PERLASCA, Giorgio
PERLASCA, Giorgio. – Nacque a Como il 31 gennaio 1910, secondo di cinque figli di Teresa Sartorelli e di Carlo.
Pochi mesi dopo la famiglia si trasferì a Padova e, per un periodo, a Trieste. Dopo la scuola, nel 1930, decise di arruolarsi nelle Camicie nere e il 29 novembre 1935 si presentò volontario per l’Etiopia con le Camicie nere della divisione 28 ottobre imbarcandosi il 28 marzo 1936. Il 4 aprile arrivò a Massaua e il 17 agosto 1936 ripartì per l’Italia. Tra il dicembre 1936 e il gennaio 1937 Perlasca decise di partire volontario per la guerra di Spagna con le truppe di Benito Mussolini. Durante i tre anni spagnoli, come artigliere si occupò della trasmissione degli ordini fra settori dell’esercito franchista e approfondì così lingua e cultura spagnole. Caduta Madrid e finita la guerra nell’aprile del 1939, rientrò in Italia il 31 maggio.
A Cadice, durante il congedo, il nuovo governo spagnolo rilasciò a ogni combattente filofranchista una dichiarazione in cui gli assicurava aiuto in ogni luogo e tempo. Nel frattempo il padre di Perlasca morì e la madre si trasferì a Padova. Tornato in Italia, il suo sostegno verso il regime fascista vacillò dopo l’allineamento italiano alla Germania, in particolare dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche italiane (1938). Nel settembre 1939 venne richiamato come sergente maggiore per l’istruzione teorica e storica al 20° reggimento di artiglieria di Padova. Dopo due mesi Perlasca ottenne una ‘licenza agricola’ illimitata. Iniziò quindi a lavorare come rappresentante commerciale per la Saib, un’impresa di importazioni di carni e venne inviato nell’area balcanica.
Il 25 febbraio 1940 sposò la triestina Romilda Del Pin detta Nerina. Nel 1941 si trasferì a Belgrado e da lì viaggiò attraverso l’Europa orientale. In quel periodo fu testimone delle stragi naziste. Nell’ottobre 1942 fu inviato dalla Saib in Ungheria, dove si trasferì senza la moglie, che tornò a Trieste.
A Budapest risiedette inizialmente all’albergo Kek Duna, mentre la sede della Saib fu a Sopron, in seguito spostata a Budapest all’albergo Astoria. Fu in quel periodo che conobbe Irene Denes von Borosceny.
Venuto a conoscenza dell’armistizio italiano dell’8 settembre 1943, Perlasca contattò prima l’ambasciatore Filippo Anfuso, poi decise di bloccare la partenza per l’Italia dei convogli e sospese i pagamenti anche se le autorità locali pretesero la consegna delle merci. Il 1° ottobre la Saib chiuse la filiale ungherese: le sole possibilità di rientro per Perlasca erano attraverso Svizzera, Turchia o Spagna.
Dopo l’armistizio gli italiani in Ungheria dovettero presentarsi al ministero degli Esteri e decidere se sottoporsi o meno all’internamento come prigionieri politici in base alle scelte di campo rispetto alla situazione politica: o scegliere di sostenere il regime fascista e dunque essere riconosciuti quali prigionieri politici e venire internati in appositi campi, o dichiararsi oppositori del regime fascista e quindi vivere con tutti i rischi provenienti dalla reazione tedesca.
All’indomani del colpo di Stato delle Croci frecciate, tra il 18 e il 19 marzo 1944 ebbe inizio in Ungheria l’invasione della Germania. A fine marzo 1944 Perlasca contattò l’ambasciata spagnola a Budapest, dove primo segretario era Ángel Sanz Briz. Dopo l’armistizio italiano Perlasca si recò presso la legazione presentando la lettera di Cadice e chiedendo un eventuale aiuto. Avuta notizia della situazione di Perlasca, il diplomatico spagnolo si mosse subito per portarlo al sicuro nella villa spagnola Szchenyi a Buda. Vista l’impossibilità di un rientro in Italia, dopo una settimana trascorsa alla villa, Perlasca decise di presentarsi alle autorità ungheresi e sottoporsi all’internamento al campo di Kékes, dove arrivò tra marzo e aprile 1944 e da cui fu poi trasferito a Csákánydoroszló. Da lì fuggì il 13 ottobre 1944 e arrivò a Budapest la sera stessa. Il 15 ottobre fu annunciato da Ferenc Szálasi – capo dei nylas, le Croci frecciate ungheresi – il contrordine rispetto all’armistizio di Horthy e le Croci frecciate presero il potere. Questo portò all’inizio del concentramento degli ebrei ungheresi nella capitale, sotto bombardamento alleato.
