SCERBANENCO, Giorgio
SCERBANENCO, Giorgio (nome italiano dello scrittore di origine ucraina Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko). – Nacque a Kiev il 10 agosto 1911 (28 luglio del calendario ortodosso), da Valerian, professore di lingue classiche, e da Leda Giulivi. I genitori si conobbero in Italia, dove il padre (poi ucciso durante la Rivoluzione d’ottobre) era giunto per ragioni di studio.
Trascorse l’infanzia a Roma. A sedici anni si spostò con la madre a Milano. Svolse diversi lavori: fresatore e spedizioniere alla Borletti, barelliere della Croce rossa, contabile. Studiò filosofia da autodidatta presso la biblioteca di Brera, contrasse la tubercolosi e venne ricoverato in sanatorio. Nello stesso periodo prese a farsi chiamare Giorgio Scerbanenco, abbandonando il primo nome.
Nel 1934 pubblicò il racconto Pentimento su Piccola, testata del gruppo Rizzoli ed entrò nel mondo editoriale grazie all’interessamento di Cesare Zavattini. Fu dapprima correttore di bozze e redattore, poi autore di racconti e romanzi a puntate. Con lo pseudonimo Luciano rispose alla posta delle lettrici di Grazia. Nel 1942 collaborò con l’edizione pomeridiana del Corriere della sera. Dopo l’8 settembre del 1943 riparò in Svizzera, continuando l’attività di giornalista su piccole testate locali. A questo periodo risale Patria mia. Riflessioni e confessioni sull’Italia (composto nel 1943-45; poi in volume, a cura di A. Paganini, Savigliano 2011), saggio storico dai toni polemici nei confronti del regime fascista. Dopo il ritorno a Milano, alla fine di aprile del 1945, si separò dalla prima moglie, Teresa ‘Liuba’ Bandini, corista alla Scala, sposata nel 1930, da cui aveva avuto quattro figli (la primogenita Elena morta prematuramente a due anni, il secondo figlio fucilato dai fascisti). Si unì in seguito a Cinzia Monanni, figlia dell’editore Giuseppe, da cui ebbe Cecilia e Germana, eredi dei suoi diritti d’autore.
Sempre al principio del secondo dopoguerra Rizzoli (laddove non specificato le opere si intendono pubblicate a Milano per i tipi dello stesso editore) gli affidò, con un contratto in esclusiva, la condirezione della rivista letteraria femminile Novella e il compito di creare una nuova rivista, Bella, di analoga impostazione, ma con un maggior numero di pagine dedicate alla moda e all’attualità. In tale ambito fu titolare di rubriche su Annabella (pseudonimo Adrian) e Novella (La Posta segreta di Valentino). Sino alla fine degli anni Cinquanta si dedicò in prevalenza al romanzo rosa.
La produzione, assai nutrita, fu ospitata in gran parte sulle riviste della Rizzoli di cui era redattore e direttore e fu spesso siglata da pseudonimi, in un arco di tempo che va da Il terzo amore (1938) a La ragazza dell’addio (1956). Non trascurò tuttavia altri settori della narrativa di consumo, la spy-story, la fantascienza (Il paese senza cielo, 1939 e Reggio Emilia 2003; Il cavallo venduto, 1963; L’anaconda, Piacenza 1967 e Milano, Frassinelli, 1992), il western (Il grande incanto, 1948 e 1977; Luna messicana, 1949; con lo pseudonimo John Colemoore), affinando una tendenza all’ibridazione dei generi che si ritrova nelle sue prove più riuscite, come Appuntamento a Trieste (1953) o Europa molto amore (Milano, Garzanti, 1967).
Nel marzo 1965 si trasferì da Milano a Lignano Sabbiadoro, località che frequentava già da alcuni anni, nella quale ambientò i romanzi La sabbia non ricorda (1963) e Né sempre, né mai (1973).
