ANDREINI, Giovan Battista
Nacque a Firenze il 9 febbr. 1576 (Rasi) o 1578 (Mazzuchelli) o, più probabilmente, nel 1579 (Bartoli), figlio primogenito di Francesco e di Isabella Canali, comici e letterati. Compì i suoi studi universitari a Bologna iniziando poi, sembra nel 1594, la professione di comico nella compagnia dei Gelosi, col nome di Lelio e col ruolo di innamorato. Prima dello scioglimento della compagnia dei Gelosi (1604), aveva già formato una sua compagnia, detta dei Fedeli, che si pose al servizio di Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova: dai Gonzaga i Fedeli dipenderanno - salvo brevi intervalli - fino al 1637-40. Nel 1601 a Milano, dove recitava con successo alcuni suoi lavori, sposò Virginia Ramponi, in arte Florinda. Talvolta, e per brevi periodi, fusi con i comici Accesi (direttore Pier Maria Cecchini), i Fedeli recitarono in varie città dell'Italia settentrionale: a Milano nel 1606, a Mantova nel 1608, a Genova e Torino nel 1609, a Venezia e Genova nel 1610, a Mantova e Bologna nel 1611 e l'anno seguente a Ferrara, Milano e Firenze. La Compagnia si recò più volte in Francia: dal settembre 1613 al luglio 1614, dietro, invito di Maria de' Medici, forse sotto la direzione dell'attore Tristano Martinelli, dal gennaio 1621 al marzo-aprile 1622, direttore l'A., dal dicembre 1622 al marzo 1623, dal 1624 al giugno 1625, infine dal 1643 al 1647, certamente l'A. e forse l'intera compagnia. Nel 1627 si recarono a Praga, nel novembre 1628 a Vienna. Tra un viaggio e l'altro fuori d'Italia, l'A. rappresentava in Italia le sue opere: nel 1616 al servizio di don Alessandro Pico della Mirandola e poi a Venezia, nel 1617 a Mantova, nel 1619 a Venezia, nel 1620 a Milano, dove fu rappresentata con enorme successo la sua commedia boschereccia Lelio bandito; nel novembre del 1623 l'A. recitava a Torino, nel 1626 a Brescia e Cremona e l'anno seguente a Venezia. Di ritorno da Vienna, nel 1628, morì la moglie e l'A. sposò, poco dopo, Virginia Rotari, detta Baldina, in arte Lidia, attrice della sua compagnia. Continuò le sue peregrinazioni nell'Italia settentrionale e centrale, a Verona e Venezia nel 1633, a Mantova e Bologna nel 1634, a Pavia nel 1638; ormai vecchio, si ritirò a Mantova occupandosi delle edizioni delle sue opere. L'ultima notizia sulla sua produzione teatrale è del 1652, anno in cui a Milano fu rappresentata con enorme successo la sua Maddalena lasciva e penitente.
Di passaggio a Reggio Emilia, vi morì il 7 o l'8 giugno 1654.
Fu iscritto all'Accademia fiorentina degli Spensierati, cui dedicò la sua Divina Visione. Letterato assai fecondo, compose sacre rappresentazioni, drammi sacri, poemetti, melodrammi, drammi marittimi e boscherecci, commedie e tragedie, opere teoriche in difesa della professione di comico. La sua fama si affida al suo pieno accordo col tempo in cui visse, alla sua completa adesione ai molteplici atteggiamenti sccentisti, magnifici nell'espressione e scarsamente coerenti nell'ispirazione, tanto desiderosa di rapimenti mistici quanto compiaciuta, specialmente nella commedia considerata come genere realistico, della più esplicita oscenità. Questa adesione al proprio tempo costituisce l'elemento di coesione tra opere apparentemente tanto disparate per contenuti e atteggiamenti e insieme sposta dalla letteratura al teatro la valutazione dell'opera dell'Andreini. Perchè la sua produzione, letterariamente non priva di interesse ma che certamente non supera il valore di un documento, si colloca adeguatamente nella storia del teatro secentesco e trova in esso la sua validità.
