SPAVENTO, Giorgio
SPAVENTO, Giorgio. – Di origini lombarde, proveniente dal lago di Como, nacque intorno al 1440 dal marangon (falegname) Pietro Spavento, dal quale apprese i rudimenti del mestiere di carpentiere e muratore prima di diventare architetto e ingegnere di talento, ricordato nei Diarii di Marino Sanudo come «homo di grande inzegno» (McAndrew, 1995, p. 356).
La sua prima opera nota, attribuitagli da Lea Salvadori Rizzi, dovrebbe essere la cappella Corner nella chiesa dei Ss. Apostoli, considerata «un’architettura insolita nel paesaggio urbano veneziano», ma anche «la più perfettamente neobizantina del primo Rinascimento in laguna» (Salvadori Rizzi, 2004, pp. 119 s.) e non immune dall’influsso di opere fiorentine di Filippo Brunelleschi quali la Sagrestia Vecchia di S. Lorenzo. La sua cronologia va circoscritta con ogni probabilità tra il 1483, anno in cui il committente Giorgio Corner ottenne il permesso per avviare i lavori, e il 1486, quando Spavento fu nominato responsabile della basilica di S. Marco (ibid.).
Nel 1486 avrebbe assunto l’incarico di proto della Procuratia di S. Marco, ossia soprintendente alla fabbrica della basilica ducale, e avviato la costruzione della cappella di S. Teodoro, dedicata al primo protettore bizantino di Venezia e situata alle spalle di S. Marco (Paoletti, 1893, pp. 117-119, 175; McAndrew, 1995, pp. 358-362; Concina, 2004, pp. 145 s.; Bergamo, 2013).
Già collaudata il 23 agosto 1486 per le fondamenta dall’altro proto di S. Marco, il lapicida Bartolomeo Gonella (Paoletti, 1893, p. 260), e ispirata all’architettura delle absidi della basilica marciana, S. Teodoro ha una pianta rettangolare e cinque profonde nicchie absidali, di cui tre radiali nel fondo e due nell’arco d’ingresso facenti parte del corpo quadrato centrale, presentando inoltre una cupola doppia composta da una calotta in muratura all’interno e da una sovracupola estradossata in legno e piombo, in linea con la tradizione veneziana. Non vi mancano peraltro, a conferma del neobizantinismo dell’edificio, riferimenti a prototipi quali S. Sofia a Costantinopoli o S. Sofia a Trebisonda, pur riletti attraverso il linguaggio austero introdotto a Venezia da Mauro Codussi (Bergamo, 2013, pp. 32, 36, 39).
Oltre che della costruzione della cappella, Spavento sarebbe stato incaricato di supervisionare i lavori alla sagrestia di S. Marco, luogo riservato ai custodi della basilica marciana, i canonici del capitolo ducale, la cui cappella privata era proprio S. Teodoro. La cappella e la sagrestia, è stato osservato, «erano concepiti come un complesso unitario» (pp. 30 s.), e per esse Spavento avrebbe svolto sia la funzione di responsabile del progetto sia quella di coordinatore di tutte le maestranze, selezionando in prima persona i materiali da impiegare. Portate a termine entro il 1493, la cappella di S. Teodoro e la sagrestia di S. Marco costituiscono un’opera capitale dell’architettura veneziana del Rinascimento, configurandosi «come una sorta di S. Marco in miniatura interpretata come un’architettura colta e aggiornata, per il preciso fine di esaltare aulicamente la sede e i luoghi riservati al Capitolo ducale» (p. 42).
Il 18 dicembre 1489 Spavento ricevette il compenso per un modello – in realtà mai realizzato – per il campanile di S. Marco, colpito quattro mesi prima da un fulmine che ne aveva distrutto il comignolo in legno e causato ingenti danni strutturali. Nel 1495, in qualità di muratore, fu convocato dalla Scuola di S. Marco per alcune stime economiche, e nel 1496, insieme con Pietro Bon, proto dei provveditori al Sale, fu incaricato dal Senato di «veder tutti danni et ruine che manaza [minaccia] la sala e palazo del Gran Conseglio» (Paoletti, 1893, p. 260), portando a termine i lavori di ristrutturazione di quegli ambienti nel 1498, anno in cui avrebbe presentato un progetto di restauro per il palazzo della Ragione a Padova, poi eseguito solo in parte tra il 1500 e il 1502, e per il mercato di Vicenza, la futura Basilica (p. 276; McAndrew, 1995, pp. 356 s.).