Frattanto nel 1936, su Il Secolo illustrato, aveva dato alle stampe sette racconti polizieschi con lo pseudonimo di Danny Sher mentre, negli anni Quaranta, con Sei giorni di preavviso (1940, inserito nella collana SuperGialli Mondadori), inaugurò la serie di romanzi con protagonista Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston: La bambola cieca (1941), Nessuno è colpevole (1941), L’antro dei filosofi (1942), Il cane che parla (1942). Il sesto romanzo della serie, Lo scandalo dell’osservatorio astronomico, è uscito per i tipi di Sellerio solo nel 2011.
L’impostazione del racconto è lontana dagli stereotipi della ‘scuola dei duri’ americana. Il detective ha temperamento speculativo, l’indagine si basa sul confronto minuzioso dei rapporti d’inchiesta. Boston, teatro degli avvenimenti narrati, non presenta alcun elemento toponomastico corrispondente alla realtà effettiva della metropoli americana e si basa su descrizioni generiche, che mirano a una ricostruzione convenzionale dello spazio urbano. Ciò è dovuto non solo alla necessità di ottemperare ai canoni restrittivi del giallo fascista, ma alla volontà di reinterpretare le formule del poliziesco. Come accadde a partire dalla metà degli anni Sessanta quando Scerbanenco, volto ormai esclusivamente a tale genere, fu tra i primi a svincolare il racconto dai repertori assunti come riferimento dagli autori italiani per ottenere una maggiore considerazione a livello editoriale e letterario e dette avvio al ciclo di Duca Lamberti, medico radiato dall’albo per eutanasia e consulente della polizia.
A Venere privata (1966) seguirono altri tre romanzi: Traditori di tutti per Garzanti (1966), I ragazzi del massacro (1968) e I milanesi ammazzano al sabato (1969), oggetto di fortunate trasposizioni cinematografiche, rispettivamente per mano di Philippe Boysset (Il caso Venere privata, 1970), Ferdinando di Leo (I ragazzi del massacro, 1969) e Duccio Tessari (La morte risale a ieri sera, 1970, da I milanesi ammazzano al sabato). Cui si aggiunsero i film tratti dalla raccolta di ventidue racconti Milano Calibro 9: Milano Calibro 9 (1972) e La mala ordina (1972) di Ferdinando Di Leo, nonché Liberi armati e pericolosi (1976) di Romolo Guerrieri.
In Venere privata il commissario Càrrua, si rivolge a Duca Lamberti, appena scarcerato, perché lo aiuti a disintossicare il figlio di un potente industriale dalla dipendenza dall’alcol. Duca si troverà ad affiancare Càrrua nelle indagini sulla morte di una giovane donna, trovata suicida a Metanopoli, perché inseguita e minacciata da un sadico. In I ragazzi del massacro, una classe serale di giovani difficili violenta e uccide l’insegnante Matilde Crescenzaghi su istigazione di Marisela Faluggi, matrigna di uno di loro. In I milanesi ammazzano al sabato Duca Lamberti indaga sulla scomparsa di una bellissima minorata, Donatella, figlia del camionista Amanzio Berzaghi, che la tiene inutilmente nascosta in casa e non riuscirà a impedirne il rapimento e l’atroce uccisione da parte di una banda di sfruttatori.
Scerbanenco immette gli stilemi del noir nella realtà nazionale (milanese in particolare), utilizzando la visione cinica e cupa delle cose maturata negli anni dell’attività giornalistica. A fare da sfondo alle vicende la descrizione di una malavita che proviene direttamente dalle pagine della cronaca nera dei quotidiani dell’epoca, paradigma di un’Italia alle prese con le contraddizioni del boom economico. Il tono di fondo del racconto è modulato dall’istintivo moralismo del protagonista, paladino di un’azione che non muove da ragioni etiche, quanto dal desiderio di una vendetta personale nei confronti dei ‘bari’ e di chi trasgredisce le regole codificate del ‘gioco sociale’.
