MERLANI, Giorgio (Giorgio Merula)
Nacque ad Alessandria, da Negro, tra la fine del 1430 e gli inizi del 1431. Membro di un’illustre famiglia della città, il M. fu comunemente conosciuto con il cognomen Merula di un’antica famiglia romana, che egli stesso volle attribuirsi ritenendo – erroneamente – che proprio da tale gens discendessero i Merlani.
Il M. si recò abbastanza presto a Milano, dove ricevette la sua prima formazione umanistica, già di forte impronta filologico-grammaticale, sotto il magistero di Francesco Filelfo, all’incirca nel 1442-46.
Abbandonata Milano sul finire degli anni Quaranta, il M. era sicuramente a Roma per il giubileo del 1450; in tale occasione conobbe il letterato Galeotto Marzio, col quale si recò a Padova, dove soggiornò nei primi anni Cinquanta. Intorno al 1453-54 tornò a Milano e seguì per almeno tre anni le lezioni di poetica e oratoria di Gabriele Paveri Fontana, anch’egli allievo di Filelfo. Può forse essere collocato intorno agli anni 1457-59 un soggiorno del M. a Bologna, dove ebbe come precettore Callisto Andronico. Nel 1460 si trasferì a Mantova, dove, nel 1460-61, seguì le lezioni del dotto ellenista Gregorio da Città di Castello, consolidando, soprattutto sul versante del greco, le sue già notevoli competenze nelle lingue e nelle letterature classiche. Partito Gregorio nel 1462, il M. rimase fino alla metà degli anni Sessanta a Mantova, dove svolse attività di insegnamento ed ebbe tra i suoi allievi anche Battista Spagnoli.
Al soggiorno mantovano risale il primo allestimento delle Emendationes in Virgilium (1462-inizio 1463), dedicate a Ludovico Gonzaga, nelle quali il M. raccolse osservazioni e correzioni, soprattutto ortografiche, inerenti numerosi vocaboli virgiliani.
Verso il 1464-65 si spostò a Venezia, dove, dopo un periodo di insegnamento privato, dal 28 nov. 1468 ricoprì la seconda cattedra, di grammatica e retorica, nella scuola di S. Marco, un ruolo prestigioso che avrebbe conservato fino al 1482 (si ha notizia dei suoi corsi veneziani sugli scritti retorici, le Verrine e la Pro Ligario di Cicerone, su Marziale e Quintiliano).
Umanista ormai maturo, con approfondite conoscenze sulla tradizione letteraria dell’antichità, il M. non tardò a farsi conoscere per le sue doti culturali e la vivace personalità di polemista: già alla metà degli anni Sessanta era stato protagonista di una pubblica disputa con l’ex amico Galeotto Marzio.
Nel 1468-71 realizzò una versione latina delle orazioni di argomento filosofico 70-72 di Dione Crisostomo, dedicata al politico veneziano Bernardo Bembo (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Mss., II.162, cc. 29r-36r) nella quale dimostrò piena padronanza del greco e un’ottima tecnica di traduzione.
Verso il dicembre 1470 il M. entrò nell’agone filologico con le Emendationes in Plinium, un duro libello contro l’edizione della Naturalis historia appena stampata a Roma per le cure di Giovanni Andrea Bussi e del bizantino Teodoro Gaza (Indice generale degli incunaboli [=IGI], 7879).
In tale opuscolo (che nella versione originaria, trasmessa dal ms. 5.5.6 della Biblioteca capitular y Colombina di Siviglia, era indirizzato allo stesso Bussi) il M. accusava i due editori di avere corrotto vari passi del testo pliniano e su ognuno di questi luoghi avanzava nuove soluzioni tramite una serrata disamina esegetico-testuale. L’In Plinium rappresenta la prima vera polemica filologica del M. e rivela come, fin dagli esordi, egli disponesse di una metodologia completa, fondata sull’uso dei manoscritti antichi, sul sicuro dominio della cultura greca e latina, su un accorto impiego delle fonti storiche. All’inizio degli anni Settanta la proposta critica del M. era, in Italia, una delle più valide e avanzate.