Dopo alcuni giorni passati in rifugi di fortuna, Perlasca trovò alloggio prima al ‘Danubio blu’ e poi all’hotel Hungaria. Data la situazione insostenibile, decise di recarsi nuovamente da Sanz Briz per ottenere un passaporto spagnolo. Oltre al rappresentante spagnolo, Perlasca fece la conoscenza del consigliere Zoltán Farkas; dai due ricevette il passaporto spagnolo, con il nome di Jorge Perlasca, e una lettera di accompagnamento per il ministero degli Esteri ungherese, dove Perlasca e Farkas si recarono subito dopo il colloquio. In quella sede gli venne imposto di lasciare l’Ungheria. Tornato con Farkas all’ambasciata e vista la piccola folla di ebrei in cerca di protezione diplomatica, Perlasca decise di restare a disposizione della rappresentanza poiché il numero dei dipendenti cui era permesso di uscire e muoversi in città era limitato. In cambio della sua collaborazione gli venne fornito un alloggio presso la villa spagnola a Buda. Sanz Briz e Farkas decisero di identificarlo come «funzionario permanente della legazione» e quindi Perlasca fu impegnato come incaricato della gestione delle case protette. Senza nessuna istruzione in merito, capì che le modalità fino allora applicate non erano funzionali. Da subito si recò alla stazione per recuperare gli ebrei protetti spagnoli, vittime di rastrellamenti causati dal mancato riconoscimento ufficiale spagnolo del nuovo regime dopo il 15 ottobre, e diretti in Germania. Sul binario dello scalo merci incontrò alcuni rappresentanti delle potenze neutrali che, come lui, cercavano gli ebrei muniti delle rispettive lettere e per la prima volta vide lo svedese Raoul Wallenberg. In quel frangente conobbe pure Adolf Eichmann, in occasione del salvataggio dei presunti gemelli.
Osservando i prigionieri sul binario, Perlasca notò due bambini, talmente simili da essere scambiati per gemelli, e senza riflettere sulle conseguenze ordinò loro di correre verso la macchina dell’ambasciata spagnola, cosa che i due ragazzini fecero subito. Contro l’ordine di un ufficiale tedesco, Perlasca rifiutò di consegnare i due bambini, sostenendo la sua posizione sulla extraterritorialità dell’automobile spagnola. Alcuni diplomatici o loro rappresentanti presenti, come Wallenberg, difesero Perlasca accusando il militare tedesco di minacce contro il rappresentante di Spagna in Ungheria. La vicenda si concluse con l’arrivo di un alto ufficiale tedesco che lasciò i due bambini a Perlasca rinviandone la cattura. Una volta allontanatisi i militari tedeschi, Perlasca seppe da Wallenberg che l’ufficiale che aveva appena affrontato era appunto Eichmann.
Verso la fine di novembre del 1944 Sanz Briz lasciò segretamente Budapest e si recò in Svizzera a causa della richiesta ungherese alle ambasciate presenti a Budapest di trasferire le loro residenze a Sopron, sede del nuovo governo, sottintendendo dunque l’implicito riconoscimento del nuovo regime. Prima di partire offrì a Perlasca un visto per la Svizzera, ma questi non lasciò la città. Scoperta la fuga di Sanz Briz, la protezione diplomatica spagnola sulle case rischiava di venire meno e quindi Perlasca, per proteggere gli ebrei da una retata, si presentò come il legale sostituto di Sanz Briz precisando che questi era solo temporaneamente in Svizzera. Da quel momento all’arrivo dell’armata russa, il 16 gennaio 1945, Perlasca rimase l’unico ‘diplomatico’ spagnolo in Ungheria. Durante il mese di dicembre contattò vari funzionari del regime per proteggere le case. Il 22 dicembre 1944 i rappresentanti delle potenze neutrali si incontrarono presso la Nunziatura per redigere una nota verbale al fine di portare a conoscenza della comunità internazionale le violenze antiebraiche. Il 13 gennaio Perlasca fece la sua ultima visita alle case protette; il 17 i russi arrivarono a Pest occupando la città fino alla caduta di Buda, il 3 febbraio 1945. Soltanto nel maggio 1945 Perlasca riuscì a partire e, via Istanbul, giunse in agosto in Italia. Il 5 giugno consegnò al console spagnolo in Turchia una relazione sulla sua esperienza a Budapest e il 13 ottobre 1945 ne diede una copia all’ambasciatore spagnolo a Roma.
