GONDI, Giovambattista
Nacque a Firenze il 10 nov. 1501, quarto figlio di Girolamo di Antonio (1472-1557) e Francesca di Pietro Tornabuoni. Assai scarse sono le notizie sui suoi genitori e sulla sua giovinezza. Il padre risiedeva a Firenze e svolgeva le attività mercantili tipiche della sua famiglia, ma non ottenne successi paragonabili a quelli dei suoi fratelli Alessandro e Antonio, con i quali manteneva pochi e saltuari rapporti commerciali.
La difficoltà a inserirsi brillantemente nel mondo commerciale fiorentino dovette spingere il G. e i suoi fratelli a lasciare l'Italia. Mentre Francesco (nato nel 1503) fissò la sua dimora in Spagna, dove avviò un'attività commerciale con i fondi anticipatigli dagli zii, il G., in data non precisata, si trasferì in Francia e iniziò a collaborare con lo zio Antonio, ricco mercante e banchiere, stimato e protetto dalla monarchia francese.
Delle attività del G. non sappiamo molto, ma diversi indizi ci rivelano che si svolgevano prevalentemente negli ambienti di corte. Si trattava, dunque, innanzi tutto, di prestiti ai membri della casa reale e delle grandi famiglie aristocratiche. Per esempio, quando Renata di Francia tornò in patria, nel 1559, scelse il G. come suo banchiere personale, mentre negli anni successivi egli appare prevalentemente legato al cardinale R. Birago, uno dei più stretti collaboratori di Caterina de' Medici. Ma già nei decenni precedenti il G. doveva essere ben conosciuto a corte, visto che gli furono conferite delicate missioni di confidenza. Fu quello che accadde, per esempio, nel 1533, quando gli fu affidata una lettera per John Stuart, duca d'Albany, con il compito di riferire più ampiamente a voce.
Tra i numerosi protettori del G. spicca certamente il nome di Caterina de' Medici. Rimasta precocemente vedova di Enrico II, Caterina reagì all'ostilità che le dimostrava una parte considerevole della nobiltà francese appoggiandosi sui numerosi fuorusciti e uomini di affari italiani che si erano stabiliti in Francia. Anche le famiglie dei finanzieri italiani, i Del Bene, i Gondi, poterono giovarsi largamente dell'appoggio della regina madre, entrando nel sistema degli appalti e dei prestiti alla Corona. In una prima fase fu soprattutto Antonio Gondi ad assumere il ruolo di finanziatore di Caterina. Dopo la morte di Antonio, avvenuta nel 1560, questo lucroso compito passò al G., mentre i figli di Antonio, Alberto e Pietro, si dedicarono prevalentemente alla vita di corte, pur senza rinunciare del tutto alla speculazione finanziaria.
In assenza di precise evidenze contabili, è difficile chiarire i rapporti tra gli eredi di Antonio e il Gondi. Sembra tuttavia che si sia determinata tra i due rami della famiglia una sorta di specializzazione funzionale. I figli di Antonio, ormai affermati gentiluomini, offrivano al G. una sorta di copertura politica, mentre questi li coinvolgeva nei suoi traffici. Da parte sua, il G. non aspirò mai a ricoprire un qualche ruolo politico o cortigiano, limitandosi a ricevere le cariche onorifiche di scudiero e maître d'hôtel della regina madre.
Una ricostruzione del giro di affari del G. appare per più versi problematica, anche perché le sue attività appaiono disperse in molteplici campi. Tuttavia, è indubbio che egli si impegnò soprattutto nel settore degli appalti e in quello dei prestiti alla Corona, che raggiungevano talora cifre impressionanti e si caricavano di rilevanti implicazioni politiche. Per esempio, nei primi anni Cinquanta il G. trasferì, per conto della Francia, grosse somme alla Repubblica di Siena, che lo ricompensò nominandolo suo cittadino onorario (1554). Nell'autunno 1568, invece, il G. avviò una trattativa con l'ambasciatore veneziano Giovanni Correr per negoziare un grosso prestito, offrendo in garanzia il gettito di un dazio sul vino e alcuni gioielli della Corona. Alcuni anni più tardi, nel 1576, il cronista Pierre de l'Estoile riferiva che il G. avrebbe prestato a Caterina de' Medici ben 100.000 scudi. Attraverso mille rivoli, comunque, la fortuna del G. cresceva e si irrobustiva. Nel 1580, quando il vecchio mercante stese il suo testamento, la sua ricchezza consisteva in 805.050 lire ed era composta prevalentemente di titoli mobiliari. Tra i beni immobili si segnalava tuttavia il palazzo che il G. possedeva a Parigi, stimato ben 200.000 lire.
Il G. non sentì l'esigenza di contrarre matrimonio fino al 1558, quando sposò Maddalena Buonaviti, o Buonaiuti, dame d'atour di Caterina de' Medici e vedova del poeta Luigi Alamanni. I due coniugi, già avanti negli anni, non ebbero figli e il G. dovette cominciare a preoccuparsi di trovare un erede capace di proseguire i suoi lucrosi traffici. Intorno al 1560 chiamò presso di sé il nipote Girolamo di Francesco, che sin dalla nascita era vissuto in Spagna con i genitori e il 21 ott. 1560 gli rilasciò una procura generale per consentirgli di amministrare i suoi interessi. Ormai anziano, il G. cominciò a dedicarsi al collezionismo e all'abbellimento dei palazzi che possedeva a Parigi e a Firenze. Tuttavia, anche negli ultimi anni il G. non delegò del tutto la direzione dei suoi affari e continuò a gestirli personalmente fino alla morte.
Spirò, probabilmente a Parigi, nel 1580.
Alcuni anni dopo, il nipote Girolamo e i cugini Alberto e Pietro gli eressero una sontuosa tomba nella chiesa dei Grands-Augustins di Parigi. Il sepolcro, di cui esiste una dettagliata riproduzione (Corbinelli, I, p. CCXLVIII), fu demolito nel corso della Rivoluzione francese, ma si salvò dalla distruzione un notevole busto del G., attualmente conservato al Louvre. In quest'opera la figura del G. appare fortemente idealizzata, con una decisa sottolineatura del suo vigore fisico e intellettuale, quasi a rispondere alle malevole osservazioni di cronisti come Pierre de l'Estoile, che, nel suo livore antitaliano, dipinse il G. come uno spregiudicato affarista, inevitabilmente segnato dalla sua origine plebea.
Dopo la morte del G. la maggior parte dei suoi beni passò al nipote Girolamo di Francesco (Valenza 1550 - Parigi 1604), che raggiunse una posizione di rilievo nella corte francese, ricoprendo la prestigiosa carica di introducteur degli ambasciatori e svolgendo alcune importanti missioni diplomatiche. Raffinato intenditore d'arte, Girolamo fu forse l'ultimo membro della famiglia a dedicarsi in maniera significativa alla speculazione finanziaria, da cui trasse notevoli ricchezze. Nel giro di pochi decenni, però, il patrimonio mobiliare e immobiliare accumulato da Girolamo si dissolse, a causa della malaccorta gestione di suo figlio Giovambattista (1576-1640).
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