CRISCONIO (Criscuolo), Giovan Angelo
Documentato come notaio a Napoli tra il 1536 e il 1560, dovrebbe quindi essere nato tra il 1500 e il 1510, qualche anno dopo il pittore Giovan Filippo Criscuolo, di cui, secondo il De Dominici (1743), sarebbe il fratello minore.
Nel corso del Cinquecento sono molti a Napoli i notai di nome Crisconio, ed è assai probabile che Giovan Angelo appartenesse ad una famiglia in cui quella professione rappresentava una tradizione possibilità adombrata dallo stesso De Dominici quando ci riferisce che uno zio del C. era appunto notaio. Non è invece precisabile il rapporto di parentela con la nobile famiglia dei Crisconio, originaria di Amalfi, e di cui un ramo si era trapiantato a Napoli.
Anche come pittore Giovan Angelo si firmò sempre Crisconio gli scrittori seicenteschi (D'Engenio, De Petri, Tutini) lo chiamano invece Criscuolo. È da avvertire, però, che già in quel secolo i due cognomi sono usati indifferentemente, come equivalenti. Ma anche a dare per acquisita la parentela con Giovan Filippo Criscuolo (per la verità tutt'altro che certa), come pittore il C. appartiene ad una generazione abbondantemente successiva a quella di Giovan Filippo ed appare legato ad esperienze e tradizioni culturali che con quelle del presunto fratello niente hanno a che vedere.
Su come il C. divenne da notaio pittore abbiamo un racconto, certamente assai romanzato, del maggior scrittore di cose d'arte nella Napoli settecentesca, Bernardo De Dominici (1743, p. 155): "aveva fra questo tempo il suo fratello Giovan Filippo acquistato fama di buon pittore a cagion delle bell'opere che tutto giorno esponeva nelle pubbliche chiese: ed accadde, che avendone Gio. Angelo censurato alcune, venne ad altercare col medesimo Gio. Filippo il quale crucciato dissegli, che andasse a giudicare de' contratti, e dell'altre scritture appartenenti al suo mestiere, e non della pittura. Questa risposta punse fuor di modo l'animo di Gio. Agnolo, ma non replicò altro se non, che forse un giorno si avrebbe a pentire di averlo trattato da ignorante in materia di disegno e di pittura".
Il C. si pose così per cinque anni alla scuola di Marco Pino, riuscendo ad imitarlo così bene che neanche gli esperti riuscivano a distinguere le opere dell'allievo da quelle del maestro. Dovuta all'intervento di Marco Pino è, sempre secondo il De Dominici, la prima commissione pubblica del notaio-pittore, una Adorazione dei Magi per S. Luigi di Palazzo che le antiche fonti napoletane dicono firmata e datata 1562. Lo stupore del mondo artistico napoletano per questa improvvisa apparizione pittorica fu, naturalmente, notevole e, sempre a detta del biografo, il C. poté prendersi la sua bella rivincita su Giovan Filippo che, di fronte alla sua opera, restò stupefatto e "attonito".
Se l'irritazione nei riguardi del fratello lo spinse a diventare pittore, l'irritazione verso il Vasari e gli altri scrittori d'arte del tempo, del tutto ingenerosi nei confronti della produzione artistica napoletana, lo indussero a farsi anche storico dell'arte della sua città: "si diede con ogni diligentissima cura a cercare notizie e perché era notaio, gli fu facile rinvenir testamenti e strumenti, contratti, ed altre scritture attenenti a pittori, scultori ed architetti". Siamo, anche in questo caso di fronte ad una più che probabile invenzione del De Dominici, che ha avuto però larga fortuna nella storiografia artistica sette ed ottocentesca.
Tra tutti questi aneddoti, una sola notizia è sicura: la sua professione di notaio, messa in evidenza anche nei dipinti firmati.
