a cura di T. Tonelli, III, Florentiae 1861, pp. 288 s.), dove il B. dalla primavera del 1457, forse per un biennio, studiò filosofia alla scuola di Girolamo Tifernate, cui il padre l'aveva personalmente raccomandato.
Poggio segnalò il figlio anche all'arcivescovo di Ravenna, il ferrarese Bartolomeo Roverella, e si preoccupava della sua sistemazione, ringraziando poi Francesco canonico di Ferrara e Bartolomeo Ghiselardo per i buoni uffici interposti. Poco prima della sua partenza da Firenze, il 1º febbr. 1457 il B.si era emancipato diventando proprietario della casa di Terranuova e di una parte dei beni paterni, tra cui quelli di S. Lorenzo in Collina e S. Martino. A Ferrara dovette alloggiare presso un conoscente del padre, Mariano Sozzino senese (per i suoi rapporti col Poggio, v. ora J. A. Tedeschi, Notes toward a Genealogy of the Sozzini, in Italian Reformation Studies in Honour of Laelius Socinus, Firenze 1965, spec. pp. 285 s.); vi ebbe anche una lite col folignate maestro Ludovico orefice, per la quale il 25 ott. 1459 il B. si faceva rappresentare dal procuratore Francesco Benci senese, residente in Ferrara. Il 25 ott. 1459, cinque giorni prima della morte del padre, era a Firenze, ove dovette risiedere qualche tempo prima di spostarsi alla Curia romana.
Il 1º nov. 1467 i figli di Poggio si spartivano l'eredità fino allora indivisa, essendosi prima i due maggiorenni B. e Iacopo (il primogenito Pier Paolo si era fatto domenicano a S. Marco a Firenze, divenendo poco dopo priore del convento della Minerva a Roma) dichiarati procuratori in solido per i fratelli minori Gianfrancesco e Filippo.
La bolla del 30 maggio 1464con cui Pio II fissava a settanta il numero degli abbreviatori pontifici, tra i sessantacinque registrati nomina il B., il che lascia supporre che già prima egli svolgesse attività curiali. Il 10 febbr. 1466 il B. risulta "taxator litterarum apostolicarum"; tale mansione egli lasciava il 7 genn. 1468 per essere promosso "clericus camerae apostolicae", ufficio che tenne sino alla morte. In data posteriore a tale incarico il cardinale Iacopo Ammannati-Piccolomini (v. Epistolae et Commentarii, Milano 1506, c. 163rv, e p. 671dell'edizione di Francoforte 1614, n. CCLXXXIX) gli scriveva congratulandosi per una lettera, ora perduta, che il B. gli aveva indirizzata dissertando sull'inutilità di tutte le scienze, eccetto la teologia.
Da varie testimonianze, ma soprattutto da una lettera del B. da Roma del 26 nov. 1468 a Lorenzo il Magnifico (inedita e ignota al Walser: Arch. di Stato di Firenze, Arch. Med. av. il Princ., filza XXIII, n. 33), risulta che egli aveva anche il priorato di Montevarchi, il cui godimento gli era contestato in parte dal vescovo di Arezzo (Lorenzo Acciaioli); e il B. chiedeva al Medici di intervenire personalmente a dirimere la questione (la notizia del priorato di Montevarchi è anche in Negri, p. 242).
In una lettera del 15 luglio 1469 F. Filelfo (Epistolarum familiarium libri XXXII, Venetiis 1502, l. XXXI, ep. VI, cc. 212v-213r) spiegava con virulenza polemica a Nicodemo Tranchedino, che lo aveva interrogato in proposito, che il lupus tiberinus, identificato dal Poggio (nel terzo dialogo della Historiae disceptivae convivales tres...) con lo storione, era invece lo stesso che, il luccio; ma il B., difendendo la memoria paterna, replicava con un'epistola (Firenze, Bibl. Riccardiana, cod. 914, ff. 115r-121r), inviata allo stesso Tranchedino. Il Filelfo, che aveva già prima sostenuto la sua tesi in una lettera a Bonaccorso Pisano del 12 giugno 1469, la ribadiva in un'altra ad Alberto Parrisio del 18 febbr. 1471 (Epistolarum... libri XXXII, cc. 210v e 229v-230r, rispettivamente).
Il B. morì, forse a Roma, nel 1470 (in mese e giorno sconosciuti).
Il B. compose in un latino corretto ed elegante (di lettere ci è giunta soltanto quella indirizzata al Tranchedino) due opere di un certo respiro: la Vita Nicolai Piccinini e la Vita Card. Dominici Capranicae.
Della prima fu pubblicata la sola versione italiana di Pompeo Pellini insieme col volgarizzamento della vita di Braccio da Montone di G. A. Campano (Historie et vite di Braccio Fortebracci detto da Montone et di Nicolò Piccinino Perugini... Mandate pur' hora in luce da Luciano Pasino, in Vinegia, appresso Francesco Ziletti, 1572, ma a c. 172v è la data 1571). L'autore la dedicò al cardinale di Pavia Iacopo Ammannati-Piccolomini, come risulta dall'epistola prefatoria, a volte preceduta da una lettera di Agnolo Baldeschi al fratello Giambattista. La Vita fu ristampata a Perugia presso gli Aluigi nel 1621, e presso Pietro Tomassi nel 1636, sempre insieme con l'opera del Campano. Alcuni codici contenenti la Vita sono descritti in P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 63 (Arch. di Stato di Firenze, 696, nel volgarizzamento del Pellini) e II, pp. 27 (Palermo, Bibl. Comun., 2 Qq C 179, volgarizzamento del Pellini), 315 (Vat. lat. 2943, redaz. latina) e 418 (Vat. Ottob. lat. 1483, redazione latina).