I primi anni Settanta videro un assiduo impegno del M. nell’edizione di vari testi latini. Per le sue cure furono pubblicati, presso importanti stampatori veneziani (Giovanni da Colonia, Vindelino da Spira, Nicolas Jenson): il De finibus bonorum et malorum di Cicerone nel 1471 (con lettera prefatoria del M. al giurista Ludovico Foscarini; IGI, 2862); la princeps di tutte le commedie di Plauto nel 1472 (con una prefatoria a Iacopo Zeno, vescovo di Padova; IGI, 7869); la princeps degli Scriptores rei rusticae sempre nel 1472 (Varrone, Catone, Columella, con l’aggiunta di R.T.E. Palladio, rivisto da Francesco Colucia; quest’ultima stampa si apre con una prefatoria al patrizio Pietro Priuli, cui seguono tre glossari approntati dal M. – le Enarrationes brevissimae priscarum vocum Marci Catonis, le Enarrationes nonnnullarum dictionum Marci Varronis, le Annotationes Columellae – quindi un’altra prefatoria a Bernardo Giustinian; dopo Columella una postfazione del M. a Domenico Zorzi; IGI, 8853); gli Epigrammi di Marziale ancora nel 1472 (con postfazione del M. ad Angelo Adriani; IGI, 6217). Scelte editoriali che, salvo Cicerone, erano accomunate dalla predilezione per quegli scrittori che portavano alla ribalta le realtà concrete e contingenti del mondo antico.
Verso la fine dell’estate 1474 il M. scrisse il Bellum Scodrense, breve opera storica modellata su Cesare e Livio, che narra l’assedio posto dai Turchi, tra il maggio e l’agosto dello stesso anno, alla città di Scutari, esaltando l’eroica difesa opposta dal governatore veneziano Antonio Loredan (l’edizione a stampa è degli ultimi mesi del 1474; IGI, 6376). Tra la fine del 1474 e l’inizio del 1475 dette alle stampe un’importante miscellanea filologica (IGI, 6380) nella quale erano riuniti: un libello polemico contro il De homine di Galeotto Marzio, dedicato a Lorenzo e Giuliano de’ Medici, un commento all’epistola ovidiana di Saffo a Faone, con prefatoria al nobile veneziano Marcantonio Morosini, le già ricordate Emendationes in Plinium, qui dedicate ad Antonio Vinciguerra, segretario dell’ambasciatore veneto a Roma, le Emendationes in Virgilium, dedicate a Ludovico Gonzaga.
Frutto di un validissimo metodo e di un’indole polemica che vedeva nel «certamen pro litteris» uno strumento di progresso scientifico, il volume del M. indirizzava pesanti attacchi su più fronti: in primo luogo dava nuova linfa allo scontro con Galeotto Marzio, del cui De homine – stampato a Venezia nel 1471 (IGI, 4130) – denunciava errori e gravi carenze filologiche (Marzio rispose subito con una Refutatio obiectorum in librum de homine a Georgio Merula, ma fu una replica tanto ferma nei toni, quanto debole nelle argomentazioni; due le edizioni della Refutatio nel 1476: IGI, 4133 e 4134); prendeva poi di mira il De orthographia di Giovanni Tortelli, facendone l’obiettivo precipuo delle note su Virgilio, appositamente riviste; infine garantiva una vasta circolazione all’atto d’accusa dell’In Plinium.
In quest’opuscolo emergevano talora anche spunti critici verso i commentari su Marziale di Domizio Calderini, il quale ne venne subito a conoscenza e, in una sua miscellanea erudita, uscita a Roma il 13 ag. 1475 (IGI, 9151), rispose attaccando con duri giudizi l’interpretatio ovidiana del M., il quale a sua volta replicò con un’aspra offensiva in un corposo volume pubblicato a Venezia nella primavera del 1478 (IGI, 6377).
