ATTENDOLO, Giovan Battista
Nacque da famiglia nobile a Capua intorno al 1536.
Il padre, Ambrosio, fu ingegnere militare e svolse in patria un'intensa e proficua attività dal 1546 al 1570; della madre, Vittoria, si sa soltanto che morì nel 1561 lasciando, oltre l'A., altri due figli: Gaspare e Prisco. Cultori di poesia e letterati d'una certa ambizione, entrambi collaborarono alla maggiore fortuna dei fratero, il primo curando l'edizione di Alcune Rime et Versi di G. B. A. (Napoli 1588), il secondo pubblicando dopo la morte dell'A. uno schema dell'incompiuto Museo (L'unità della materia poetica sotto dieci predicamenti esaminati ne' due prencipi de' Toscani e de' Latini, Napoli 1613) ed un brano del commento alla canzone del Petrarca Vergine bella (Bozzo di XII lezioni di G. B. A. sopra la Canzone di Messer Francesco Petrarca, Napoli 1604).
Le agiate condizioni economiche della famiglia e la posizione di prestigio nell'ambito della vita cittadina favorirono la formazione intellettuale dell'A., affidata al precettore Girolamo d'Aquino e rivolta allo studio di diverse dottrine: dalla filosofia alla matematica, dall'astrologia alle principali lingue antiche e moderne (cfr. B. Chioccarello, De Illustribus scriptoribus Regni Neapolitani, Neapoli 1770, p. 301; E. D'Afflitto, Memorie degli scrittori del Regno di Napoli ,I, Napoli 1782, pp. 465-470); quando poi la vocazione religiosa indusse lo scrittore ad abbracciare lo stato sacerdotale, il nuovo interesse per le discipline ecclesiastiche intervenne piuttosto ad organizzare che non ad arricchire una cultura già vasta e sostanzialmente delineata, più filosofica che letteraria, orientandola ideologicamente secondo i programmi della Controriforma. Si tratta di una cultura nel complesso duttile e varia che rifugge dalle vaste soluzioni sintetiche per affrontare problemi particolari e talvolta marginali nei quali l'ingegno acutissimo dello scrittore può esercitarsi brillantemente. Il limite di tale atteggiamento è rappresentato da certa.oziosità che s'avverte nella prima esperienza critica dell'A. (la lunga disputa sostenuta nel 1561 con Vincenzo dell'Uva a proposito del titolo da assegnare alla traduzione in volgare della, Campania di Antonio Sanfelice), ma il pericolo dell'improvvisazione e del dilettantismo viene superato dal rigore con il quale l'A. conduce la polemica, dalla ricchezza delle argomentaziom che rasenta la prolissità: elementi che costituiranno d'ora in avanti le caratteristiche di un'attività letteraria impegnata e scrupolosa.
Al tempo della controversia con Vincenzo dell'Uva risale l'amicizia dell'A. con Camillo Pellegrino che, sollecitata da comuni interessi e da un medesimo temperamento cauto e riflessivo, si manterrà inalterata fino alla morte dell'A., e si concreta nel 1571 allorquando l'A., già noto per alcune poesie, fu invitato a tessere l'elogio di don Carlos in occasione delle esequie celebrate a Capua (Oratione di Gio. Battista Attendolo di Capua nell'esequie di Carlo d'Austria Principe di Spagna, stampata con dedica al marchese di San Lucido Ferrante Carafa). Nel 1573 l'A. compone e stampa a pubbliche spese l'Oratione Militare all'Altezza del Ser. Sig. D. Giovanni d'Austria per vittoria navale ottenuta dalla Santa Lega nell'Echinadi, lodatada G. B. Arcucci, da Girolamo Lombardi, da Girolamo d'Aquino e in genere accolta favorevolmente dal fiore della nobiltà napoletana legata alla politica spagnola: s'avverte comunque come queste opere, lungi dal risolversi in vuote esercitazioni retoriche, approdino tuttavia a risultati artistici modesti, prive come sono di profonde risonanze affettive, fredde e distaccate, anche se condotte sul piano di un notevole impegno stilistico. Più si addiceva all'A. un'appartata e severa consuetudine di studi che non l'incarico di scrittore ufficiale e semmai l'amnùrazione di un ristretto cenacolo di intenditori che non il consenso di un pubblico più vasto e spontaneo: questo atteggiamento (che riflette la situazione oggettiva di una società diffidente, chiusa nel sospetto politico e religioso) già s'avverte nella lettera diretta a mons. Cesare Costa al quale l'A. inviava una copia dell'Oratione Militare chiedendo la sua protezione.
