BORINO, Giovan Battista
Nato l'8 dic. 1881 a Palestro (Pavia) da Vincenzo e da Maria Facchini, entrò nell'oratorio di Valdocco (Torino) nel 1892; qui divenne salesiano (come due dei suoi tre fratelli), fece il ginnasio, fu ordinato sacerdote il 17 luglio 1904 e fu segretario del direttore generale degli studi don F. Cerrutti. Il 15 maggio 1905 si laureò in teologia a Torino, poi, compiuti gli studi superiori nell'università, il 3 dic. 1913 si laureò in lettere con P. Fedele.
Tra i docenti, G. De Sanctis per la storia antica, e per la storia moderna P. Fedele, per ragioni e in modi diversi attraevano a sé molti degli scolari più accesi dal desiderio della ricerca. Entrambi, pur guardando ad orizzonti diversi, erano decisi propugnatori dei metodi della critica filologico-erudita, imperniata sull'accurata analisi testuale delle fonti, e sull'accertamento minuto dei "fatti", come mezzi indispensabili per giungere a quella, che una tale critica considerava la "verità" storica oggettiva. Il Fedele, allora nel periodo migliore della sua attività scientifica, seppe conquistarsi il B. e lo indirizzò a studiare la storia di Montecassino nel sec. XI.
Nel 1915 il Fedele succedeva a Roma ad A. Crivellucci; lo stesso anno anche il B. si trasferiva a Roma, assunto come "scrittore" volontario alla Biblioteca Vaticana. Ne era allora prefetto A. Ratti, il futuro papa Pio XI, al quale il Fedele aveva segnalato l'allievo. Nello stesso anno il B. fu ammesso alla scuola storica presso la Società romana di storia patria - ne era presidente C. Calisse - che annoverò tra gli alunni un altro dei migliori allievi del Fedele, G. Falco. Nel 1915 il B. pubblicò nell'Archivio della Società (XXXVIII, pp. 453-513) il primo dei suoi studi dati alle stampe. Nel sottotitolo (A proposito di un recente libro di storia cassinese) lo aveva motivato con la comparsa nel 1913 del volume di R. Palmarocchi su L'abbazia di Montecassino e la conquista normanna; ma ne diede la vera giustificazione nel titolo: Per la storia della Chiesa nel secolo XI.
La storia di Montecassino nel sec. XI, se rientrava nel quadro degli interessi preminenti negli studi del Fedele, era tema che toccava direttamente la sensibilità del B. per i problemi di storia della Chiesa. Poté quindi far risaltare che era sfuggito sino allora all'attenzione degli studiosi il problema centrale della storia di quell'insigne abbazia nel sec. XI, la parte avuta cioè da Montecassino e dai suoi uomini nella riforma della Chiesa nella seconda metà di quel secolo. Scritto di piccola mole, questo primo del B., pur nei limiti datigli di osservazioni e rilievi sul libro del Palmarocchi, ebbe il merito di proporre per la prima volta in termini espliciti come "naturale per uno studioso di Montecassino" l'esame dell'atteggiamento assunto dagli abati Richerio (1038-1055) e Desiderio (1058-1086) di fronte all'intervento di Enrico III nel sinodo di Sutri del dicembre 1046, e di fronte alle successive vicende della riforma.
Alla base della nuova visione della storia cassinese stavano le ampie e analitiche ricerche, che il B. aveva fatto argomento della tesi di laurea e che, rielaborate, pubblicò nell'Archivio della Società romana del 1916 (XXXIX, pp. 141-252, 295-410)sotto il titolo L'elezione e la deposizione di Gregorio VI.