Fin dalle prime opere l'A. dimostra interessi ed attitudini multiformi: la Florinda (rappresentata per l'Accademia degli Spensierati a Firenze nel 1603, edita a Milano nel 1606)èuna tragedia in versi sciolti di tipo esotico e di ispirazione senechiana, ambientata nelle foreste della Scozia, dove si svolge il dramma del re Ircano che, soppresso il figlio e spinta la moglie al suicidio, muore ucciso. La Saggia Egiziana, "dialogo spettante alla lode dell'arte scenica" (ed. Firenze 1604), è un contrasto in versi sciolti tra una vecchia e un ex attore; La divina visione in soggetto del beato Carlo Borromeo (Firenze 1604) è un poemetto di sessantaquattro ottave in onore di Carlo e Federico Borromeo; Il Pianto di Apollo (Milano 1606), cinquantaquattro ottave nelle quali Apollo piange la morte della grande Isabella, madre dell'autore, si accompagna, nell'edizione, a Lo sfortunato poeta, centosei ottave burlesche nelle quali Sfortunato de' Sfortunati narra le proprie sventure (il tema verrà ripreso in un poemetto in versi, l'Olivastro, in venticinque canti, Bologna 1642); La Turca (edita a Casale nel 1608 e ivi rappresentata nello stesso anno in occasione delle nozze di Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia, poi pubblicata a Venezia, 1620), una favola boschereccia e marittima che conferma, nel gusto favoloso delle trame e nella scenografia fastosa, il temperamento intimamente barocco dell'artista, cioèsquisitamente teatrale.
In questo senso va intesa la produzione maggiore dell'A.: L'Adamo e La Maddalena, due sacre rappresentazioni che possono essere giudicate, come il D'Ancona giudica L'Adamo, "un noioso documento di teologicume nei concetti, di secentismo nello stile", ma che certamente, proprio per il loro carattere barocco, trovarono la loro giustificazione nella realizzazione scenica. Esse infatti si collocano nella storia del teatro e segnano la decadenza della sacra rappresentazione, della quale conservano solo il nome trattandosi piuttosto di melodrammi, poiché larga parte vi è data alla musica e al canto. L'Adamo (ed. Milano 1613 con illustrazioni del bolognese C. A. Procaccini; recentemente da E. Allodoli, Lanciano 1913) è l'opera più famosa dell'A. forse perché si volle, e per primo il Voltaire nel suo Essai sur la poésie épique (trad. ital. Berlino 1782, pp. 94-96), che il Milton ne ricavasse più di un'idea per il suo Paradiso perduto. Il Voltaire afferma, senza precisa documentazione, che il poeta inglese vide una rappresentazione del dramma andreiniano durante il suo viaggio in Italia (1638-39); altri che semplicemente lo lesse. Comunque l'argomento più valido a favore della dipendenza dell'opera inglese dall'italiana sarebbe l'esistenza di un manoscritto miltoniano di Cambridge, nel Trinity College, contenente uno schema di tragedia sulla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, compilato dal poeta nel 1642 circa, nel quale più evidenti sarebbero le reminiscenze andreiniane. Reminiscenze e suggestioni che non hanno, nel poema, il carattere esclusivo che si è voluto loro attribuire e che comunque si svolgono poi, sempre, in modo originale.
La questione determinò la fortuna dell'Adamo,che fu tradotto in inglese da W. Cowper nel terzo volume dell'edizione miltoniana (Londra 1810, in 4 voll.); mentre altre opere, insieme e forse meglio di questa, potrebbero riassumere la personalità andreiniana. Ad esempio La Maddalena (Mantova 1617), una sacra rappresentazione in cinque atti, con parti musicali, dedicata ad Alessandro Pico della Mirandola. Il tema, assai vicino alla sensibilità dell'A. e del suo tempo per le possibilità in esso implicite di accostare il peccaminoso al sacro, era stato da lui trattato in un poema in tre canti, in ottave, La Maddalena (Venezia 1610), e fu poi ripreso nella Maddalena lasciva e penitente (Milano 1652), che è la riduzione in tre atti della rappresentazione del 1617. La quale è tecnicamente più complessa dell'Adamo, ha una maggiore varietà metrica e una più sontuosa scenografia, trattando i primi tre atti della vita lussuriosa della peccatrice, gli altri due della sua conversione e assunzione in cielo. Il sacro si avvicenda spesso al licenzioso e al comico, la musica e il canto vi hanno gran parte.
Anche le commedie si collocano, e trovano la loro giustificazione, in un particolare momento della storia del teatro secentesco, trasportando l'esperienza comica della commedia dell'arte, col suo gusto del meraviglioso, del favoloso unito al realistico licenzioso, nel campo della commedia erudita. Qui si ha veramente il processo inverso a quello che, quasi un secolo prima, aveva suscitato la creazione di un nuovo linguaggio teatrale, la commedia dell'arte. Allora l'esperienza della commedia erudita cinquecentesca, il classicismo, erano tra le componenti letterarie di un linguaggio teatrale nuovo, la tradizione sulla quale si innestava una intuizione diversa e originale. Qui la tradizione è rappresentata proprio dalla commedia dell'arte, che si tiene in vita artificiosamente col soccorso della tradizione erudita, pastorale, classicheggiante, con variazioni nel meraviglioso, nel sorprendente. Rotto l'equilibrio della costruzione scenica, che era il pregio della commedia dell'arte, se ne esasperano i difetti in essa impliciti; è la decadenza di un linguaggio teatrale, quando ancora non se ne è trovato uno nuovo.