Nella quiete di Casamarciano, ove lo scrittore soggiorna dal 1579 al 1582 tra i monaci di Monte Vergine, egli attende al Museo, sorta di enciclopedia poetica arricchita di esempi tratti dagli autori, lavora intorno a un commento sistematico delle rime petrarchesche, pensa ad un trattato De Misterio Regenerationis ad cathecumenos, prepara alcune Lezioni sopra i Salmi e le Osservazioni alle prediche di Mons. Cornelio, Vescovo di Bitonto, ma il fervore del religioso e l'impegno dell'esegeta si placano d'improvviso alla visita di Maddalena de, Rossi che ricorda al poeta la fanciulla degli amori giovanili ("Giunto m'hai, bella tigre; al fianco io sento / L'unghia che l'apre e ne trae preda fore. / Ma perché fuggi ? ove ten porta il core? / Aspetta, o fera, che morir pavento/"), o si stempera nel clima delle frequenti e spigliate conversazioni letterarie che si tengono nel monastero, divenuto un centro di mondana e raffinata cultura durante il soggiorno dell'Attendolo.
Alcune opere ideate a Casamarciano rimasero allo stato di abbozzo (e sono quelle di più diretta ispirazione religiosa), altre come il Museo o il commento a Petrarca furono appena cominciate e non condotte a termine proprio per quel prevalere del procedimento analitico sopra ogni tentativo di sintesi che portava l'A. ad accrescere progressivamente la materia delle particolari osservazioni perdendo la prospettiva dell'assíeme (basta pensare alle lezioni sul Petrarca ricche di spunti suggestivi ma prive di un organico orientamento. critico; il Museo siapre con la distinzione aristotelica tra varietà e unità per procedere poi ad una minuta analisi delle tradizionali categorie retoriche). Un'opera sembra tuttavia aver suscitato sin da questo periodo il maggiore interesse dell'A., Le Lagrime di San Pietro, il poema del Tansillo rimasto incompiuto, che debitamente approntato per la stampa, verrà pubblicato dall'A. alcuni anni più tardi (Le Lagrime di San Pietro del signor Luigi Tansillo da Nola mandate in luce da G. B. A. da Capua. In Vico Equense 1585; un'edizione parziale di quarantadue stanze si era già avuta a Venezia nel 1560).
Nella lettera dedicatoria a Maddalena de Rossi vengono esposti i dubbi e i timori che ancora sussistevano in taluni ambienti ecclesiastici nei riguardi del poeta del Vendemmiatore, anche trattandosi, per Le Lagrime di San Pietro,di un'opera chiaramente composta per espiare il fallo giovanile. A queste cautele l'A., sollecitato dai "Signori Eletti di Nola", fra i quali Girolamo Mastrillo, Giovan Bernardino Tansillo, Girolamo de Abundo, e indirettamente dal cardinal Carafa, cercò di ovviare operando sul poema larghi tagli che, se corrispondono a un ulteriore e più profondo impegno moralistico, contribuirono d'altro canto a meglio organizzare una materìa varia e abbondante, riducendo la sottile trama narrativa a vantaggio dell'elemento lìrico insito negli episodi., L'intento dell'A. fu quello di rappresentare in quindici "pianti" il diverso atteggiarsi dell'animo del penitente in una specie di Via Crucis, ad ogni stazione della quale corrisponde il momento della contrizione è della purificazione. Vide così la luce, ridotta ai limiti di un libro per devoti, quest'opera che accrebbe il successo di un genere letterario particolarmente in voga all'epoca della Controriforma, subito diffusa in Spagna e tradotta in francese dal Malherbe, lodata dal Tasso e imitata da Erasmo di Valvason nelle Lagrime di S. Maria Maddalena che apparvero nel 1587 insieme al poema del Tansillo. Minor fortuna ebbe l'edizione delle Lagrime di San Pietro, curata dal Costo (Venezia, 1606), anche se più aderente all'originaria invenzione del Tansíllo (per il giudizio favorevole del Tasso, cfr. G. G. Capaccio, Illustrium mulierum et illustrium litteris virorum elogia, Neapoli 1608, p. 301. Negativo fu il parere del Costo nel Discorso che egli compose per la cit. ediz. dei 1606, e del Crescimbeni, Dell'Istoria della Volgar Poesia, II, Roma 1698, p. 140).