L’incunabolo riuniva diversi scritti: le Enarrationes Satyrarum Iuvenalis, dedicate a Federico d’Urbino, un trattato Adversus Domitii Calderini Commentarios in Martialem, dedicato a Marcantonio Morosini, un commento alla Pro Ligario di Cicerone, con prefatoria a Bernardo Bembo, e un breve scritto sulla ciceroniana Fam. 1, 9, a Lentulo Spintere, in forma di missiva al nobile veneziano Domenico Sanuto, allievo del Merlani. Il nucleo principale era costituito dalle opere su Giovenale e Marziale, che portavano un terribile attacco ai commenti di Calderini ai due poeti; nello scritto su Marziale il puntuale contrappunto filologico definiva la stessa struttura portante della trattazione, esaminando più di cento passi dei Commentarii calderiniani. Interessanti, nel commento alla Pro Ligario, pure i rilievi critici sollevati dal M. contro l’enarratio di Giorgio Trapezunzio.
I toni aggressivi della controversia tra il M. e Calderini non devono far velo alla grande rilevanza che essa rivestì: venivano a scontrarsi due protagonisti dell’umanesimo filologico degli anni Settanta, tra i quali erano in gioco cruciali questioni di metodo. Calderini era il brillante interprete, in ambiente romano, di una lezione critica di indubbio valore, fondata sul raffronto delle fonti parallele e su un saltuario ricorso ai codices vetusti, anche se troppo spesso viziata da scelte superficiali e disinvolte o da un’erudizione inutile e fuorviante; il M. incarnava, invece, una più solida linea filologica, che a un significativo impiego dei manoscritti antichi affiancava un uso rigoroso delle auctoritates, come pure una ben più vasta e sicura conoscenza dei testi greci nonché una maggiore consapevolezza dei processi storici antichi e medievali. Lo scontro tra Calderini e il M. fu davvero «la chiave di volta di tutte le polemiche filologiche» (Fera, 1996, p. 196); a esso guardarono con attenzione pure altri eminenti studiosi, che si schierarono dalla parte del M., come Angelo Poliziano, che il M. conobbe di persona, a Venezia, nel 1479-80, o il patrizio veneziano Ermolao Barbaro, prima allievo del M., poi suo collega e amico.
Nel 1480 il M. era all’apice della notorietà. In contatto con principi e uomini di Stato della penisola, intrinseco all’entourage dei patrizi veneziani, autorevole membro di una sodalitas litteraria che univa figure come Girolamo Donà, Ermolao Barbaro, Bernardo Bembo e Galeazzo Pontico Faccino. Soprattutto tra Barbaro e il M. ci fu sempre un forte legame di affetto e la condivisione di un ambizioso programma culturale, volto a elaborare una rigorosa scienza filologica che restaurasse la cultura antica e rifondasse criticamente ogni campo del sapere. Entro questa sodalitas si inquadra la dedica al M. della versione latina, allestita da Ermolao, del De anima di Temistio (editio princeps: Treviso, 15 febbr. 1481; IGI, 9491).
Gli anni Ottanta iniziarono nel segno di vecchie e nuove polemiche. Data all’autunno 1480 la clamorosa rottura del M. con il suo maestro, l’ormai anziano Filelfo, che aveva criticato l’impiego, nel Bellum Scodrense, della forma Turcae -arum in luogo di Turci -orum. A tali critiche il M. reagì con un durissimo attacco affidato a una lettera al segretario ducale di Milano Bartolomeo Calco, del 7 ott. 1480, che fu subito rintuzzato dalla sprezzante risposta di Filelfo in un’epistola al canonico Benedetto Aliprando, del 12 novembre; a quest’ultima seguì un nuovo affondo del M. in una missiva al concittadino Giangiacomo Ghillini del 13 dic. 1480 (IGI, 3882, 6379).