Tra il 1949 e il 1956 Perlasca visse a Trieste lavorando come ispettore per la Liquigas e aderendo al movimento dell’Uomo qualunque. Il 21 luglio 1954 nacque il figlio Franco. Tra il 1963 e il 1968 diresse il ristorante La Mappa.
Il 12 giugno 1961 uscì a firma di Giuseppe Cerato su Il resto del Carlino un primo articolo sulla sua esperienza e solo alla fine degli anni Sessanta apparve un nuovo articolo a firma di Furio Colombo. Quasi vent’anni dopo, il nome di Perlasca risuonò fra un gruppo di donne che si incontravano abitualmente a Berlino. Durante uno di questi incontri, nel 1987, Irene Denes von Borosceny ricordò le figure di Perlasca e Friedrich Born e iniziò così il suo ‘recupero’. Il 4 settembre 1988 Eva Koenigsberg, una delle sopravvissute ungheresi, si recò a Padova e dal 1989 arrivarono quindi i riconoscimenti.
Il 30 aprile 1990 Giovanni Minoli, attraverso la trasmissione televisiva Mixer, fece conoscere Perlasca agli italiani e nell’autunno 1991 uscì per Feltrinelli il racconto di Enrico Deaglio La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca. Il 23 dicembre 1991 il Senato italiano approvò il conferimento a Perlasca di un vitalizio annuo, di cui si seppe solo il 15 febbraio 1992, che Perlasca rifiutò.
Morì a Padova il 15 giugno 1992 e fu sepolto a Maserà.
Principali onorificenze: 1989, Ungheria, Ordine della stella d’oro; 1989, Stato d’Israele, riconoscimento di Giusto tra le nazioni e cittadinanza onoraria israeliana; 1990, Presidente della Repubblica italiana, Grande ufficiale della Repubblica; 1990, Stati Uniti d’America, riconoscimento dell’Holocaust memorial council e della Wallenberg Foundation; 1991, Spagna, Grande croce dell’Ordine di Isabella la Cattolica; 1992, Reggio Emilia, premio Città del Tricolore; 1992, Rimini, cittadinanza onoraria; 25 giugno 1992, Repubblica Italiana, medaglia d’oro al valor civile.
Opere. L’impostore, Bologna 1997 (Bologna 2007).
Fonti e Bibl.: Washington, Archivio dello United States Holocaust memorial museum, Collection Perlasca, RG 20.002x01; Wallenberg, RG 50.244 Reel 1 312; RG 50.030_0121 (trascrizioni delle interviste con Eva Lang); Szamosi, RG 50.030_0229.
E. Deaglio, La banalità del bene. Storia di G. P., Milano 1991 (Milano 2009); N. Gladitz - L. Perez, Der Fall G. P., in Dachauer Hefte, 1995, n. 7, pp. 129-143; S. Zerbini, La documentazione spagnola su G. P. e la sua opera umanitaria in favore degli ebrei ungheresi, in Spagna contemporanea, 2006, n. 30, pp. 171-195; D. Hallenstein - C. Zavattiero, G. P: un italiano scomodo. Vita e avventura di un fascista che da solo salvò migliaia di ebrei, Milano 2010; P.N. Levine, Raoul Wallenberg in Budapest. Myth, history and holocaust, London-Portland, OR, 2010.
P.: un eroe italiano, film per la televisione di Alberto Negrin (2002), con Luca Zingaretti nella parte di Perlasca; la puntata di Mixer del 30 aprile 1990 e altre testimonianze video sono disponibili sul sito della Fondazione Giorgio Perlasca, www.giorgioperlasca.it.