RIDOLFI, Giovambattista
RIDOLFI, Giovambattista. – Nacque a Firenze il 20 luglio 1448 da Luigi di Lorenzo del ramo di Piazza della famiglia mercantile dei Ridolfi, insediatasi in città nel Trecento, e da Antonia Fioravanti.
L’appartenenza agli ottimati gli permise di beneficiare di un’educazione umanistica, testimoniata dalla corrispondenza in latino intrattenuta con Lorenzo il Magnifico, Iacopo e Alamanno Salviati, Bernardo de’ Nerli e altri, oltre che dalla partecipazione alla pubblicazione della traduzione in volgare della Historia naturalis di Cristoforo Landino (Venezia 1476).
L’ambito nel quale Ridolfi si distinse fu quello politico-diplomatico. Il primo incarico documentato risale al gennaio del 1480, quando fu eletto tra i Dodici buonuomini per il quartiere di S. Spirito. Nel 1481, sposò Cornelia, sorella di Iacopo Salviati, dalla quale ebbe Antonia, Luigi e Maddalena. Nel 1487-90 fu come commissario di guerra in Lunigiana e a Pistoia e vicario di Certaldo, nel cui palazzo pretorio si conserva un camino con un suo stemma datato 1488. Nel 1493 fu ambasciatore a Milano. Seguì, nel luglio-settembre del 1494, una missione a Venezia, dove si recò con Paolantonio Soderini per persuadere la Repubblica a unirsi alla lega antifrancese. A essa aveva aderito anche Piero de’ Medici, rinnegando la tradizionale politica filofrancese di Firenze per supportare la causa degli Aragona di Napoli. Da Venezia, Ridolfi fu inviato, nel settembre del 1494, ad Alessandria e a Milano, presso Ludovico il Moro, artefice della discesa in Italia di Carlo VIII, che si compì in quelle settimane.
Costretto a mutare posizione e a concedere al re di Francia Livorno, Pisa e diverse fortezze, nel novembre successivo l’impopolare Piero de’ Medici fu estromesso da Firenze, dove, sotto l’impulso della predicazione profetico-apocalittica di Girolamo Savonarola, fu proclamata la Repubblica. L’ascesa dell’austero domenicano e la costruzione di un nuovo regime antimediceo ebbero il supporto di un gruppo di influenti cittadini, definiti piagnoni o frateschi, tra i quali spiccavano Francesco Valori, Paolantonio Soderini e lo stesso Ridolfi. Proprio l’identità di fedele seguace di Savonarola, assieme con la fama di «uomo di reputazione» (N. Machiavelli, Discorsi, a cura di F. Bausi, 2001, III, 15), primo in Firenze per «cervello e gravità» (F. Guicciardini, Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, 1936, p. 71), costituisce il tratto comune dei ritratti dedicati a Ridolfi dalle fonti coeve e successive. Savonarola nutriva in effetti una profonda stima per lui. Secondo Francesco Guicciardini, invece di Valori il domenicano avrebbe preferito vedere alla guida del movimento piagnone il più riflessivo Ridolfi, se non fosse che «gli dava noia il troppo parentado che lui aveva»: un suo congiunto, Piero, aveva infatti sposato Contessina de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico (Storie fiorentine, in Opere, a cura di E. Lugnani Scarano, 1970, p. 177).
Negli anni del regime savonaroliano (1494-98), Ridolfi si interessò delle finanze cittadine e dell’impresa di Pisa, il cui recupero riteneva avrebbe restituito a Firenze la propria «anima». Nel 1497 fu nominato nei Dieci di guerra e rinunciò alla nomina ad ambasciatore residente a Parigi. Quando, in maggio, scoppiò a Firenze il tumulto dell’Ascensione, fu in prima linea nel difendere Savonarola «con una arme in asta in sulla spalla» (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., p. 158). Alcuni mesi dopo (agosto 1497) venne scoperto un complotto filomediceo, ordito, tra gli altri, dal fratello di Ridolfi, Niccolò, che fu giustiziato. Tra i fautori della condanna si distinse Francesco Valori, la cui scarsa clemenza incrinò il fronte savonaroliano. Nell’aprile del 1498, durante i negoziati per la prova del fuoco alla quale il francescano Francesco di Puglia aveva sfidato i domenicani di S. Marco, Ridolfi rappresentò la parte fratesca. L’annullamento della prova, determinato dall’intenzione di Domenico da Pescia, compagno di Savonarola, di affrontare il fuoco brandendo un’ostia consacrata, determinò un nuovo tumulto nel corso del quale Valori fu ucciso. Seguì la cattura e la condanna a morte dello stesso Savonarola, la cui caduta non significò tuttavia la rovina di Ridolfi.
Ispirati da una certa solidarietà di ceto, infatti, gli oligarchi antisavonaroliani permisero a lui e ad altri leader piagnoni, come Paolantonio Soderini, di rientrare in Firenze pagando una somma in denaro e di riacquistare poi un ruolo politico attivo. Nel marzo del 1499 Ridolfi fu oratore a Venezia, da dove informò sull’offensiva turca a Oriente. Nel mese di novembre e di dicembre fu gonfaloniere di giustizia e cercò di ottenere l’incriminazione del capo dei Compagnacci antisavonaroliani, Doffo Spini.