Nel 1583 l'A., insignito del titolo di abate di S. Marcello Maggiore, ritorna a Capua dove partecipa attivamente alle riunioni degli Accademici Rapiti; ai Sereni Ardenti di Napoli (l'Accademia ìstituita nel 1583 da Ferrante Carafa), legge la Lezione sulla Particella IV della Poetica di Aristotele; quale precettore del principe Luigi Carafa di Stigliano entra infine in familiarità con Roberta, duchessa di Maddaloni, e al ricordo di lei si ispira la prosa pìù bella dell'A.: l'Oratione fatta all'Ecc. del Sig. D. Luigi Caraffa Principe di Stigliano In materia dell'Illustrissima ed Eccellentissima Signora Roberta Caraffa Duchessa di Maddalone... Napoli 1588, ove i motivi sentimentali si proiettano sullo sfondo di una raffinata esperienza d'arte e di vita.
Venivano intanto a precisarsi nell'A., tramite la stretta ed assidua collaborazione col Pellegrino, alcuni interessi pìù decisamente letterari che filosofici, mentre i nuovi rapporti che i due eruditi capuani stabilivano con altri e più importanti ambienti di cultura (principalmente con gli uomini della Crusca) conferivano alla critìca dell'A. un'ampiezza e una risonanza ignote al vecchio precettore del Carafa. Le prime polemiche sulla Gerusalemme Liberata dovettero suscitare ampi motivi di dibattito fra gl'intellettuali che si riunivano intorno a Camillo Pellegrino, legati alla più recente esperienza artistica del Tasso oltre che dai comuni interessi d'ordíne ideologico, da un gusto letterario già propenso alla poetica del concettismo (e pronto a rintracciare nella Liberata i segni precoci del nuovo orìentamento), dalla vigile e gelosa tutela d'una insigne tradizione culturale. L'A. in particolare, esperto di filosofia aristotelica e stifista scaltrito, poteva svolgere, in una trama ricca di spunti polemici, il tema della superiorità del Tasso sull'Arìosto che "nella intessitura del suo poema attese solamente alla vaghezza e al diletto, posponendo l'utile, che... è il fine della poesia, ricercato per mezzo del diletto" non dissimile, per quel che riguarda la varietà della favola, a Luigi Alamanni e a Bernardo Tasso che "formarono un mostro di più capi, e di diverse membra non ordinate, che l'intelletto si stanca in considerarle, né può capirle in una sola speculazione"; e poteva inoltre approfondire l'analisì letteraria con alcune osservazioni rivolte allo stile del Tasso, insuperato modello nell'elocuzione "ritrovando egli di proprio ingegno nuove metafore, e nuovi modi di dire, con voci sempre gravide di sentimento", meno felice nelle sentenze per l'ambizione di "mostrarsi maestro nelle maggior difficultà dell'arte poetica". Questi giudizi si leggono ne Il Carafa o vero Della Epira Poesia, il dialogo che C. Pellegrino fece stampare a Firenze nel 1584 contemporaneamente a Parte delle Rime di D. Benedetto Dell'Uva, Giovambattista Attendolo Et Camillo Pellegrino, e che dovette riflettere, almeno nelle linee essenziali, il contenuto di reali discussioni svoltesi fra l'A. e Luigi Carafa stando alle attestazioni di stima tributate ai due protagonisti dell'opera all'indomani della pubblicazione del dialogo anche daglì avversari dei poema tassesco.
Durante la polemica con la Crusca (il nome dell'A. compare ancora nella Replica che fece seguito alla Risposta dell'Accademia), corrispondente assiduo dei due letterati capuani fu Scipione Ammirato al quale l'A. esprimeva nel 1586 tutte le preoccupazioni per l'esito della controversia ("Dite di grazia, che i Signori Accademici della Crusca, prorompendo talora ad ira, non degna d'intelletti nobilissinu, uccisero un innocente: uccìsero colla penna l'Attendolo, mentre se ne stava osservando le bellezze non mai appieno osservate, del Petrarca..."), salvo poi a sfumare con molta cautela quegli stessi timori quando scrìveva al Salviati: "Ora sì che spero, che l'Accademia con quelle braccia erculce, colle quali ha ella abbattuto Camillo nel Dialogo... contra forze nondimeno insuperabili l'abbia indietro a vincere (ma più nobilmente, e col impor fine alla lite) estogliendolo e levandolo in alto a guisa d'Anteo: e la sua morte sarà preziosa, quasi la morte che vien detta del bacio".