Il vaglio attentissimo degli elementi offerti da fonti e da studi su scritti, persone e avvenimenti italiani e d'oltre Alpi condusse il B. a ritenere che l'elezione di Giovanni Graziano a papa, col nome di Gregorio VI, era stata l'effetto "non di compravendita tra persone, ma di un accordo raggiunto tra due partiti" (p. 221), quelli di Benedetto IX e di Silvestro III. Gregorio VI usciva così purificato da una macchia di mercato simoniaco che ne contaminasse la figura di fautore della riforma, e ne invalidasse l'elezione a papa. La sua deposizione nel sinodo di Sutri e l'esilio coatto in Germania, voluti da Enrico III, andavano legati, secondo il B. (p. 371), con "un contrasto politico, tra Benedetto IX ed Enrico III", del quale "Gregorio VI dovette essere il naturale erede e continuatore", portato, "più probabilmente", ad accentuarlo appunto perché egli "era un papa riformatore", mentre a quel contrasto "Benedetto IX era arrivato forse condotto soltanto dagli interessi della sua famiglia". Nelle ultime pagine il B. introduceva anche la figura dell'uomo del quale avrebbe fatto per tutto il resto della vita il soggetto preferito delle sue ricerche: Ildebrando, il giovane discepolo devoto di Giovanni Graziano, che seguì il pontefice deposto durante il periodo dell'esilio coatto, e che, elevato alla cattedra di Pietro, ne avrebbe assunto il nome di pontefice, Gregorio VII.
Questo lavoro fu, e rimane, senza dubbio l'opera maggiore del B., un volume che, allo stato degli studi medioevali del tempo, segnò una svolta nella storia della riforma della Chiesa in quanto punto di partenza per molti dei successivi approfondimenti. Il B. ne ricavò il convincimento che fosse pregiudiziale, per il conseguimento di risultati fecondi, la paziente umile fatica degli accertamenti critici, e della raccolta sistematica dei testi, accompagnati da un'esauriente informazione bibliografica e dai tentativi di dare una risposta scientifica a tutta una serie di interrogativi in materia di fonti, di dati cronologici, di identificazioni, in un campo tanto esteso ed irto di grovigli spinosi quanto sino allora, specie in Italia, pressoché incolto. Vi si dedicò e vi si immerse per tutto il resto della sua vita di studioso. Nel 1919 era stato assunto come "scrittore" di ruolo nella Bibl. Vaticana, e dallo stesso anno la Società romana di storia patria lo annoverava tra i propri soci effettivi.
Nell'Archivio della Società il B. diede, nel 1923, la prima puntata di quella Bibliografia di storia pontificale, continuata nel 1924, 1927, 1928, 1930-1935, che lasciò purtroppo interrotta alla sesta puntata e che è anche oggi, pur se incompiuta, un prezioso strumento d'informazione. Il B. pensò anche a un momento di singolare importanza delle fortune religiose e politiche del mondo mediterraneo: la storia della lega di Lepanto. Si sobbarcò per anni a pazienti indagini d'archivio a Roma e a Venezia; raccolse e trascrisse gran copia di documenti, che poi non pubblicò, come non stese il volume sull'argomento, che pure a lungo ebbe in mente di scrivere. A testimoniare questa parte delle sue fatiche rimase solo il breve articolo, preciso nel contenuto, di garbata arguzia nella forma, pubblicato nel numero 12del 1938della Miscellanea della R. Deputazione di storia patria, col titolo Il contrastato trionfo di Marcantonio Colonna, sulle circostanze nelle quali fu preparato, e si attuò, il solenne ingresso in Roma del vittorioso reduce di Lepanto.
Delle ricerche sulla storia della riforma, solo a cominciare dal 1940 il B. diede testimonianze dei risultati ai quali andava via via giungendo su singoli problemi. In quell'anno uscì nell'Archivio della Società romana (LXIII, pp. 113-127) lo studio con l'identificazione in Pietro di Savoia, conte e marchese di Torino, di quel "marchio Petronus" che Gregorio VII (Reg., VI, 22) menzionava in una lettera del 3 marzo 1079 alla contessa Matilde. Del 1944, sempre nell'Archivio romano (LXVII, pp. 237-252), è l'articolo che mise a rumore il mondo degli studi, intitolato Un'ipotesi sul "Dictatus Papae" di Gregorio VII.
Pochissime le pagine, ma esplosiva l'ipotesi: le famose proposizioni (Reg., II, 55a) costituirebbero in realtà solo "un indice di una collezione canonica sul primato della Chiesa romana"; e a un tale "grado alquanto minore" scadrebbe, conchiudeva il B., "se la mia ipotesi può esser vera, il 'Dictatus Papae' di Gregorio VII dall'altezza di un volitivo e un po' sbalorditivo nuovo programma di teocrazia papale".