La Vita Card. Dominici Capranicae è più significativa perché soddisfa il debito di riconoscenza del padre Poggio verso l'amabile estimatore ed amico; la partecipazione del B. è qui personale e meno astratta che nella narrazione delle imprese militaresche del Piccinino. Frequenti sono i richiami all'ambiente curiale ed umanistico in cui il B. si trovò ad operare e a scrivere; anche se Michele Catalano, De vitaet scriptis Dominici Capranicae Card. Ant. Firmani commentarius, Fermi 1793, p. 3, rimproverava al B. negligenza metodologica dei documenti d'archivio, dell'attività letteraria del cardinale e di questioni cronologiche, non sono trascurabili le notizie date dal B. sia sul Capranica, a volte vagamente agiografiche - ma l'ironia serena e la mite compostezza del personaggio ne erano le prime responsabili -, sia sul mondo romano del primo e medio Quattrocento. Il B. dichiara umanisticamente di voler perpetuare la memoria degli uomini illustri coevi che riscattano il tempo presente di fronte all'aurea e troppo lodata antichità. Un forte rilievo è dato al ritratto morale dell'uomo, che nella vita del Piccinino era stato sommerso dal cumulo delle gesta esteriori.
L'opera, preceduta da una lettera dedicatoria al cardinale di Pavia (che del biografato era stato per qualche tempo segretario), fu pubblicata da E. Baluze, Miscellaneorum Liber Tertius, Parisiis 1680, pp. 263-300, distinta in ventisette capitoli. Il Baluze ne aveva ottenuto copia da un manoscritto del collegio Capranica per interessamento del card. Girolamo Casanate, ma errava attribuendola nella prefazione a Battista di Genova della casata del Poggio, e fondatore degli agostiniani scalzi. La Vita fu ristampata, in Almi CollegiiCapranicensis Constitutiones compositae per Em.um et Rev.um eiusdem Collegii fundatorem Dominicum de Capranica S. R. E. Presbiterum Cardinalem Tit. S. Crucis in Hierusalem, Romae 1705, pp. 69-95, senza divisioni in capitoli, col testo più scorretto rispetto a quello dato dal Baluze, che l'edizione romana mostra di ignorare. Alcuni codici contenenti la Vita sono descritti in P. O. Kristeller, I, pp. 70 (Firenze, Bibl. Naz. Centr., Conv. Soppr., J II 36 [407]), 243 (Genova, Bibl. Univ., E IV 33), e II, pp. 336 (Vat. lat. 5882 e 5918), 426 (Vat. Ottob. lat. 870) e 450 (Vat. Barb. lat. 2266).
Bibl.: Fondamentale è E. Walser, PoggiusFlorentinus. Leben,und Werke, Leipzig-Berlin 1914, ad Indicem;a pp. 497-501 l'orazione da recitare per Federico III, dal cod. Magliabechiano VII 1095; a pp. 493-495 l'orazione tenuta a Niccolò V, dal cod. Paris. lat. 7808. Il testamento di Poggio del 19 ott. 1443 è in Walser, pp. 359-370, dall'Arch. di Stato di Firenze, Arch. Diplomatico,Pergamene del Tribunale della Mercanzia e dal Prot. di ser Agnolo di Piero A. 765, ff. 143r-148v; l'eredità di Poggio (con la tutela dei figli minorenni, l'abilitazione del B. all'eredità nella ragione di una quarta parte, l'inventario dei beni comprendenti masserizie di casa, terreni e novantacinque manoscritti, ecc.) è a pp. 417-418 e ss., dal Prot. A. 680 dello stesso ser Agnolo, E 188v ss., in data 17 febbr. 1460. È interessante osservare che il codice ora Vat. lat. 1629 (Walser, p. 420 n. 24) delle commedie di Plauto, di proprietà del Poggio, fu venduto dal B. e da Iacopo Bracciolini per 25 ducati larghi il 25 genn. 1460 a Jean Jouffroy, l'intraprendente vescovo di Arras e cardinale; un altro manoscritto pervenutoci ha una nota di Possesso del B. (Laurenziano Plut. XXXV, 21: si tratta di un Lucano). Per l'attività curiale del B. come "taxator" e "clericus" si veda W. v. Hoffmann, Forschungen zur Gesch. der kurialen Behörden vom Schisma bis zur Reformation, II, Rom 1914, pp. 92 e 96; per la carica di "abbreviator" vedi G. Ciampini, De Abbreviatorum de Parco Maiori sive assistentium S. R. E. Vicecancellario in literarum apostolicarum expeditionibus antiquo statu, Romae 1691, p. 28, e J. Vahlen, Laur. Vallae opuscula tria, in Sitzungsberichte der Wiener Akademie, philos.-histor. Klasse, LXI (1869), pp. 410-411; vedi anche L. Pastor, Storia dei Papi, 4 ed., II, Roma 1961, p. 29. Le notizie biogr. del Walser sulla famiglia di Poggio, e in parte sul B., erano state precedute in qualche misura da A. Medin, Doc. per la biografia di Poggio Bracciolini, in Giorn. stor. della lett. ital., XII (1888), pp. 351-367.