Una lettera del Salviati in data 19 apr. 1586 ci conferma che a quell'epoca l'A. ancora attendeva a un commento del Petrarca (forse circoscritto ai sonetti del Canzoniere): non rimangono tuttavia tracce della prosecuzione dell'opera. Restano di questo ultimo periodo alcune liriche che poco aggiungono ai limiti d'una produzione esigua, ma che testimoniano tuttavia della sua continuità ai margini di un'attività speculativa che si ravviva negli ultimi anni coi nuovi interessi per la filosofia telesiana (sembra accertato che l'A. abbia conosciuto l'opera divulgativa di S. Quattromani, La Filosofia di Bernardino Telesio ridotta in brevità, e scritta in Lingua Toscana, Napoli 1589). Il 29 apr. 1592 l'A. poteva salutare il Tasso a Capua rendendo onore al più amato dei suoi poeti. Si spegneva nell'ottobre dello stesso anno, o più probabilmente ai primi del 1593 (cfr. il ragguaglio del Costo a G.B. Deti, in Lettere, V, Venezia 1600, pp. 301 ss.).
Il corpus delle Rime rappresenta, nel complesso, l'opera più organica che abbia lasciato l'A.: composte a più riprese secondo una tecnica sorvegliata e attenta ai valori formali, frutto anch'esse di un ingegno erudito più che di fantasia, queste poesie rispecchiano le caratteristiche di un'esperienza letteraria isolata che giunge alla considerazione del reale attraverso rapporti sempre più rarefatti e difficili. I cinque Sonetti del Pensiero (ossia l'itinerario della mente dalla bellezza terrena a Dio: di qui l'avvio petrarchesco delle singole composizioni) assumono, per l'intirna tensione intellettuale, il valore emblematico di una poetica tesa ad affermare l'istanza moralistica sulla base di un linguaggio audacemente metaforico. Ne scaturisce una lirica ricca di elementi suggestivi, ove la naturalezza del disegno petrarchesco tende a raccogliersi in poche immagini fortemente espressive e l'eloquenza diffusa nell'acutezza un po' gelida del concetto; morbida nelle tentazioni sentimentali, la cui importanza risiede non tanto nell'intrinseco valore poetico (assai diseguale da sonetto a sonetto) quanto nelle affinità con le idee estetiche che andava in quel tempo dettando il Pellegrino e che saranno affidate all'esperienza tanto più aperta, ma anche più superficiale ed affrettata, di Giambattista Marino (il dialogo di C. Pellegrino Del Concetto poetico fu pubblicato da A. Borzelli in appendice alla Vita di G. B. Marino, Napoli 1898, pp. 324-359). Sulla poesia dell'A. nell'ambito della lirica premariniana tentò un giudizio F. Meninni nel Ritratto del sonetto e della canzone, Venezia 1678, p. 117.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 1212-1216; C. Minieri Riccio, Lettera ined. di G. B. A. agli eletti di Capua, con note storiche, in Arch. stor. campano, I(1890), pp. 297-304; Appendice alle opere in prosa di Torquato Tasso, a cura di A. Solerti, Firenze 1892, pp. 35 ss.; A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino 1895, I, pp. 340, 414, 436, 596, 726; II, pp. 254-256, 263, 265; A. Borzelli, I Capitoli ed un poemetto di Camillo Pellegrino, Napoli 1895, passim (specialmente le pp. 15-18); G. Vincenti, Di G. B. A. capuano, nota storico-letteraria, Napoli 1896; P. Roseti, G. B. A. da Capua, Agnone 1901 (rec. da G. Gentile nella Rass. critica della letter. ital.,VIII[1903], pp. 153 s.); F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s. d., pp. 438, 447; B. Croce, Poeti e scrittori del Pieno e del tardo Rinascim., II, Bari 1945, pp. 228, 233; III ibid. 1952, pp. 307-309, 311.