GIORGIO
Signore di Ravenna (710 circa - 711 circa). Di lui non restano che poche e frammentarie notizie. Grazie allo storico ravennate Agnello - unica fonte che lo menzioni - che ne accenna nel suo Liber pontificalis trattando del vescovo Felice, sappiamo che suo padre fu il dotto grammatico laico ravennate Ioannicio, trisavolo dello stesso Agnello (che è quindi parente di G.); non conosciamo il nome di sua madre, né dove e quando sia nato, anche se pare ragionevole collocarne i natali a Ravenna intorno all'ultimo quarto del VII secolo.
Ioannicio era tra i personaggi più in vista di Ravenna e molto vicino al combattivo arcivescovo Felice all'aprirsi dell'VIII secolo, durante gli anni di violenti torbidi seguiti al distacco della Chiesa di Ravenna da quella di Roma al tempo del vescovo Mauro, nel 666. Dopo un periodo di stasi diplomatica, i rapporti tra Roma e il capoluogo esarcale si erano nuovamente incrinati dal 692, quando Giustiniano II, terminati gli effetti del concilio Trullano II del 691 (altrimenti noto come Pentecto o Quinisesto, e da taluni datato al 692), aveva in sostanza proposto alle Chiese d'Occidente l'accettazione di nuovi canoni disciplinari che tra l'altro prevedevano, oltre alla modifica di alcuni antichi riti liturgici peculiari alla Chiesa romana, una sorta di ridimensionamento della potenza e del prestigio della sede pontificia rispetto al thronus Constantinopolitanus suscitando il comprensibile sdegno di papa Sergio I e un conseguente netto rifiuto d'obbedienza. L'imperatore aveva allora inviato a Roma il protospatarius Zaccaria con l'ordine di arrestare il pontefice e di condurlo a corte; l'azione tuttavia non riuscì a causa di una sollevazione popolare. In quel torno di anni a Damiano, arcivescovo di Ravenna fino al 705, era succeduto, dopo un triennio circa di vacanza, Felice. Questi, con le sue decise prese di posizione che miravano a garantire il prestigio e l'autonomia della Chiesa a lui affidata, inaugurava un nuovo periodo di forti tensioni con i successori al trono di Pietro. Le rivendicazioni di Felice diedero il via, nel 709, all'azione punitiva organizzata da Costantinopoli e affidata al patrizio Teodoro; si trattò di una vera e propria incursione per rappresaglia, i cui fini violentemente repressivi si manifestarono in tutta la loro durezza con l'arresto e la deportazione - tra gli altri - di Ioannicio e dell'arcivescovo Felice. Il primo fu giustiziato insieme con gli altri notabili deportati, il secondo venne accecato e tradotto a Cherso in Crimea.
Il popolo di Ravenna si sollevò e chi si impose per animosità e abilità nella conduzione di una fortunata serie di colpi di mano culminati con l'uccisione dell'esarca, Giovanni Rizocopo, fu proprio Giorgio. Ben poco viene detto di costui da Agnello, se non che - postosi con l'approvazione di tutti a capo delle milizie ravennati - si occupò con successo dell'organizzazione della difesa territoriale, specie delle città costiere. Dopo aver brillantemente arringato i concittadini sensibilizzandoli sui problemi legati alla immediata difesa in armi della civitas e delle località limitrofe a essa satelliti, G. pianificò la resistenza locale. Aveva per questo abilmente sfruttato l'esperienza e le capacità organizzative che i comandanti bizantini avevano saputo trasmettere agli Italici ormai da oltre un secolo. Si era nel 711, a pochi mesi dalla definitiva caduta dell'imperatore Giustiniano II: in Occidente seguì il trionfale rientro a Ravenna del cieco arcivescovo Felice che provvide a una rapida, diplomatica riconciliazione con papa Costantino I (712). Non è da escludere un impegno di comando militare e, forse, di gestione del potere civile di G. fino al 713, quando all'imperatore Filippico (Bardane) successe Anastasio II, sotto il quale la carica esarcale italica tornò a godere di un certo, ancorché limitato, prestigio e di poteri da tutti riconosciuti.
Non conosciamo né il luogo né la data di morte di Giorgio.