Quella del pittore era per il C. una "vocazione" maturata in età abbastanza avanzata: la data più antica che conosciamo è quella dell'8 febbr. 1558, quando gli fu commissionata la Lapidazione di s. Stefano per l'altar maggiore della chiesa dedicata al Protomartire (ed ora nei depositi del Museo di Capodimonte). Significativamente è proprio a proposito di quest'opera che Cesare D'Engenio (1624), a cui si deve il più antico e più preciso catalogo delle opere del C., ci fornisce le maggiori notizie - sia pure assai scheletriche, com'è suo costume - sul pittore: "nell'altar maggiore è la tavola ov'è la Lapidazione dei Protomartire Stefano con bel componimento di figure, il tutto è opera di Not. Gio. Angelo Criscuolo illustre pittor Napolitano, il quale fiorì negli anni di Nostro Sig. 1560 in circa".
Per qualche anno dunque il notaio-pittore deve aver esercitato entrambe le attività, per decidersi poi ad abbandonare quella notarile: né è verificabile una notizie tramandata dal De Dominici (1743) che si fosse esercitato fin da giovanetto nella miniatura. Se è a questa data, inoltre (nel corso del sesto decennio del secolo), che il C. sì è avviato alla pittura, deve esser frutto di un evidente equivoco la curiosa notizia fornita dal Catalani (1842) di un Giovan Angelo "aiuto in alcuni dei dipinti eseguiti a Gaeta dal fratello".
La Lapidazione di s. Stefano, prima opera documentata, è anteriore di qualche anno al 1562 (data letta dal D'Engenio, 1624, e dal De Dominici, 1743, nella Adorazione dei Magi, perduta, già in S. Luigi di Palazzo) che rappresentò, secondo il De Dominici, la prima uscita pubblica del neopittore. Un'uscita pubblica che, a stare alla Lapidazione di s. Stefano, avvenne indubbiamente nel segno del maestro assegnatogli dagli antichi scrittori, Marco, Pino ed il Marco Pino più estrosamente manierista, più fiorito e bizzarro, ancora segnato dall'esperienza maturata a Roma alla scuola di Perin del Vaga.
Tra le opere ricordate dalle fonti, è oggi perduto il ciclo più impegnativo: le pitture eseguite per la chiesa di S. Luigi di Palazzo: la Pietà sulla porta maggiore della chiesa la citata Adorazione dei Magi (1562) e la Deposizione in due cappelle laterali la Crocifissione e altre storie della Passione di Cristo nel refettorio e c'è da aggiungere che il riferimento al C. avanzato dal D'Engenio (1624) è confermato dai documenti della platea del convento. Sono invece ancora conservate in loco l'Annunciazione nella chiesa dei SS. Severino e Sossio, le Storie della Vergine affrescate nella volta della cappella della Natività, sempre in SS. Severino e Sossio (ma oggi sfigurate da pesanti ridipinture), la Vergine che appare a s. Girolamo nella chiesa di Montecalvario (firmata e datata 1572), l'Assunta in S. Giacomo degli Spagnoli (databile attorno al 1577). Se a queste pitture aggiungiamo l'Annunciazione conservata nel seminario di Aversa (anch'essa con firma e data, 1567), avremo il catalogo completo delle opere sicuramente riferibili al Crisconio.
Catalogo non certo folto, ma sufficiente a chiarire il posto occupato dal C. nell'ambiente pittorico napoletano del tempo: posto, sia detto subito, tutto sommato secondario, e che non esce dai limiti di un buon seguace di Marco Pino, prima, e di Giovanni Bernardo Lama, poi. Due pittori cioè che, se non sono espressione di due tendenze antitetiche, come voleva certa critica seicentesca (segnatamente rappresentata da Giulio Cesare Capaccio), rappresentano due ben distinte varianti di un manierismo che si avvia a diventare "controriformato" espressione, il Lama, di una pittura più sentimentalmente "vaga" e "delicata" il Pino, di un estro più ruvido e robusto.
Almeno fino al 1567 (data dell'Annunciazione di Aversa) l'adesione del C. alla poetica del Pino, nelle figure massicce dalle pose contorte e "fiammeggianti", è assai stretta con un certo declino di qualità artistica, nei dieci anni che separano un'opera assai intensa quale la Lapidazione di s. Stefano (tale da meritare da sola il giudizio del Lanzi, che nessuno dei discepoli di Marco Pino fu "di tanto nome che uguagliasse Giovanni Angelo Criscuolo") dall'Annunciazione aversana. Ma, nel formulare giudizi di valore, andrà tenuto conto del fatto che gran parte della produzione più antica del C. (quella presumibilmente più pinesca e di più accanito impegno, se è vera la storia della sua vocazione pittorica raccontata dal biografo) è andata perduta, a cominciare dai dipinti eseguiti per S. Luigi di Palazzo.
