ARGENTI, Giosuè
Figlio di Marcantonio, scultore, nacque a Viggiù il 7 febbr. 1819; studiò scultura all'Accademia di Brera nell'ambiente neoclassico rappresentato da Pompeo Marchesi, Abbondio Sangiorgio, Luigi Sabatelli e Benedetto Cacciatori, ma fu particolarmente sensibile alle ricerche di Luigi Bartolini, interpretandone, il purismo come esteriore ricerca di grazia. Anche l'esempio dello Hayez valse a fargli preferire sempre più temi romantici, nei quali sfoggiare il virtuosismo tecnico appreso fin dall'infanzia dagli artigiani del marmo di Viggiù, fra i quali si distinguevano diversi membri della sua stessa famiglia. Nel 1850 ebbe una borsa di studio per perfezionarsi a Roma, dove si trattenne sei, anni. Nel frattempo cominciò ad esporre con considerevole successo. Alla Galleria d'Arte Moderna di Milano si conservano i gessi dell'Episodio della distruzione di Gerusalemme (1850) e Zenobia tratta dal fiume Arazze (1852) che gli fecero ottenere la borsa di studio e che documentano la sua interpretazione del tardo neoclassicismo; ivi si trova pure il busto dell'Immacolata, esempio fra i più caratteristici della degenerazione degli stilismi puristi in mero virtuosismo, posto al servizio di temi esibizionisticamente edificanti. Oltre a numerosi busti (la Modestia, ecc.), rientrano nello stesso ordine di esercitazioni le numerose versioni della Martire cristiana e del Sogno dell'Innocenza (ibidem), che procacciarono i maggiori successi all'A.; quest'ultima statua infatti, premiata all'Esposizione internazionale di Parigi nel 1867, gli valse un periodo di notorietà in tutto il mondo. Espose a Monaco nel '69, e di nuovo nell'89, a Vienna nel '73 ed ebbe numerose ordinazioni, specialmente di monumenti funebri, anche dall'America; ma già all'Esposizione di Parigi del '78 la sua opera veniva genericamente biasimata fra le tante esibizioni di vana abilità tecnica. Solo dagli scrittori locali continuò a essere celebrato al di sopra dello stesso Vela. Fra le sue opere più impegnative restano il monumento al Vescovo Novasconi nel duomo di Cremona e il gruppo La Salute nella villa Mylius a Loveno sul lago di Como. In gran parte sono perduti i monumenti che eseguì per il Cimitero monumentale di Milano. Fu socio onorario dell'Accademia di Belle Arti di Brera, di quella di Urbino, dell'Istituto d'arte di Napoli.
Ebbe fra i suoi allievi Leonardo Bistolfi, che però presto passò alla scuola del Tabacchi.
Morì a Viggiù il 29 nov. 1901.
Suo fratello Antonio, nato a Viggiù il 27 marzo 1845, fu pure scultore. Studiò all'Accademia di Brera e a 15 anni vinse il premio Canonica con l'altorilievo Morte di Giulio Cesare (Milano, Gall. d'Arte Mod.). Continuò gli studi con P. Magni, orientandosi verso la trattazione di temi allegorici o di genere resi con moderato realismo. Nel 1881 fu tra i fondatori della Famiglia artistica e collaborò all'allestimento del padiglione dell'Esposizione ricavato dallo studio di Pompeo Marchesi eseguendo grandi festoni tirati da lumache; continuò a partecipare alla vita "scapigliata" della Associazione restandone una figura di margine. Nel 1883 espose all'Intemazionale di Roma lo Studio Forzato, che riscosse moderate approvazioni. Nel 1884 ebbe una medaglia d'oro a Londra, nel 1886 a Liverpool. Le sue figure infantili e i monumenti funebri incontrarono il favore del gusto borghese anche fuori d'Italia; in essi si manifesta il progressivo distacco dal realismo ottocentesco per tentare, al principio del secolo, effetti di stilizzazione non privi di una certa eleganza. Costretto a rinunciare alla sua attività per la malferma salute, si spense a Viggiù, ormai dimenticato, il 5 ott. del 1916.
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