In partecipazione alla Miscellanea in onore del cardinale Giovanni Mercati (V, Città del Vaticano 1946, pp. 218-262) il B. pubblicò un'ampia ricerca sulle circostanze di tempo e di luogo nelle quali Ildebrando aveva preso l'abito monastico (Quando e dove si fece monaco Ildebrando), escludendo come luogo Roma, ammettendo Cluny e considerando certo come tempo il periodo dell'esilio oltre le Alpi con il papa deposto Gregorio VI.
Nei trent'anni decorsi dal 1916 al 1946 la valutazione dell'opera svolta da Ildebrando diacono, arcidiacono e infine papa col nome di Gregorio VII, nel pensiero del B. aveva assunto dimensioni tali, da fargli apparire pienamente giustificato che con la qualifica di "gregoriana" data alla riforma della Chiesa nel sec. XI si volesse indicare l'elemento essenziale per definirne il carattere. Ma nel contempo la visione della riforma si era allargata nel B. sino ad assumere dimensioni anche "europee". Gliene derivò quella somma di assilli che costituirono per lui, finché visse, un pesante impegno di probità scientifica.
Questi assilli trovarono incentivo ad acuirsi e a crescere di numero dall'esame dei tre volumi di A. Fliche, usciti fra il 1924 e il 1937, sotto il titolo, bensì, di La réforme grégorienne, ma nei quali si contestava la validità della qualifica per tutti i tempi della riforma, e accanto a una corrente "italiana" si voleva dar risalto a una corrente "lorenese". L'assillo di "veder chiaro" nella vita monastica ed ecclesiastica, nei suoi rapporti con la Chiesa di Roma, in Italia, nella Francia, nella Germania, nella penisola iberica, in Inghilterra. L'assillo di porre nella sua giusta luce il registro di lettere di Gregorio VII contenuto nel famoso codice (Reg. Vat. 2) dell'Archivio Vaticano. L'assillo di "verificare", anche oltre a quanto era rimasto nel registro vaticano, tutti i rapporti epistolari di Gregorio VII con i suoi corrispondenti del mondo ecclesiastico, monastico e laico del tempo, concretandone l'esistenza, l'andamento, la natura e la portata in un codice diplomatico, che fosse corredato da un esauriente apparato di note critiche per il testo, e storiche così per i fatti come per le persone identificate o da identificare. L'assillo di disporre il materiale via via raccolto in quello schedario ordinato cronologicamente e per soggetti e per materie, via via cresciuto di mole, che è oggi conservato nel Pontificio Ateneo salesiano di Roma, e che è una vera miniera di dati preziosi. L'assillo di promuovere un valido concorso, da parte di quanti altri studiosi, in Italia e fuori, avevano interesse ad approfondire l'esame critico dei problemi connessi con la storia della riforma della Chiesa nel sec. XI.
L'idea di una collaborazione chiesta e data senza discriminazioni linguistiche o etniche, e senza pregiudiziali religiose, ideologiche, politiche, nella mente del B. prese all'inizio motivo di assumere sostanza concreta dall'avvicinarsi, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, dell'anno (1947) in cui ricorreva il nono centenario dell'andata di Ildebrando "invitus ultra montes" insieme col deposto Gregorio VI. Nel 1947-48 il B. poteva pubblicare tre grossi volumi di Studi gregoriani, cui seguirono, tra il 1952 ed il 1961, altri quattro.
Il primo cominciava con una sua acuta ricerca incentrata appunto sul primo esilio di Ildebrando. Seguivano, nelle rispettive lingue, i contributi che dall'Italia e fuori d'Italia erano giunti da coloro i quali avevano accolto l'invito di ricordare Gregorio VII "con una raccolta di scritti su di lui e in genere sulla Riforma che da lui prende giustamente il nome". Il suo contributo al secondo volume stava alla fine: pochissime pagine, per segnalare "l'unica scrittura pervenuta a noi di Ildebrando-Gregorio VII" (la sottoscrizione, da arcidiacono della Sede apostolica, a una chartula offersionis rogata a Ferentino il 24 maggio 1061). Più ampia, alla fine del terzo volume, la ricerca sulle circostanze che avevano portato Ildebrando all'arcidiaconato e sulla data, stabilita fra il 23 agosto e il 14 ott. 1059.