Sempre allo scadere del Quattrocento data l’esecuzione della scala del Bovolo in palazzo Contarini, una torre cilindrica alta 28 metri e con un diametro di quasi 5 costruita in pietra d’Istria e mattoni a vista. Ritenuta «la prima architettura civile di impronta neobizantina che compare a Venezia» (Salvadori Rizzi, 1996, p. 43), questa torre è stata assegnata a Spavento sia per ragioni stilistiche sia perché tra i membri dei Contarini del ramo di San Paternian figurava quell’Antonio che, nelle vesti di priore dei canonici di S. Salvador, avrebbe commissionato all’architetto la ricostruzione della loro chiesa (ibid.). L’elemento più innovativo della scala del Bovolo, adottato per la prima volta in un edificio privato veneziano, è l’utilizzo di pilastri quadrati al posto di colonne per sostenere gli archi al pianoterra, un motivo di origine romana che Spavento poté conoscere forse attraverso Leon Battista Alberti (p. 47).
Dopo aver ricevuto il 4 marzo 1502 l’incarico di restaurare il ponte ligneo di Rialto, che cinque anni più tardi – temendo il pericolo di nuovi crolli – il Consiglio dei dieci decise di far ricostruire in pietra, a dicembre Spavento si sarebbe recato a Verona per fornire una consulenza sulla costruzione del ponte delle Navi, ottenendo il 10 dello stesso mese il ruolo di soprintendente al Lido (Paoletti, 1893, pp. 260 s., 284; McAndrew, 1995, p. 357).
Un ulteriore sviluppo dell’impianto di S. Teodoro, ancora nel solco della tradizione bizantina e del modello ineludibile di S. Marco, è costituito dalla chiesa di S. Salvador, completata da Tullio Lombardo.
Secondo gli accordi stipulati il 9 agosto 1506 con il promotore dell’intervento architettonico, il priore del monastero e poi patriarca di Venezia Antonio Contarini (Paoletti, 1893, pp. 241-243; Tafuri, 1983, pp. 11 s., 33; Concina, 1988, pp. 92 s.), la nuova chiesa doveva essere articolata come una basilica cruciforme a cupole e conclusa da tre absidi semicircolari. In essa è presente un denso simbolismo cristocentrico e trinitario, oltre che nella planimetria e nel numero delle absidi, delle cupole e delle finestre, nei capitelli corinzi della navata centrale. Come è stato scritto, infatti, «l’agnello vessillifero allude alla resurrezione, la fenice consumata dalle fiamme nel suo nido è immagine del Cristo consumato a Gerusalemme dal fuoco della passione, il pellicano richiama direttamente il Salvatore e allude a redenzione e a carità», mentre l’intero organismo architettonico si inserisce «in un programma di renovatio marciana che precede e precorre con valenze sue proprie quello dell’età del Gritti e delle ricerche formali di Iacopo Sansovino» (Concina, 1988, pp. 101, 113).
Ancora ai primi anni del secolo risale l’impegno di Spavento per le due chiese non più esistenti dei Ss. Filippo e Giacomo, alle spalle di S. Marco, e di S. Nicolò di Castello, annessa all’ospedale di Gesù Cristo e progettata in stile neobizantino, sulla scia dello schema di Codussi per S. Giovanni Crisostomo, con una cupola sorretta da pilastri isolati e un presbiterio a pianta quadrata coperto con cupola depressa (Tafuri, 1983, pp. 16-18; McAndrew, 1995, pp. 357 s.).
Nella notte tra il 27 e il 28 gennaio 1505 il fondaco dei Tedeschi fu devastato da un incendio e si rese perciò necessaria la sua completa riedificazione, che si sarebbe protratta con un costo complessivo di 30.000 ducati per i successivi tre anni (Rösch, 1986, p. 58). Il progetto per il nuovo emporio presso Rialto fu commissionato sia a Spavento sia a Girolamo Tedesco, che il 19 giugno 1505 risultò vincitore per decreto, ma che dovette affidare l’esecuzione materiale dell’opera al collega, costretto però il 13 ottobre a lasciare l’incarico ad Antonio Abbondi, detto lo Scarpagnino, proto dei provveditori al Sale, a causa dei troppi impegni assunti in qualità di proto di S. Marco e di soprintendente al Lido (Paoletti, 1893, p. 261; Forlati, 1940, pp. 280 s.; Dazzi, 1941, pp. 37-39; McAndrew, 1995, pp. 363-370; Concina, 2004, p. 159). In base a precise disposizioni del Senato, che vietavano per il nuovo edificio dei mercanti tedeschi l’impiego di marmi preziosi e ogni tipo di lavoro d’intaglio, il fondaco sarebbe stato ricostruito secondo un linguaggio «severo e spoglio» e con «la sobrietà che si richiede ai luoghi della mercatura», anticipando lo stile di molte architetture veneziane del pieno Cinquecento (Concina, 2004, pp. 159 s.).
