FASOLO, Giovan Antonio
Figlio di Cristoforo, fabbro, di famiglia lombarda di Mandello del Lario (Como), nacque nel 1530. Visse e operò come pittore a Vicenza, dove era giunto presumibilmente in giovane età. Sposò Canzenua Trissino, da cui ebbe tre figli, Isabella, Belisario e Fenice. Si tramanda che era stato educato in casa del prelato Girolamo dei conti Gualdo, famiglia che fu in seguito tra i principali committenti dell'artista insieme con altre importanti famiglie nobili vicentine (Porto, Pagello, Caldogno). Si formò nell'ambito della tradizione pittorica veronese, dominata dall'influsso del manierismo mantovano, non senza apporti della coeva cultura artistica emiliana e dell'Italia centrale. Si distinse nell'esecuzione di affreschi ornamentali per palazzi signorili a Vicenza, ma soprattutto nella decorazione murale di ville nel territorio vicentino.
Si ritiene di individuare gli esordi del F. nei quattro frammenti di un fregio con figure femminili e putti alati in palazzo Repeta a Vicenza, datati intorno al 1550 (Barbieri, 1964), oppure nelle ante d'organo con i Ss. Felice e Fortunato per il duomo di Cologna Veneta (Marinelli, 1988). Tuttavia la prima opera ascrivibile con certezza all'artista è il ciclo di affreschi con scene tratte dalla storia romana in una sala al pianterreno della villa Porto-Colleoni a Thiene (1552 c.).
Nei primi decenni del Novecento la storiografia artistica (von Hadeln, in Ridolfi, I, 1914, p. 299 n. 4; Fiocco, 1928; Venturi, 1929) ha attribuito l'intero ciclo al F., ma la critica recente vi ha individuato in modo persuasivo la partecipazione anche di Giambattista Zelotti, pur riconoscendo prevalente la personalità del Fasolo. Spettano a lui L'incontro di Sofonisba con Massinissa, il Convito di Cleopatra e le figure di Vulcano e Venere ai fianchi del camino, lo Zelotti invece eseguì le figure di Mercurio e Minerva adagiate sul timpano di una sopraporta e quasi interamente il riquadro con Muzio Scevola davanti a Porsenna. Possono ritenersi opera di collaborazione dei due artisti la massiccia inquadratura architettonica, i motivi ornamentali del fregio e il riquadro della Clemenza di Scipione.Un documento pubblicato dal Cicogna in Inscrizioni veneziane (IV, Venezia 1834, p. 151) attesta che l'11 luglio 1556 fu effettuato un pagamento per lavori compiuti, come aiuto del Veronese, nella chiesa di S. Sebastiano a Venezia, a un non meglio precisato "Maestro Antonio pittore", identificato dalla maggiore parte degli studiosi con il F. (ma von Hadeln, in Ridolfi, II, 1924, p. 229 n. 2, esprime seri dubbi in proposito), il quale avrebbe, quindi, partecipato come aiutante all'impresa pittorica del Veronese nella chiesa veneziana insieme con Benedetto Caliari, fratello di Paolo.
L'intervento del F. e di B. Caliari è generalmente ravvisato nei quattro tondi con cherubini e nella cornice dipinta con leoni e teste femminili per il soffitto della sagrestia, nei festoni e tralci su tavola e nelle raffigurazioni simboliche che affiancano le tele del Veronese nel soffitto della chiesa, oltre che nelle figure minori e nelle parti architettoniche degli affreschi nella zona superiore della navata centrale.
Membro dell'Accademia Olimpica nell'anno della fondazione (1556), ne fu nominato conservatore per il primo trimestre del 1557 insieme col capomastro Domenico Groppino (Magrini, 1851, p. 13). Tra il 1557 e il 1562 collaborò all'allestimento di apparati scenografici per le rappresentazioni teatrali organizzate prima nel cortile della sede accademica poi nel salone della Basilica. Nel 1557 gli venne dato l'incarico di eseguire, insieme con lo scultore Lorenzo Rubini e coi falegname Battista Marchesi, Nnipianto scenografico per la recita dell'Andria di Terenzio (tradotta dall'accademico Alessandro Massaria), lavoro delle cui caratteristiche non ci sono però giunte testimonianze né figurative né documentarie. Nel 1561 A. Palladio progettò un teatro ligneo, che venne installato nella Basilica vicentina per la messinscena dell'Amor costante di A. Piccolomini nello stesso anno e della Sofonisba di G. G. Trissino nel 1562; il F. partecipò con lo Zelotti all'esecuzione del fondale scenico concepito come una struttura architettonica. Nella descrizione dell'allestimento scenografico della Sofonisba (cfr. la trascrizione in Puppi, 1974) il segretario della Accademia Olimpica P. Chiappini ricorda che i due artisti dipinsero un riquadro a terretta gialla con figure a grandezza naturale. Ma con ogni probabilità essi realizzarono anche le altre opere di decorazione pittorica citate dalla fonte (fregi con cartelle, festoni e putti, le due figure allegoriche sull'estradosso dell'arco della porta centrale, ecc.). Il F. risulta dunque collaboratore del Palladio nella prima verifica applicativa da parte dell'architetto delle sue conoscenze sul teatro classico, fondamentale per la successiva realizzazione del teatro Olimpico.
