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GIORGIO

di Irene Scaravelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)
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GIORGIO

Irene Scaravelli

Arcivescovo di Ravenna (835-846 circa), successore di Petronace e predecessore di Deusdedit.

Con la sua biografia si chiude il Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Agnello, che non risparmia a G. aspri rimproveri, anzi gli dimostra un'aperta ostilità, fino a descrivere gli anni del suo episcopato con gli stereotipi apocalittici frequenti nella storiografia coeva: prodigi celesti preannuncianti la fine dei tempi, lotte intestine nell'Impero, decadenza culturale e morale del clero, rovina delle chiese e degli arredi liturgici, incursioni dei barbari infedeli (Liber, cap. 166, pp. 384-386: si tratta di una profezia, con evidente allusione all'episcopato di G., presente nella biografia di Grazioso). La politica poco accorta di G., che realmente inflisse un duro colpo al patrimonio della Chiesa ravennate e mise a repentaglio la sua stessa autonomia, giustifica l'avversione manifestata da Agnello, il quale comunque ebbe in curia, durante i primi anni di episcopato di G., un compromettente ruolo di rilievo da cui poi, quando l'arcivescovo cadde in disgrazia, dovette prendere le dovute distanze. L'atteggiamento censorio potrebbe essere stato motivato anche da questa sopraggiunta esigenza difensiva (cfr. Carile).

È ancora Agnello a lasciare in brevi cenni un ritratto fisico di G.: lo dice giovane, con i capelli ricci e gli occhi grandi.

Venne consacrato vescovo da papa Gregorio IV (835). Nell'837-838 G., certo per rendere tangibile e più salda la sua vicinanza anche politica all'imperatore Lotario I, volle assumersi il ruolo di padrino di battesimo per la figlia Rotrude nella sontuosa cerimonia che si svolse a Pavia (Liber, cap. 171, p. 388).

Per l'occasione l'arcivescovo non badò a spese: acquistò per 500 aurei, dal laboratorio del gineceo imperiale ("ex palatio eiusdem imperatoris"), una veste battesimale di bisso bianca con ricami d'oro. Fu lo stesso Agnello, che aveva accompagnato G. nella capitale del Regno, a vestire del prezioso capo la principessa appena levata dal fonte battesimale. Ed è proprio questo prestigioso compito, svolto dallo storiografo durante la cerimonia, che ne certifica l'elevata posizione nell'entourage dell'arcivescovo e di fronte all'imperatore.

Non stupisce che nella guerra di successione fra i figli di Ludovico il Pio (morto nell'840) G. si sia schierato apertamente con Lotario. Quando Gregorio IV mandò in Francia una missione pacificatrice, egli volle parteciparvi, nonostante il parere sfavorevole del papa. Secondo Agnello, sempre pronto a sottolineare in G. il gusto per il fasto e la tendenza allo sperpero, l'arcivescovo partì con un seguito di trecento cavalli, oro, argento e oggetti preziosi "ut ad omnes larga manu largiret". I ricchi doni gli dovevano servire per piegare gli animi degli "imperatores" al suo progetto: sottrarsi alla "potestas Romani pontificis", conquistare cioè l'agognata autocefalia. Per suffragare la sua posizione di indipendenza, recava con sé i "privilegia" che Mauro e gli altri vescovi ravennati avevano faticosamente ottenuto (cap. 174, p. 389).

Ma il 25 giugno 841 Lotario, benché coadiuvato dal nipote Pipino (figlio di suo fratello Pipino d'Aquitania), fu sconfitto da Carlo il Calvo e da Ludovico il Germanico a Fontenoy. G. fu catturato, ingiuriato e malmenato; il suo seguito fu disperso e furono depredati i tesori che avrebbe voluto portare in dono. Solo per intercessione di Giuditta di Baviera, madre di Carlo, egli poté fare ritorno a Ravenna. Il laconico cenno degli Annales Bertiniani alla partecipazione di G. alla battaglia di Fontenoy è di tenore un po' diverso rispetto al Liber pontificalis: almeno l'honor del presule ne risulterebbe preservato. Per Agnello il danno maggiore fu comunque rappresentato dal fatto che i privilegia antiqua della Chiesa ravennate, che costituivano le basi documentarie del diritto all'autocefalia, rischiarono la distruzione: furono gettati nel fango e fatti a pezzi dalle lance dei soldati durante il combattimento.

Il Liber pontificalis romano nomina G. nella biografia di papa Sergio II: è registrato come primo della lista dei ventidue vescovi italiani che nell'844 parteciparono in S. Pietro a Roma all'incontro tra Sergio II e l'imperatore Lotario, nel quale il papa, che aveva deposto il diacono Giovanni scelto dal clero e dal popolo e non aveva poi chiesto la conferma della propria elezione all'imperatore, riuscì a provare la legittimità del suo operato e della sua carica.

L'unica altra fonte - di carattere questa volta documentario - che offre qualche testimonianza su G. è costituita da un placito svoltosi a Gavello (Rovigo) il 1° maggio 838. Alla presenza di un messo papale (il vescovo Teodoro) e di due messi imperiali (il vescovo Witgerio di Torino e il conte Adalgiso), l'arcivescovo G. fu rappresentato da un advocatus di nome Leone (I placiti, p. 141), che contrappose ai diritti di un tal Bruningo, vassallo imperiale, quelli della pars sancti Apollinaris (espressione sinonimica di pars sanctae Ravennatis Ecclesiae) su certi beni compresi nel territorio di Adria e di Gavello.

Secondo Agnello G. morì, per una "pessima infirmitas", il 20 gennaio forse dell'anno 846.

Fonti e Bibl.: Agnellus Ravennas, Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder Egger, in Mon. Germ Hist., Script. rer. Langob. et Italic., Hannoverae 1878, capp. 171-175, pp. 388-391; Annales Bertiniani, a cura di G. Waitz, ibid., Script. rer. Germ., V, ibid. 1883, ad annum 841, p. 25; P.F. Kehr, Regesta pontificum Romanorum. Italia pontificia, V, Berolini 1911, pp. 38 s.; I placiti del Regnum Italiae, I, a cura di C. Manaresi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XCII, Roma 1955, pp. 139-144; Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1886, p. 89; G. Rossi, Historiarum Ravennatum libri decem, Venetiis 1589, pp. 241-244; G.L. Amadesi, In antistitum Ravennatum chronotaxim, Faventiae 1783, II, p. 41; M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, I, München 1931, pp. 712 s.; G. Fasoli, Il dominio territoriale degli arcivescovi di Ravenna fra l'VIII e l'XI sec., in I poteri temporali dei vescovi in Italia e in Germania nel Medioevo, a cura di C.G. Mor - H. Schmidinger, Bologna 1979, pp. 102 s.; R. Savigni, I papi e Ravenna. Dalla caduta dell'esarcato alla fine del secolo X, in Storia di Ravenna, II, 2, Dall'età bizantina all'età ottoniana. Ecclesiologia, cultura e arte, Venezia 1992, p. 344; A. Carile, Agnello storico, ibid., pp. 373 s.

Vedi anche
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