Nel 1505 Spavento fu incaricato di dirigere i lavori per la nuova cappella di S. Nicolò in palazzo Ducale, contigua a S. Marco e ingentilita da finestre sul cortile dei Senatori progettate dallo Scarpagnino, mentre tra il 1507 e il 1508 dovette supervisionare all’interno dello stesso edificio «la fabrica dila audientia di capi dil Conseio di X, dila Cancellaria et Pregadi, l’adaptation dil luogo dila Illustrissima Signoria et Conseglio di X» (Paoletti, 1893, p. 261).
Si conservano tre testamenti di Spavento, datati tra lo scadere del Quattrocento e l’inizio del secolo seguente. Nel primo, rogato il 24 gennaio 1495 e in cui si definì «prothus dominorum procuratorum», egli stabiliva di lasciare diversi ducati alla Scuola di S. Giorgio degli Schiavoni, ma anche a quelle «murariorum» e «marengonarum», e 130 ducati alla moglie Pierina, che doveva occuparsi del figlio Marco fino al compimento della maggiore età. Nel successivo testamento, rogato il 5 giugno 1505 e in cui si dichiarava «inzegnerius prothus dominorum procuratorum Sancti Marci», dispose di destinare vari ducati agli ospedali di Gesù Cristo e della Pietà e alle chiese di S. Maria Maggiore e di Ognissanti, il denaro «residuum» alla moglie e al figlio, e due vesti e la metà degli attrezzi del mestiere al fratello falegname Giambattista, stabilendo inoltre di essere sepolto «in archis Schole Sancti Marci», di cui era confratello. Nell’ultimo testamento del 13 maggio 1509, rogato poco prima della morte, Spavento ordinò infine di lasciare 200 ducati alla nipote Maddalena «tra robe e denari per suo maridar» e – come nel precedente testamento – la metà dei suoi strumenti al fratello e l’altra metà al nipote Pietro (Paoletti, 1893, pp. 119, 262).
Fonti e Bibl.: P. Paoletti, L’architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia. Ricerche storico-artistiche, I, Venezia 1893, pp. 117-119, 175, 241-243, 260-262, 276, 284; F. Forlati, Il fondaco dei Tedeschi, in Palladio, IV (1940), pp. 275-286; M. Dazzi, Prefazione, in Il fondaco nostro dei Tedeschi, a cura di M. Dazzi, Venezia 1941, pp. 13-47; J. McAndrew, Venetian architecture of the early Renaissance, Cambridge (Mass.) 1980 (trad. it. a cura di M. Bulgarelli, Venezia 1995, pp. 356-370); M. Tafuri, «Pietas» repubblicana, neobizantinismo e umanesimo. G. S. e Tullio Lombardo nella chiesa di San Salvador, in Ricerche di storia dell’arte, 1983, n. 19, pp. 5-36; G. Rösch, Il fondaco dei Tedeschi, in Venezia e la Germania. Arte, politica, commercio, due civiltà a confronto, Milano 1986, pp. 51-72; E. Concina, Una fabbrica «in mezzo della città»: la chiesa e il convento di San Salvador, in Progetto S. Salvador. Un restauro per l’innovazione a Venezia, a cura di F. Caputo, Venezia 1988, pp. 73-153; L. Salvadori Rizzi, G. S. e la Scala del Bovolo di palazzo Contarini, in Arte documento, 1996, n. 10, pp. 43-47; E. Concina, Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo, Milano 2004, pp. 145 s., 159 s.; L. Salvadori Rizzi, Una nuova ipotesi attributiva per G. S.: la cappella Cornaro nella chiesa dei Santi Apostoli a Venezia, in Arte documento, 2004, n. 20, pp. 118-121; M. Bergamo, San Teodoro o della cupola perduta. Il progetto di G. S. per la cappella della sacrestia di San Marco in Venezia, in Annali di architettura, 2013, n. 25, pp. 29-46.