Inoltre F. Lampertico (Ricordi accademici e letterari, Vicenza 1872, p. 92) rammenta che la sfera cosmografica realizzata da fra' Vincenzo da Curzola nel 1560 e conservata nello Studio Olimpico "venne compartita nientemeno che dal celebre pittore Giovanni Antonio Fasolo, non meno lodato per questo lavoro, che nelle pitture fatte per l'Accademia nella rappresentazione dell'Andria e della Sofonisba".
Il Ridolfi (1648) ricorda che in Vicenza il F. aveva affrescato con figurazioni allegoriche, oggi scomparse, le facciate di palazzo Civena e di casa Cogollo, nonché le pareti della sala dell'udienza nel palazzo del podestà (note di pagamento del 1567-68 ad un "Antonio depentore" per pitture nel palazzo del podestà sono menzionate in Zorzi, 1961, p. 220; cfr. anche Magrini, 1851, p. 45).
In particolare, il complesso unitario di affreschi allegorici e fregi decorativi che animava il prospetto di casa Cogollo (costruita tra il 1559 e il 1562) è anche descritto, e in modo più dettagliato, dal Boschini (1676, pp. 73 s.), il quale lo ricorda come "opera veramente che rende ammirazione ai più intendenti". La valenza figurativa e coloristica della struttura ha fatto recentemente presumere al Cevese (1990) che l'idea architettonica spettasse allo stesso Fasolo. Né il Ridolfi né il Boschini ricordano invece gli affreschi interni. Un cenno al fregio che attualmente adorna la sala del piano nobile, e in cui sono rappresentati i Quattro elementi e altre figure simboliche, compare per la prima volta nella Descrizione delle architetture, pitture e sculture di Vicenza (Vicenza 1779, II, pp. 123 s.), ove è ascritto al Fasolo. Nella storiografia moderna tale attribuzione, peraltro sostenuta con decisione dallo Zorzi (1961), è piuttosto controversa.
Il F. si segnalò particolarmente come pittore ritrattista. A lui sono tradizionalmente ascritti il Ritratto di un procuratore di S. Marco con la famiglia (Venezia, Seminario patriarcale) e la Famiglia Pagello (Vicenza, Museo civico).
Il primo dipinto recava un'iscrizione, non più leggibile, con la firma dell'artista e l'anno 1560, come ricordava l'abate Moschini (Chiesa e seminario di S. Maria della Salute di Venezia, Venezia 1842, p. 41); ma il Magrini pochi anni dopo (1851, p. 27) lamentava "la sventura di un restauro, che ne ha indebolito la vivacità delle tinte". Il ritratto Pagello mostra dati stilistici autografi, anche se nel più recente catalogo del Museo (Vicenza 1982, p. 187) è ascritto, sia pure in modo dubitativo, allo Zelotti.
I ritratti di Paolo Gualdo con le figlie e di Giuseppe Gualdo con i figli (Vicenza, Museo civico), entrambi datati al 1566-67 (Barbieri, 1958), sono caratterizzati da uno studio approfondito dei tradizionali stilemi manieristici; chiare somiglianze nelle attitudini stereotipe delle figure hanno inoltre consentito al Barbieri, giusta la comunicazione orale del Fiocco, di avanzare l'attribuzione al F. del Ritratto di famiglia del Ringling Museum. di Sarasota (già ascritto al Veronese), attribuzione generalmente accolta dagli studiosi e condivisa dai catalogatori del Museo (P. Tomory, Catalogue of the Italian paintings before 1800..., Sarasota, Fl., 1976, cat. n. 88, p. 92). In virtù di analoghe motivazioni la critica recente (cfr. la scheda in Pignatti, 1976, p. 207) propende, sia pur con maggiore cautela, a ritenere del F. anche il Ritratto di famiglia al De Young Memorial Museum of Art di San Francisco, che reca la data 1558.