Nell'invito diffuso per ottenere l'auspicata collaborazione aveva indicato tutta una serie di temi da trattare: "la persona di Gregorio VII, prima e durante il pontificato; tutti i papi riformatori che lo precedettero, a cominciare da Clemente II; la storia dell'impero e di ogni altro regno o stato in relazione al papato di quel tempo; la storia di vescovati e monasteri in quanto ebbero relazione con l'opera di quei papi; la storia di singole persone, istituti, idee, scritti e fatti, sempre in relazione con Gregorio VII; tutto ciò insomma che può contribuire all'illustrazione della riforma della Chiesa dal nome di Gregorio VII detta gregoriana". Era un piano di una complessità articolata in modo da giustificare la precisazione Per la storia di Gregorio VII e della Riforma, aggiunta al titolo dei tre volumi. D'altra parte la stessa articolazione del piano, e la quantità e qualità delle adesioni già ottenute spinsero il B. a non circoscrivere il concretarsi del piano a una circostanza solo contingente, ma ad assicurarne una continuazione valendosi della continuazine appunto degli Studi gregoriani. Le adesioni furono molte. Il B. poté legare il suonome ad altri quattro volumi, che uscirono tra il 1952 e il 1961, anch'essi tutti da lui personalmente curati. Il penultimo, cominciato a stampare nel 1959, fu pubblicato nel 1961. L'ultimo, già apparso nel 1960, era interamente dedicato a un ampio studio di H. G. Krause riguardante il decreto del 1059 sulle elezioni papali e la sua importanza nella lotta per le investiture. Ovviamente i nuovi volumi non ebbero più l'indicazione Nel IX centenario del primo esilio di Ildebrando, premessa nei tre primi al titolo; conservavano la precisazione aggiunta al titolo; nel quarto (1952) fu anche ripetuto senza modifiche il piano indicato inizialmente. Agli Studi gregoriani il B. diede la maggior parte dei risultati delle sue ricerche resi di pubblico dominio dal 1952 in poi. In una trentina di articoli, e nei pochissimi pubblicati nello stesso periodo altrove, di varia estensione, ma tutti ugualmente documentatissimi, trattava problemi particolari concernenti testi, fatti e persone. Anche per quest'ultima fase della sua attività scientifica il B. non derogò mai dalla linea di un metodo di minuto lavorio analitico, sempre più scaltrito nel procedere agli accertamenti critici delle fonti e delle opinioni altrui.
Del 1947 e del 1955, rispettivamente, sono i due grossi volumi connessi con il lavoro di "scrittore" alla Vaticana (Codices Vaticani Latini..., 10701-10875, Città del Vaticano; Codices Vaticani Latini...,10876-11000, ibid.). E chi voglia penetrare più addentro nella religiosità, nella finezza di mente e nella cultura del B. non può trascurare l'aureo volumetto su Giovanni Bosco del 1938 (Don Bosco, sei scritti e un modo di vedere)e gli articoli dati alla torinese Rivista dei giovani diretta dal salesiano don Antonio Cojazzi.
Il B. morì a Roma il 3 apr. 1966.
Aveva consumato tutta la sua esistenza senza che gli fosse concesso di coronare con un'opera di sintesi organica di largo respiro le dure diuturne fatiche volte alle singole indagini per tutto il mezzo secolo decorso dall'anno, il 1915, nel quale era apparso il suo primo studio. Il maggiore ostacolo a scrivere quest'opera, che egli aveva sempre vagheggiato di trovarsi un giorno in grado di creare, come era solito dire, "tutta di getto", gli venne proprio dai suoi scrupoli di probità scientifica. Da essi fu trattenuto sino all'ultimo nei vincoli di un metodo di lavoro che, nell'incessante ingrossare della "letteratura sull'argomento", lo spingeva a giudicare sempre inadeguato a una sintesi finale quanto andava raccogliendo nell'analisi.