Nel febbraio del 1500 Ludovico il Moro intendeva reinsediare a Firenze Piero de’ Medici, un’eventualità nella quale, secondo Ridolfi, Firenze correva il rischio di perdere la libertà.
Per questo, fu tra coloro che invocarono misure analoghe a quelle dei «tempi di guerra», come l’elezione di una magistratura ristretta di Dieci dotati di piena autorità (Consulte e Pratiche [...] 1498-1505, a cura di D. Fachard, 1993, I, pp. 309-314). Si batté inoltre in favore di una «provisione» di denaro, minacciando l’aumento degli interessi sul debito pubblico per convincere i concittadini ad approvarla, ma ottenendo l’effetto opposto. L’episodio fu rievocato da Guicciardini quale esempio paradigmatico, affinché «chi ha a governare la città si ricordi che chi non può sforzare e’ popoli, [ma] bisogna che proceda con loro con dolcezza e pazienzia» (F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di A. Montevecchi, 2010, p. 319). Nel complesso, tuttavia, il giudizio dello storico su Ridolfi fu lusinghiero, a differenza di quello di Niccolò Machiavelli, il quale lo annoverava probabilmente tra quei «savi uomini» che si opposero al suo progetto sull’Ordinanza.
Nel giugno del 1500 Ridolfi fu inviato a Pisa con Antonio degli Albizzi come commissario di guerra. Alla missione prese parte lo stesso Machiavelli, il quale riferì come fino alla rinuncia anticipata dell’incarico da parte di Ridolfi, nel luglio seguente, ad Albizzi non fosse stata data l’opportunità di mostrare le proprie qualità: l’esempio, per Machiavelli, dimostrava la scarsa utilità di nominare due o più commissari, essendo più proficuo affidare simili incarichi, sull’esempio degli antichi, a un solo uomo (cfr. Discorsi, cit., III, 15). La partenza anticipata di Ridolfi da Pisa, motivata da una malattia, fu probabilmente legata alle scarse probabilità di successo dell’impresa. Tanto in occasione della guerra di Pisa, quanto della successiva minaccia portata da Cesare Borgia (1501), egli invocò maggiore decisione da parte di Firenze nel richiedere il supporto di Luigi XII. Nel gennaio del 1501 fece inoltre parte del gruppo di dodici ottimati che promosse una riforma costituzionale, secondo la quale il potere legislativo «sarebbe passato ad un consiglio ristretto, composto dagli Ottanta e da un numero sostanzialmente eguale di membri permanenti» (Cadoni, 1999, p. 142). Il progetto, che avrebbe determinato l’esautoramento del Consiglio grande, fu respinto per l’«indegnazione del popolo», contrario a che i dodici «disegnassero farsi grandi e uscire della universalità» (P. Parenti, Storia fiorentina (1496-1502), a cura di A. Matucci, 1994-2005, II, pp. 411 s.).
Nel maggio seguente Ridolfi si recò insieme con Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici e Benedetto Nerli alla corte di Francia, dove «con i fiorini 20mila... e con mandato pieno circa e’ 50 mila per la impresa di Napoli», tentò di assicurare a Firenze il favore di Luigi XII (Négociations, a cura di G. Canestrini - A. Desjardins, 1859-1861, II, p. 54; P. Parenti, Storia fiorentina, cit., II, p. 430). Circa tre mesi dopo (agosto 1501), l’esercito francese entrava a Napoli. Ridolfi fu nominato ambasciatore al re di Francia, ma rifiutò l’incarico. Dal 1502, dopo esser stato candidato alla carica di gonfaloniere a vita, assunse un ruolo di primo piano nell’opposizione oligarchica al regime di Piero Soderini. Al 1503 (15 e 28 agosto) risalgono due lettere inviategli da Machiavelli per conto della Signoria, riguardanti le relazioni con lo Stato pontificio in seguito alla morte di Alessandro VI. Altre lettere di Machiavelli lo raggiunsero nel mese seguente a Castrocaro, dove era commissario. Fu poi priore di libertà e oratore presso Ferdinando il Cattolico a Piombino (1506). Nel 1507 si recò insieme con Pierfrancesco Tosinghi in Francia, dove si congratulò con Luigi XII per i successi in Lombardia e lo esortò a supportare la causa fiorentina contro Pisa. Tornò poi in Francia nel 1508-10 con Alessandro de’ Nasi. Nel 1511 fu commissario in Romagna e ambasciatore presso il viceré di Napoli, Raimondo Cardona, ostile a Firenze.
Alla caduta di Piero Soderini (31 agosto 1512), fu nominato gonfaloniere. L’elezione di Ridolfi, uomo «savio quant’altro della città, animoso, di assai parenti e casa reputata», «dette grandissima speranza a tutta la città» (Cerretani, 1993, p. 33). Tuttavia, il 16 settembre seguente fu deposto in seguito a un colpo di Stato filomediceo. I Medici non lo estromisero tuttavia dalla politica attiva, ma cercarono di garantirsene la collaborazione. Fu così eletto tra gli accoppiatori e inviato a Roma per rendere omaggio al neoeletto Leone X.
Fu l’ultima missione prima della morte che lo colse nel marzo del 1514, probabilmente a Firenze, poco dopo la nuova nomina tra i Dieci di guerra.
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