La sua naturale disposizione ritrattistica ha modo di esprimersi pure nelle due scene di genere affrescate nella loggia di villa Roberti a Brugine (Padova; verso il 1560) e in una stanza al pianterreno della villa Campiglia ad Albettone (Vicenza; 1570 c.), ma soprattutto negli affreschi della loggia e del salone centrale di villa Caldogno nei pressi di Vicenza, eseguiti negli anni immediatamente precedenti il 1570.
Nelle pareti del loggiato sono un Concerto e un Convito e nella volta Giove tra gli dei dell'Olimpo. Nei due lati maggiori del salone telamoni giganteschi su alti piedistalli sorreggono una trabeazione decorata con i motivi ornamentali tradizionali (cartelle ed erme di stainpo classicistico tra ghirlande e putti) e incorniciano le scene che si svolgono in un portico di gusto palladiano (il Concerto, il Convito, il Gioco, la Danza). La composizione è basata in maniera evidente sul contrasto fra il peso opprimente del prospetto architettonico di ascendenza manierista e le figurazioni degli ozi in villeggiatura, ove le formule di matrice veronesiana sono divulgate con un linguaggio realistico che ha caratteristiche comuni con la pittura della contemporanea scuola bresciana.In base al ritrovamento di un documento che attesta il F. attivo a Costozza di Longare, presso il gentiluomo vicentino Francesco Trento, è stato proposto di assegnare all'artista anche gli affreschi dell'"Eolia" di villa Trento, eseguiti forse con la collaborazione di Giambattista Maganza senior (Battilotti, 1977; cfr. anche van der Sman, 1988).
Solitamente riferiti ad ambito zelottesco, raffigurano nella volta le Quattro stagioni entro nicchie, affiancate dalle Sette divinità planetarie, con al centro Prometeo, e sono databili alla fine del settimo decennio, subito prima degli affreschi di Caldogno.
Tra le opere devozionali sono concordemente attribuite al F. la Madonna del Rosario, databile ai primi anni del settimo decennio, e la Probatica piscina, del 1570 c., entrambe conservate al Museo civico di Vicenza.
Mentre nella prima si osserva un'assimilazione alquanto superficiale dei tipici schemi di scuola veronesiana, nella Probatica piscina viene operata una sintesi originale delle più diverse influenze: veronesiane, nel fondale scenografico; tintorettesche, in varie figure, ad esempio nei due vecchi infermi in primo piano; bassanesche, nella natura morta e nella donna con bambino.
Ascritta al F. nei cataloghi della Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia (G. Nicodemi, Bologna 1927, pp. 84 s.; G. Panazza, Bergamo 1958, p. 140, e ibid. 1968, pp. 143, 232) è l'Adorazione dei magi, identificata con la pala di uguale soggetto ricordata da Ridolfi ([1648], II, 1924, p. 229) e dal Boschini (1676, pp. 36-37) nella chiesa dei Servi a Vicenza. Più in ossequio alla tradizione letteraria locale (cfr. Boschini, 1676, p. 111; Descrizione... di Vicenza, Vicenza 1779, I, p. 4; Magrini, 1851, p. 49) che per caratteri formali specifici, E. Arslan (in Vicenza. Le chiese, Roma 1956, p. 7) attribuisce all'artista l'Incontro di s. Ambrogio e Teodosio, conservato nella sacrestia della chiesa dell'ospedale di S. Bartolomeo a Vicenza, riferendolo al periodo finale della sua attività.
Per la ricostruzione dell'attività grafica del F., l'Adorazione dei magi del Teylers Museum di Haarlem costituisce un valido riferimento (cfr. B. W. Meijer-C. van Tuyll, Disegni ital. del Teylers Museum Haarlem, Firenze 1983, pp. 108 s. n. 42).
Il complesso di nove tele con episodi di storia romana, dipinto per il soffitto della loggia del Capitaniato a Vicenza nel 1572, è l'ultima opera del F., che mori il 23 agosto dello stesso anno lasciando forse incompiute le tele minori, come ritiene il Magrini (1851, p. 43). Asportate tra il 1822 e il 1830, le tele furono ricollocate nel 1961 entro il ripristinato soffitto scompartito alla ducale (Barbieri, 1961).
Impianti spaziali di matrice veronesiana, schemi compositivi tintoretteschi e stilemi di ascendenza mantovana sono i caratteri formali dominanti in queste composizioni, in cui è chiaro il riferimento a esperienze pittoriche diverse considerate dal F. egualmente esemplari; comunque i prevalenti fattori di mediazione con la tradizione artistica, quale si veniva delineando nel Veneto, dimostrano la partecipazione dell'artista alla formazione di un linguaggio figurativo basato sull'eclettismo pittorico e divulgato in tono minore nel Vicentino dalla bottega dei Maganza nei decenni successivi.