Il posto da riconoscere al B. nella storiografia più recente della riforma della Chiesa nel sec. XI rimane ugualmente d'innegabile rilievo. Nuovi apporti a una più estesa e articolata conoscenza di uomini, avvenimenti e idee vennero dalle ricerche sue personali, e da quelle di altri che egli convogliò nella grande raccolta degli Studi gregoriani. Fecondi stimoli alla riconsiderazione e alla contestazione polemica ha suscitato la sua stessa visione della riforma, palese anche nello schema programmatico tracciato ai collaboratori di quegli Studi, prospettata come fatto bensì "europeo", ma soprattutto "gregoriano", esclusi i tempi anteriori a Clemente II, con la Roma dei papi nel centro focale, con Gregorio VII protagonista quasi assoluto.
Oltre gli studi citati, i più importanti sono: "Invitus ultra montes cum domno papa Gregorio abii" (Gregorius VII Reg.,VII, 143), in Studi gregoriani... raccolti da G. B. B., Roma 1947, I, pp. 3-46; Una sottoscrizione di Ildebrando arcidiacono (24 maggio 1061), ibid., II, pp. 525-528; L'arcidiaconato di Ildebrando, ibid., III, ibid. 1948, pp. 463-516; Cencio del prefetto Stefano l'attentatore di Gregorio VII, ibid., IV, ibid. 1952, pp. 373-440; Note gregoriane per la storia di Gregorio VII e della Riforma gregoriana, ibid., pp. 441-466; Ancora del monacato di Ildebrando, in Benedictina, VII (1953), pp. 121-130; Due vescovi di Le Puy di nome Stefano nelle lettere di Gregorio VII, in Studi gregoriani, V, Roma 1956, pp. 383-389; Ivo "magister scholarum ecclesiae Carnotensis" dell'aprile 1076 (Gregorii VII Reg. III, 17a) è il canonico Ivo, poi vescovo di Chartres, ibid., pp. 375-381; Il monacato e l'investitura di Anselmo vescovo di Lucca, ibid., pp. 361-374; L'investitura laica dal decreto di Nicolò II al decreto di Gregorio VII, ibid., pp. 345-359; Note gregoriane..., ibid., pp. 391-415; Perché Gregorio VII non annunciò la sua elezione ad Enrico IV e non ne richiese il consenso (Relazioni tra Gregorio VII ed Enrico IV dall'aprile 1073 all'aprile 1074), ibid., pp. 313-343; La lettera di Walone abate di S. Arnolfo di Metz e di S. Remigio di Reims a Gregorio VII (1073), in La Bibliofilia, LX (1958), pp. 2633; Olderico vescovo di Padova (1064-1080), legato di Gregorio VII in Germania (1073), in Misc.in on. di R. Cessi, I, Roma 1958, pp. 63-79; I decreti di Gregorio VII contro i simoniaci e i nicolaiti sono del sinodo quaresimale del 1074, in Studi gregoriani, VI, Roma 1959-61, pp. 277-295; Il decreto di Gregorio VII contro le investiture fu "promulgato" nel 1075, ibid., pp. 329-348; La lettera di Enrico IV alla madre Agnese imperatrice (1074), ibid., pp. 297-310; La lettera di Ermanno vescovo di Bamberga a Gregorio VII (1075), ibid., pp. 311-328; Le lettere di Gregorio VII e di Sigfrido arciv. di Magonza che si scambiarono fino al principio del 1075, ibid., pp. 265-275; Note gregoriane..., ibid., pp. 355-390; Le persone che consigliarono Gregorio VII di andare in Germania, ibid., pp. 349-354.
Bibl.:Per la storiografia della riforma si veda O. Capitani, Esiste un'"età gregoriana"?, in Riv. di storia e lett. religiosa, I (1965), pp. 454-481, (pp. 467-470 e 472 per gli Studi gregoriani raccolti dal B.). Per le necrologie vedi L. Berra, in L'Osservatore romano, 4 maggio 1966; P. Brezzi, in Riv. di studi romani, XIV, 1966), pp. 443 s.; O. Capitani, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXI (1967), pp. 286-289.