MAROTTI, Giovambattista
– Nacque il 17 apr. 1834 a Montignano di Senigallia da Luigi, piccolo proprietario terriero, e da Antonia Santinelli, sua seconda moglie.
Sebbene non ricchissima, la sua era una delle famiglie benestanti della zona. Nella vicina Montemarciano, dove i Marotti si trasferirono probabilmente già sul finire degli anni Trenta, Luigi sedette nel Consiglio comunale a partire dal 1861, mentre suo cognato, Nicola Santinelli, divenne il primo sindaco del periodo postunitario.
Il M., maggiore di cinque figli (gli altri erano Cesare, Clarice, Maria Teresa, Elpina), frequentò le scuole elementari a Montemarciano, il ginnasio-liceo di Ancona e, infine, l’Università a Bologna, dove si laureò in ingegneria. Nel capoluogo emiliano conobbe Olimpia Gagliani, che sposò alcuni anni più tardi.
Terminati gli studi, fece ritorno ad Ancona, entrando come praticante dapprima nello studio dell’ingegnere E. Ferrari, poi in quello di A. Daretti, ingegnere capo del Comune. Nel 1857 debuttò nel campo delle costruzioni ferroviarie: su incarico delle Ferrovie romane e sotto la guida dell’ingegnere Niviers, collaborò alla realizzazione della galleria di Pesaro sulla tratta Bologna-Ancona e compì alcuni studi in vista dell’inserimento di varianti sulla linea Ancona-Roma. Nel 1862 la Società L. Sacerdoti gli affidò il compito di progettare il tracciato della Ancona-Tronto (84 km) e di costruire una galleria all’altezza di Passo Varano, frazione del capoluogo marchigiano. Nel 1863 venne chiamato a dirigere i lavori della linea ligure compresa fra Sanremo e il confine con la Francia. La società torinese che aveva ottenuto l’appalto era controllata dal banchiere di origine svizzera U. Geisser, il quale apprezzò a tal punto l’opera prestata dal M. da sceglierlo come suo socio. Dal 1863 al 1873 il M. risiedette a Torino, portando a compimento altre imprese di rilievo, fra cui la realizzazione del canale sussidiario Cavour, derivato dalla Dora Baltea. Di un certo interesse furono anche gli studi di fattibilità che egli svolse per conto della Società finanziaria austro-italiana circa l’ideato collegamento ferroviario al mare di alcune miniere della Dalmazia.
Nel 1873 si trasferì a Roma e continuò a dedicarsi alle strade ferrate, ricevendo alcuni mandati dalle Ferrovie sarde, nonché una robusta commessa (25 milioni di lire) per la costruzione di un segmento della linea Potenza-Eboli. Nello stesso periodo prese inoltre parte alle opere di bonifica delle valli ferraresi intorno a Codigoro. Nel 1878-79 progettò e realizzò due ferrovie «economiche» per le miniere carbonifere di Volterra e del Senese.
Nel 1879 rientrò a Montemarciano. Il suo considerevole patrimonio, accumulato in circa tre lustri grazie agli incarichi eseguiti in uno dei settori produttivi maggiormente redditizi nell’Italia del tempo, ne fece senza dubbio l’uomo più ricco del piccolo paese rurale dove seguitava a risiedere la sua famiglia. Dietro il ritorno sulle colline dell’Anconitano ci fu soprattutto la volontà del M. di ostentare un successo professionale e finanziario conseguito altrove, che gli venne ufficialmente riconosciuto con il conferimento dei titoli di cavaliere e di commendatore del Regno. Nella sua terra di origine, piuttosto povera e interessata con crescente intensità dal fenomeno migratorio, egli costituiva una straordinaria eccezione, di cui era consapevole. Per dar mostra immediata delle proprie fortune, fece precedere la rentrée dall’acquisto di 76 ettari di terreno intorno alla cinta urbana, un investimento la cui resa era evidentemente scarsa, ma che per la ristretta comunità contadina di Montemarciano rappresentava la testimonianza più credibile di solidità economica e prestigio sociale. Al contempo, comprò un edificio nella via centrale del paese per farne la sua residenza e dette il via alla costruzione di una villa lussuosa, appena fuori dell’abitato, da destinare alle vacanze estive.