L'effimera parabola politica di G. è da porre in evidenza quale testimonianza vivissima di un sentimento che risulta difficile non definire di indipendenza regionale oltre che religiosa, che già Sestan descriveva come di nazionalismo religioso. Nel Liber pontificalis la dimensione storiografica è quella che già Guillou e Capitani avevano definito propriamente e - sembra di poter sottolineare qui - assai sentitamente, "regionale". La presentazione dei fatti, quindi, e le non asettiche considerazioni - non disgiunte dalle frequenti, personali interpretazioni dei minuti avvenimenti socio-politico-istituzionali e politico-religiosi - espresse da Agnello vanno attentamente valutate e comprese per quello che sono: umanissime, emotive e orgogliosamente ravennati precisazioni sul difficile periodo di transizione bizantino-italica. L'autore del Liber pontificalis ha un'altissima considerazione della dignità della sua Chiesa e della sua Ravenna: cosa, questa, che pare emergere proprio dalla lettura dei passi relativi ai sanguinosi episodi degli anni 710-711 concernenti la resistenza ravennate coordinata da G. alla rappresaglia bizantina. Riguardo a G., ma il suo non è il solo caso, Agnello non si sofferma a illuminarne la vita con quella dovizia di particolari che pure ci si potrebbe aspettare conoscendo la sua scrupolosità di storico e la vivacità descrittiva dimostrate sia nel riportare innumerevoli avvenimenti, sia nel lavoro di scavo psicologico su singoli personaggi, come nel caso di Ioannicio. Questa sufficienza nei confronti di G. appare insolita soprattutto quando si pensi alla cura mostrata da Agnello ogni qual volta si offra l'opportunità di esaltare la propria famiglia attraverso i passati fasti e, appunto, le glorie politico-militari di avi illustri. Di G. Agnello sottolinea appena e con tratti tanto rapidi quanto standardizzati il peso, il ruolo e le vicissitudini nello scompiglio della società ravennate del tempo, badando invece alle più generali vicende dell'amatissima felix Ravenna della quale intende esaltare il prestigio e l'importanza, specie nei confronti di una Roma, di una Chiesa romana che egli non ama e che sente indisciplinata, senza nerbo, se non decisamente corrotta, e di un'Italia infida.
Fonti e Bibl.: Agnellus Ravennas, Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder Egger, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. Langob. et Italic., Hannoverae 1878, pp. 356 s., 361, 368-373, in partic. pp. 369 s.; Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di G. Waitz - L. Bethmann, ibid., p. 168 (l. VI, c. 11); Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 389 ss.; Ch. Diehl, Études sur l'administration byzantine dans l'exarchat de Ravenne (568-751), in Bibl. des Écoles françaises d'Athènes et de Rome, LIII, Paris 1888, p. 362 (che descrive i fatti senza peraltro citare G.); A. Testi Rasponi, Note marginali al "Liber pontificalis", in Atti e mem. della R. Deput. di st. patria per le prov. di Romagna, XXVI (1897), p. 232; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 2, Gotha 1905, pp. 78-81; G. Romano, Le dominazioni barbariche in Italia, in Storia politica d'Italia, Milano 1909, p. 396; G. Falco, La santa romana repubblica. Profilo storico del Medio Evo, Napoli 1942, p. 146; E. Sestan, Stato e nazione nell'Alto Medioevo. Ricerche sulle origini nazionali in Francia, Italia, Germania, Napoli 1952, p. 284; A. Guillou, Régionalisme et indépendance dans l'Empire byzantin au VIIe siècle. L'exemple de l'exarchat et de la pentapole, Roma 1969, pp. 112 s., 160-163, 198, 216-218, 298 (in partic. pp. 160, 198, 218); O. Capitani, La storiografia altomedievale: linee di emergenza dalla critica contemporanea, in La cultura in Italia fra Tardo Antico e Alto Medioevo. Atti del Convegno di Roma… 1979, Roma 1981, pp. 351 s.; T.S. Brown, Gentlemen and officers. Imperial administration and aristocratic power in Byzantine Italy. A.D. 554-800, London 1982, pp. 90 s., 97; M. Pierpaoli, Storia di Ravenna dalle origini all'anno Mille accresciuta di una appendice su cultura e scuola in Ravenna antica dal V al X secolo, Ravenna 1986, pp. 14, 196; A. Guillou - F. Burgarella, L'Italia bizantina. Dall'esarcato di Ravenna al tema di Sicilia, Torino 1988, pp. 50, 309; B. Andreolli, Il potere signorile tra VIII e X secolo, in Storia di Ravenna, II, 1, Dall'età bizantina all'età ottoniana. Territorio, economia e società, a cura di A. Carile, Venezia 1991, p. 311; J. Ferluga, L'esarcato, ibid., pp. 368 s.; Id., L'organizzazione militare dell'esarcato, ibid., p. 385; T.F.X. Noble, La Repubblica di San Pietro. Nascita dello Stato pontificio (680-825), Genova 1998, p. 51; Enc. Italiana, XVII, p. 180.