Fonti e Bibl.: C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte [1648], a cura di D. von Hadeln, I-II, Berlin 1914-1924, ad Indicem; G. Gualdo jr., 1650. Giardino di cha' Gualdo, a cura di L. Puppi, Firenze 1972, pp. 54 s.; M. Boschini, I gioielli pittoreschi... di Vicenza, Venezia 1676, pp. 15 s., 20, 27 ss., 36 s., 39 s., 46, 65, 73 s., 83, 111; A. Magrini, Cenni stor. e critici sulla vita e sulle opere di G.A.F. pittore vicentino, Venezia 1851; G. Fiocco, Paolo Veronese, Bologna 1928, pp. 45-49, 126 s., 157 s., 203-206; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 4, Milano 1929, pp. 1010-1025; F. Barbieri-R. Cevese-L. Magagnato, Guida di Vicenza, Vicenza 1956, ad Indicem; F. Barbieri, Due dipinti di G.A.F. fortunatamente ritrovati, in Arte veneta, XII (1958), pp. 204 s.; M. Muraro, Pitture murali nel Veneto..., Venezia 1960, pp. 120 s.; F. Barbieri, Un'opera pressoché ignorata di G.A.F.: le tele per la loggia del Capitaniato a Vicenza, in Arte veneta, XV (1961), pp. 238 ss.; G. Zorzi, G.A.F., pittore lombardo-vicentino emulo di Paolo Veronese, in Arte lombarda, VI (1961), pp. 209-226; E. Arslan, Postilla ad un articolo su G.A.F., ibid., VII (1962), pp. 49 s.; L. Crosato, Gli affreschi nelle ville venete del Cinquecento, Treviso 1962, pp. 38-42, 77 s., 92-95, 99-103, 132-135, 194-197; F. Barbieri, Il Museo civico di Vicenza, Venezia 1962, II, pp. 68-77; G. Zorzi, Seconda postilla ad un articolo su G.A.F. e il suo testamento, in Arte lombarda, VIII (1963), pp. 275-280; F. Barbieri, Un fregio ined. cinquecentesco nel vicentino palazzo dei Repeta, in Studi in onore di A. Bardella, Vicenza 1964, pp. 199-206; R. Pallucchini, Giambattista Zelotti e G.A.F., in Boll. del Centro internaz. di studi di architettura A. Palladio, X (1968), pp. 203-228; F. Barbieri, La decoraz. pittorica, in A. Venditti, La loggia del Capitaniato (Corpus Palladianum), IV, Vicenza 1969, pp. 70-73; L. Puppi, Le esperienze scenograf. palladiane prima dell'Olimpico, in Boll. del Centro internaz. di studi di architettura A. Palladio, XI (1974), pp. 306 s.; T. Pignatti, Paolo Veronese, Venezia 1976, ad Indicem; D. Battilotti, Nuovi documenti per Palladio (con un'aggiunta archivistica al F.), in Arte veneta, XXXI (1977), pp. 234 s., 239; Palladio e la maniera (catal., Vicenza), a cura di V. Sgarbi, Milano 1980, pp. 20, 22, 76 ss.; V. Sgarbi, Aspetti della maniera nel Veneto, in Paragone, XXXI (1980), 369, pp. 66 s.; G. Barbieri, Il vento e la legge. Francesco Trento e il circolo di Villa Eolia, in Studi veneziani, n. s., VII (1983), pp. 104-107, fig. 1; L. Olivato, Un dipinto perduto del F., un furto sacrilego e una "strana" perizia del Boschini, in Interpretazioni veneziane. Studi di storia dell'arte in onore di M. Muraro, Venezia 1984, pp. 393-398; M. Morresi, Palladio, G.A.F. e Cristoforo Sorte in villa Porto-Colleoni, in Arte veneta, XI, (1986), pp. 209-220; Veronese e Verona (catal.), a cura di S. Marinelli, Verona 1988, pp. 296-301; G. Baldissin Molli, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 709 (cfr. anche Indice); M. Morresi, Villa Porto Colleoni a Thiene: architettura e committenza nel Rinascimento vicentino, Milano 1988, pp. 45-59; G. van der Sman, L'Eolia di villa Trento: arte e umanesimo letterario nel Vicentino, in Arte veneta, XLII (1988), pp. 58-67; R. Cevese, La casa del notaio Pietro Cogollo, detta volgarmente "casa del Palladio", in A. Palladio: nuovi contributi, Atti del VII Seminario internaz. di storia dell'architettura (Vicenza 1º-7 sett. 1988), Milano 1990, pp. 73-82; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., XI, pp. 283 ss. (con ulter. bibl.); Enc. Ital., XIV, pp. 887 s.