Al ritorno fra le colline natie il M. non accompagnò, a ogni modo, il ritiro dagli affari. Anzi, fu proprio negli anni Ottanta che egli iniziò a operare in un nuovo settore, l’edilizia, verso cui si andava orientando una quota via via più ampia della spesa pubblica italiana. In società con Geisser e G. Frontini, riuscì ad acquisire importanti commesse, legate agli speciali provvedimenti allora varati per le città di Roma e Napoli.
Per la capitale vennero approvate due leggi: con la prima (14 maggio 1881), lo Stato stanziò a favore del Comune la somma di 50 milioni di lire da impiegare per l’erezione di edifici pubblici; la seconda (8 luglio 1883) garantì, per la medesima finalità, un prestito agevolato pari a 150 milioni. Napoli fu sottoposta invece alla cosiddetta «legge per il risanamento», attraverso la quale, all’indomani dell’epidemia di colera che aveva prostrato la città nel 1884, vennero erogati rilevanti contributi statali per il rifacimento di alcuni vecchi rioni e l’edificazione di nuovi quartieri. A costruttori e affaristi tali provvedimenti offrirono un’allettante occasione per realizzare profitti eccezionali. A questa data il M. non aveva ancora avuto modo di cimentarsi nell’edilizia, ma non si lasciò sfuggire l’opportunità che si presentava. Come aveva fatto nella fase iniziale della sua carriera di ingegnere ferroviario, così adesso nella conversione del M. verso il «mattone» fu Geisser a svolgere un ruolo determinante: fra gli istituti di credito protagonisti delle speculazioni edilizie romane e napoletane vi erano, infatti, anche la Banca tiberina e il Banco di sconto e sete, entrambe controllate dal banchiere.
Al pari di molti altri speculatori, esperti o improvvisati, il M. si lasciò prendere dunque dalla «febbre edilizia» di quegli anni e venne premiato. Nel 1881, a Roma, la Società Marotti - Frontini - Geisser costruì alcuni grandi edifici intorno a piazza Vittorio Emanuele II e la linea tranviaria di S. Paolo e di via Nazionale. In quei mesi, ancora in via Nazionale, il M. innalzò un imponente palazzo di sua proprietà. Due anni più tardi, la stessa società si accordò con il Comune per la realizzazione del quartiere Testaccio (1.200.000 lire) e nel 1894 – mentre il Paese stava uscendo dalla profonda crisi innescata dalle speculazioni edilizie del decennio precedente, responsabili fra l’altro del fallimento di numerose imprese costruttrici e di alcuni fra gli istituti di credito che le avevano finanziate – si aggiudicò l’appalto per il secondo lotto del palazzo di Giustizia (circa 2.400.000 lire). Nel capoluogo campano Geisser, Frontini e il M. si strinsero in società insieme con la Banca napoletana e acquistarono terreni paludosi per circa 650.000 m2 a est della stazione ferroviaria cittadina, elevandovi poi un quartiere.
Anche dalle sue parti il M. provò a dar seguito alla sua nuova vocazione di costruttore edile. Nel luglio 1881 ricevette dal Comune di Ancona la concessione del servizio tranviario urbano e l’incarico di costruire un nuovo stabilimento balneare, che sostituisse quello esistente sin dal 1835.
Le due opere vennero completate l’anno successivo. Il bagno Marotti, nonostante la insistita réclame apparsa nei giornali locali, non decollò mai, anche a causa del progressivo mutamento di destinazione dell’area sulla quale insisteva, che da luogo di svago venne progressivamente trasformata in quartiere popolare e in zona industriale, inquinata dalle polveri di carbone: nel 1909 lo stabilimento fu interrato per fare spazio a uno scalo merci. Per quanto riguarda il tram (due linee, lunghe rispettivamente 2 e 3,5 km), venne presto accantonata l’originaria idea di alimentarlo a energia elettrica, ritenuta ancora troppo pericolosa e alla quale si preferì perciò il tradizionale traino a cavallo. La qualità del servizio si sarebbe rivelata, sin dal suo avvio, insufficiente e, alla morte del M., il Comune decise di liquidare gli eredi (aprile 1908), per poi procedere alla municipalizzazione e all’elettrificazione della rete.