Nella Veneziana (Venezia 1619) commedia in cinque atti in dialetto veneziano, erroneamente attribuita al padre Francesco, l'A. si firma "Cocalini dei Cocalini da Torzelo academico vizilante detto el Dormioso". Vi si rappresenta la burla giocata da una coppia di giovani al vecchio spasimante Cocalini. Nella Ferinda (Parigi 1622), un'azione in versi, con parti cantate, l'A. si compiace di mischiare, con una certa genialità, molti dialetti e lingue. La Centaura (ibid.), dedicata a Maria de' Medici, è una commedia nel I atto, dramma pastorale nel II, tragedia nel III: l'argomento seguita poi quello de Li duo Lelii simili (ibid.), rifacimento di uno scenario del padre Francesco ispirato ai Menaechmi plautini.
Non nuovo (era infatti in uno scenario di Basilio Locatelli 1618), ma fortunatissimo il tema de Le due commedie in commedia (Venezia 1623): in casa del protagonista Rovenio si rappresentano due commedie, recitate l'una da comici dilettanti, l'altra da professionisti; poi - e l'intuizione è veramente felice - la finzione scivola nella realtà, la favola entra nella vita, gli attori cominciano a rievocare fatti spiacevoli e peccaminosi della vita di Rovenio che è costretto ad una pubblica confessione e a chiedere perdono alle sue vittime. La commedia, come La Turca e Lelio bandito (Milano 1620 e Venezia 1624), è preceduta da un prologo di G. P. Fabbri che ne mette in evidenza l'intento morale, col quale notoriamente si giustificavano delle commedie anche gli aspetti licenziosi, perché la rappresentazione del male provocasse lo sdegno dello spettatore. Questi sono gli argomenti, tutt'altro che originali delle opere per così dire teoriche dell'A.: Lo specchio della commedia, La Ferza contro le accuse date alla commedia a' professori di lei, il Teatro celeste "nel quale si rappresenta come la divina bontà abbia chiamato al grado di beatitudine e di santità comici penitenti e martiri" (tutte e tre edite a Parigi, 1625).
Altre opere, oltre quelle elencate: Lo Schiavetto, commedia in prosa, Milano 1612; Il Mincio ubbidiente, intermezzo drammatico con musiche (Venezia 1620); La Tecla Vergine e Martire, poema sacro in sette canti (ibid. 1623); La Sultana, commedia in quattro atti (Parigi 1622); La Ferinda, azione in versi con parti cantate (ibid.); Amor nello specchio, commedia in prosa (ibid.); La Campanaccia, commedia in prosa (Venezia 1627); Il Penitente alla S.S. Vergine del Rosario, poema (Bologna 1631); La Rosella, tragicommedia boschereccia (Bologna 1632); Le Cinque rose del giardino di Berico, poema (Vicenza 1633); I due baci, commedia pastorale (Bologna 1634); La Rosa, commedia boschereccia (Pavia 1638); Ismenia, opera reale e pastorale (Bologna 1639); Ossequio a Anna d'Austria regina di Francia (Parigi 1643); Cristo sofferente, meditazione in versi (Firenze e Roma 1651).
Grande importanza presenta l'A. nella particolare unione di temi musicali e testi letterari, che egli compì in alcune sue rappresentazioni teatrali, ispirandosi alle nascenti forme melodrammatiche, di cui era stato spettatore a Firenze e a Mantova. L'elemento musicale, già emergente, come si è visto, nella sacra rappresentazione di Adamo ed ancor più in quella della Maddalena ("fase transitoria fra la pastorale fiorentina e l'opera romana a grande spettacolo", come viene definita questa ultima che fu eseguita con musiche di C. Monteverdi, S. Rossi, M. Efrem e A. Guinizzoni, stampate sotto il titolo Musiche de alcuni eccellentissimi Musici composte per la Maddalena... di G. B. A., Venezia, Gardano, 1617), si fece più rilevante nelle commedie I due Leli simili (Parigi 1622), L'amor nello specchio (ibid. 1622) e La Sultana (ibid. 1622), ma soprattutto ne La Ferinda (Parigi 1622) e ne La Centaura (ibid. 1622). Le intenzioni operistiche dell'A. nella struttura della Ferinda, da lui stesso - chiamata "commedietta musicale", sono dichiarate dalle numerose "serenate, balletti e canzonette alla pindarica", dal balletto finale e dalla trattazione di alcuni personaggi, preludio all'opera buffa.