Ma già nella pala aversana compare, come ha notato Previtali (1978), una attenzione a più delicate minuzie di particolari, che rappresenta il segno di una più "profonda adesione alla poetica della devozione fiamminga". È la premessa di quel carattere più devotamente, delicatamente contrito che il C. svilupperà nelle opere più tarde, a cominciare dalla Annunciazione di SS. Severino e Sossio. Senza però mai rinnegare il primitivo sostrato pinesco tanto che al De Dominici (1743) il veramente "focoso" e "fiammeggiante" gruppo degli apostoli, nell'Assunta di S. Giacomo degli Spagnoli, richiamava alla mente addirittura, nelle mosse e nelle fisionomie, la pittura di Polidoro.
Ancora fra Marco Pino e Lama si colloca un'altra possibile opera del C., l'Immacolata nella chiesa di S. Francesco a Nocera- Inferiore, mentre l'Adorazione dei Magi che il De Rinaldis dice proveniente da S. Anna di Palazzo ed ora nei depositi di Capodimonte, riferita al C. (A. De Rinaldis, Catalogo del Museo nazionale di Napoli, Napoli 1911, p. 383), è ancora talmente vicina ai modi di Giovan Filippo da dover essere più ragionevolmente riferita al più anziano dei due.
Il C. mori dopo il 1577.
Fonti e Bibl.: C. D'Engenio, Napoli sacra, Napoli 1624, passim G. C. Capaccio, Descrittione della padronanza di S. Francesco di Paola nella città di Napoli, Napoli 1631, p. 35 Id., Il forestiero, Napoli 1634, p. 903 F. De Petri, Historia napoletana, Napoli 1634, pp. 70, 203 (ripubblicata da B. Croce, in Napoli nobilissima, VIII[1899], p. 14 e da O. Morisani, Letteratura artistica..., Napoli 1958, pp. 83, 85 s.) C. Tutini, De' pittori, scultori, architetti, miniatori e ricamatori neapolitani e regnicoli [sec. XVII], a cura di B. Croce, in Napoli nobilissima, VII(1898), p. 122 (pubbl. anche in O. Morisani, Letteratura artistica a Napoli, Napoli 1958, pp. 121 s.) C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso, della città di Napoli [1692], Napoli 1970, ad Ind. B. De Dominici, Vite de' pittori, scultori ed architetti napol., II, Napoli 1743, pp. 154-162 O. Giannone, Giunte sulle "Vite de' pittori napoletani"[sec. XVIII], a cura di O. Morisani, Napoli 1941, p. 59 P. Napoli Signorelli, Vicende della cultura delle Due Sicilie, V, Napoli 1786, pp. 525 ss. L. Lanzi, Storia pittor. della Italia [1809], a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 454 L. Catalani, Discorso sui monum. patrii, Napoli 1842, p. 45 C. Minieri Riccio, Memorie storiche d. scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844 (rist. anast., Bologna 1967), pp. 111 s. N. Faraglia, Le memorie degli artisti napoletani pubblicate da B. De Dominici, in Arch. stor. per le prov. napol., VII (1882), pp. 336 ss. Id., Di un quadro di G. A. Criscuolo... e dell'Estaurita di s. Stefano, ibid., XIII (1888), pp. 821-28 Id., Il Largo di Palazzo, in Napoli nobilissima, II (1893), p. 6 A. Filangieri, Le pitture di Marco del Pino, ibid., VII (1898), p. 178 G. Milosevic, Sull'autore del quadro di s. Bernardino nella basilica Antoniana, in La Provincia di Padova, 22-23 febbr. 1901 (recensione di don Ferrante, in Napoli nobilissima, X[1901], p. 144) A. Venturi, Storia d. arte italiana, IX, 5, Milano 1932, pp. 733 s., nota F. Strazzullo, Postille alla Guida sacra della città di Napoli del Galante, Napoli 1962, passim G. Previtali, La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame, Torino 1978, pp. 73 s., go s. e passim U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, pp. 108 ss. (s. v. Criscuolo, Giovan Angelo).