Un significato del tutto particolare riveste l’attività svolta dal M. a Montemarciano. Tornatovi nel 1879, venne subito eletto consigliere comunale e dieci anni dopo fece ingresso nel Consiglio provinciale in rappresentanza di quel mandamento. La sua azione in questo campo fu caratterizzata da un marcato paternalismo, dettato probabilmente dal desiderio, da un lato, di accreditarsi come benefattore agli occhi dei concittadini, dall’altro, di consolidare una tutela politico-amministrativa moderata su un ambiente popolare che dava segni espliciti di irrequietezza. In ogni caso, i suoi interventi mirarono soprattutto a un deciso incremento della spesa pubblica locale, lungo un percorso che in verità i modesti notabili di Montermarciano avevano timidamente intrapreso già prima del suo ritorno.
Assistito dal fratello Cesare, che sedette con lui nella commissione edilizia e che dal 1888 al 1902 sarebbe stato sindaco, il M. riuscì a far approvare nel 1885 un nuovo regolamento per il decoro urbano, che prevedeva la ripulitura e il restauro di tutti gli edifici in cattivo stato. Ricchezza e fama gli consentirono di stringere senza difficoltà rapporti clientelari, per mezzo dei quali influenzò profondamente molte delle scelte del Municipio. Al suo nome e alle sue elargizioni si legarono, così, le maggiori opere pubbliche eseguite a Montemarciano nell’ultima parte del XIX secolo: le scuole elementari (1883), il nuovo cimitero (1886), l’asilo infantile (1890), la nuova strada d’accesso al paese (1893) e l’acquedotto (1897-1901). Anche il teatro si deve all’intervento del M., che non si limitò a perorarne la realizzazione in Consiglio comunale, ma si fece progettista, disegnandone egli stesso la pianta nel 1885, a dispetto della sua inesperienza nella specifica materia. Posta la prima pietra nel 1886, il teatro venne inaugurato l’anno dopo e fu sempre il M. ad accollarsi la notevole differenza fra la somma messa a disposizione dal Comune (25.000 lire) e il costo finale dei lavori (82.000 lire).
Il M. morì a Roma il 31 marzo 1908.
Venne sepolto a Montemarciano, dove un monumento funebre dello scultore romano C. Novella lo raffigura mentre dirige alcuni operai impegnati nella costruzione di un tratto ferroviario. Le sue sostanze, che comprendevano fra l’altro azioni della Società edilizia milanese e della Società Italia per il commercio degli immobili, ammontavano a oltre mezzo milione di lire, di cui la maggior parte andò alla moglie, al figlio Ernesto e alla nipote Francesca Bourbon Del Monte.
Fonti e Bibl.: L’ing. Gio. Battista M., in L’Ordine - Corriere delle Marche, 26-27 ag. 1882; Montemarciano, Archivio dell’Ospedale, Testamento di G.M. (Roma, 7 marzo 1907). Si vedano poi: M. Marmo, Speculazione edilizia e credito mobiliare a Napoli nella congiuntura degli anni ’80, in Quaderni storici, XI (1976), 32, p. 653; G. Meletti, Gruppi di potere e politica comunale in un piccolo centro urbano delle Marche. Montemarciano alla fine dell’800, in Storia urbana. Riv. di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in Età moderna, VI (1982), 21, pp. 149-176; P. Taus - M. Agostinelli, Il teatro di Montemarciano, Castelferretti 1985, pp. n.n.; F. Amatori, Dalla protoindustria all’industrializzazione diffusa (1861-1980), in La provincia di Ancona. Storia di un territorio, a cura di S. Anselmi, Roma-Bari 1987, p. 177; Id., Per un diz. biografico degli imprenditori marchigiani, in Storia d’Italia (Einaudi), Le Regioni dall’Unità a oggi. Le Marche, a cura di S. Anselmi, Torino 1987, p. 599; E. Sori, Dalla manifattura all’industria (1861-1940), ibid., p. 355; R. Pavia - E. Sori, Ancona, Roma-Bari 1990, p. 104; M. Ciani - E. Sori, Ancona contemporanea, 1860-1940, Ancona 1992, pp. 273, 334 s., 464 s.; D. Ripanti, Montemarciano. Territorio e Comunità tra alto Medioevo e XIX secolo, Montemarciano 1996, pp. 400-404; S. Magnini - A. Manfredi - D. Ripanti, Montemarciano: oltre un secolo tra fotografia e storia, a cura di D. Ripanti, Montemarciano 2004, pp. 47-49.