Così anche ne La Centaura, tragicommedia pastorale, le parti cantate, gli strumenti, i cori intercalati fra gli atti e alla fine, i lunghi brani in versi "che si potrebbono cantare nello stil recitativo", testimoniano il tentativo di dare un ruolo piuttosto determinante alla musica (anche se non originale questa, e talvolta usata per diverse commedie) nella rappresentazione delle recite dell'Andreini.
Questi spettacoli, intramezzati da musica e danza, che l'A. e i suoi comici interpretarono alla corte di Francia, spesso davanti ad un vero pubblico (all'Hotel de Bourgogne in Parigi, e a Lione), mentre da una parte corrisposero alla finalità di piacere ad una società in prevalenza aristocratica - e quindi alla diffusione di melodie scorrevoli, fini, vivaci ed espressive, come possono ritrovarsi nelle coeve Airs de cour e Chansons à boire, di gran moda -, dall'altra ebbero il merito di influenzare decisamente le feste della corte, e il gusto musicale francese, verso l'ideale melodrammatico di fastosa grandezza, come già si andava disponendo in Italia. Inoltre, le modeste anticipazioni dell'A. non soltanto favorirono la susseguente introduzione in Francia dell'opera italiana, ma suggerirono, probabilmente, a Molière e a Lulli quella forma rappresentativa della "comédie-ballet", che avrebbe dato un così importante e tipico contributo alla storia del teatro francese.
Bibl.: Per la data di nascita, le tre tesi fondamentali in F. Bartoli, Notizie istoriche de' comici italiani, I, Padova 1781, pp. 13-30; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 708-711; L. Rasi, I comici italiani, I, Firenze 1897, pp. 117-139; su tutta la questione, I. Sanesi, Note sulla commedia dell'arte, in Giorn. stor. d. letter. ital., CXI(1938), pp. 13-16. Sulla vita e l'opera dell'A., in generale, fondamentale E. Bevilacqua, G. B. A. e la Compagnia dei Fedeli, Torino 1894. Un elenco delle opere, ordinate per titoli, in L. Allacci, Drammaturgia, Roma 1666. Sui rapporti tra l'Adamo e il Paradiso perduto: G. F. Galeani Napione, Dell'uso e dei pregi della lingua italiana, II, Torino 1791, pp. 279 ss.; A. D'Ancona, Origini del teatro italiano, I, Torino 1891, p. 367 (ma anche II, pp. 470 e 530); E. Allodoli, L'Adamo con un saggio sull'"Adamo e il Paradiso Perduto", Lanciano 1913, pp. 5-12; H. Glaesener, Le voyage de Milton en Italie - Prélude au Paradis Perdu, in Rev. de littér. comparée, XVI (1936), pp. 294-329. Su La Commedia in Commedia, M. Ortiz, Filodrammatici e comici di professione in una commedia di G. B. A., in Riv. teatrale ital., VIII, vol. XIII (1908-09), pp. 257-273; F. Neri, La Commedia in Commedia, in Mélanges Baldensperger, Paris 1930, II, pp. 130-141; sul Teatro Celeste, C.Magnin, "Teatro Celeste"; le commencement de la comédie italienne en France, in Rev. des deux mondes, XVII, t. XX, n.s. (dic. 1847), pp. 1090-1109. Sui viaggi in Francia, A. Baschet, Les comédiens italiens à la Cour de France, Paris 1882, pp. 242, 248, 250-256, 281-305, 316-323; E. Picot, Gli ultimi anni di G. B. A. in Francia, in Rass. bibliogr. d. letter. ital., IX(1901), pp. 61-67. Sul rapporto tra le opere dell'A. e il nascente melodramma, H. Prunières, L'Opéra italien en France avant Lulli, Paris 1913, pp. XXXIV-XLIII; F. Liuzzi, I musicisti in Francia, I, Roma 1946, pp. 149, 150, 152-158 ecc., figg. 38-39, tav. XIX; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, I, coll.463-465. Si veda per una valutazione complessiva la voce A. di A. Fiocco e C. Tanfani, in Enciclopedia dello Spettacolo, I, pp. 558-566.