«La società è un gioco, vero?» – afferma Duca Lamberti – «Le regole del gioco sono scritte nel codice penale, in quello civile e in un altro codice, piuttosto vago e non scritto, chiamato codice morale [...] o si sta alle loro regole, o non si sta. L’unico trasgressore alle regole del gioco che io posso rispettare è il bandito col trombone che si nasconde per le montagne: lui non sta alle regole del gioco, lui, anzi, dice chiaramente che non vuole giocare alla bella società e che le regole le fa lui con il fucile. Ma i bari no, li odio e li disprezzo» (Venere privata, 1998, p. 124).
Nel 1968 Scerbanenco fu insignito a Parigi con il Grand Prix de la littérature policière per Traditori di tutti. Abbandonò la direzione delle riviste, ma non interruppe le collaborazioni giornalistiche con La Stampa, Oggi, Bolero. Lavorò soprattutto alla trasposizione cinematografica dei suoi romanzi e alla stesura di soggetti originali per la televisione, meditando di tornare a vivere a Roma, per dedicarsi esclusivamente alla sceneggiatura. Nel 1969 l’incontro con il produttore cinematografico Luigi Martello lo spinse a riproporre la sua produzione letteraria nell’ambito di un progetto denominato Televisione a colori, per il quale mise a punto quindici sceneggiature pronte per essere girate, i cui soggetti sono conservati presso l’archivio della Biblioteca civica di Lignano Sabbiadoro. Negli ultimi mesi del 1968 si manifestarono i sintomi di una grave malattia.
Morì a Milano il 27 ottobre 1969.
Fonti e Bibl.: Per le informazioni biografiche sugli anni giovanili e gli esordi di Scerbanenco si rimanda agli scritti autobiografici: Io Wladimir Scerbanenco, in Id., Venere privata, Milano 1990, pp. 223-252, e Viaggio in una vita, in Id., Il falcone e altri racconti, Milano 2013, pp. 140-143. Sul periodo svizzero: A. Paganini, Introduzione a G. Scerbanenco, Il mestiere di uomo, Torino 2006, pp. 11-46.
L’archivio di Scerbanenco è conservato presso la Biblioteca civica di Lignano Sabbiadoro e comprende i manoscritti e i dattiloscritti dei romanzi e dei racconti, gli articoli, le ricerche, gli appunti di lavoro dello scrittore. Una bibliografia delle opere letterarie in: R. Pirani, Bibliografia delle opere di G. S., in G. S. Riflessioni, scoperte, proposte per un centenario 1911-2011, a cura di R. Pirani, Pontassieve 2011, pp. 159-279; G. Reverdito, Bibliografia, in Id., G. S. e il cuore nero del giallo di casa nostra, Roma 2014, pp. 281-298 (in partic. per gli pseudonimi di Scerbanenco). Per una bibliografia critica essenziale si vedano almeno: G. Canova, S. Il delitto alla milanese, in Il successo letterario, a cura di V. Spinazzola, Milano 1985, pp. 147-170; M. Carloni, Storia e geografia di un genere letterario: il romanzo poliziesco italiano contemporaneo (1966-1984), in Critica letteraria, XIII (1985), 46, pp. 167-187; O. Del Buono, Introduzione a G. Scerbanenco, Il falcone e altri racconti inediti, Milano 1993, pp. VII-XII; E. Guagnini, S., il giallo e la storia del giallo italiano, in Delitti di carta, I (1997), 1, pp. 64-67; R. Pirani, Alla ricerca di un continente perduto. G. S. dal 1933 al 1965, ibid., II (1998), 3, pp. 106-111; C. Lucarelli, G. S., in Pulp, 1999, n. 21 (settembre-ottobre), pp. 60-63; L. Crovi, G. S., in Id., Tutti i colori del giallo..., Venezia 2002, pp. 85-100; G. Desiderio, La patria perduta di S., in Risk, XII (2011), 63, pp. 78 s.; A. Via, G. S. Un archetipo del romanzo poliziesco, Roma 2012; F. Boni, L’arte poliziesca di S. nell’epoca della letteratura di massa, Roma 2016.