A fianco di Filelfo si schierarono anche gli umanisti Girolamo Squarzafico e Gabriele Paveri Fontana: quest’ultimo compose un’invettiva, la Merlanica (titolo che irrideva il cognome del M.), nella quale biasimava l’ignoranza e la temerarietà del M.; stampata il 28 maggio 1481 (IGI, 7369), pochi giorni dopo l’apostrofe fu seguita da una violenta satira di Filelfo contro il M., datata 4 giugno 1481.
All’inizio degli anni Ottanta si collocano pure gli ultimi residui della polemica contro il Calderini. Morto Calderini, nel 1478, la causa della sua difesa, oltre a conoscere i marginali contributi dei veronesi Giacomo Conte Giuliari e Girolamo Dionisi, trovò il suo alfiere più combattivo nel fedele discepolo calderiniano Cornelio Vitelli, che compose due scritti contro il M.: il De dierum, mensium annorumque observatione e la lunga In defensionem Plinii et Domitii Calderini contra Georgium Merulam ad Hermolaum Barbarum epistola; solo la seconda fu stampata, a Venezia, tra fine 1481 e 1482; (IGI, 10344). Il M. non rispose direttamente, ma un suo sodale, Paolo Romuleo da Reggio, allestì un’immediata controreplica al Vitelli, edita con il titolo Apologia pro Georgio Merula adversus Cornelium Vitellium e dedicata a Pietro Dandolo, primicerio di S. Marco (Venezia, 14 nov. 1482: IGI, 8437).
Intanto l’attività erudita del M. proseguiva con l’editio princeps, pubblicata il 2 ag. 1481, delle Declamationes maiores pseudoquintilianee (IGI, 8254), curata da un allievo del M., Iacopo Grasolari, con il decisivo supporto critico del maestro, che preliminarmente aveva rivisto ed emendato il testo. Nel 1482 il M. preparò per la stampa la versione latina di Teodoro Gaza del De historia plantarum e del De causis plantarum di Teofrasto; l’edizione uscì a Treviso, il 20 febbr. 1483, con una postfazione a Domenico Sanuto (IGI, 9508). Un episodio curioso, se si pensa alle riserve espresse anni prima dal M., nell’In Plinium, sulle scarse capacità di Gaza come filologo e traduttore. Dietro la stampa del Teofrasto c’era un’attenuazione di tali giudizi, se non un cambiamento d’opinione: comunque un diverso atteggiamento, forse indotto nel M. dal Barbaro, grande estimatore di Gaza.
Nel settembre 1482, invitato da Ludovico Sforza detto il Moro nel Ducato di Milano, il M. accettò l’offerta e intorno alla metà del 1483 si trovava già a Pavia come professore di arte oratoria: vi rimase due anni, poi si trasferì a Milano, dove esercitò il suo magistero dal 1485-86.
Dal vitale ambiente veneziano, aperto alle più innovative tendenze dell’umanesimo, il M. si spostava in un contesto politico e intellettuale molto diverso, dominato dal potere assoluto dello Sforza e da una produzione culturale di stampo cortigiano; a Milano trovò come referenti un principe e una corte poco attratti dalla cultura greco-latina ma con forti interessi per la letteratura volgare e con qualche apertura solo verso la storiografia, un genere funzionale alle necessità della propaganda politica.
La nuova sistemazione determinò un netto mutamento del ruolo e della prospettiva culturale del M., che dovette calarsi nelle inedite funzioni di storico ufficiale dei duchi milanesi: Ludovico Sforza lo aveva voluto soprattutto perché egli componesse una grande opera storica sui Visconti e sugli Sforza, nella quale la storia di Milano si identificasse con quella delle due grandi famiglie e dove il Moro fosse manifestamente esaltato e legittimato nel suo potere. Proprio questo prestigioso, ma oneroso incarico costituì il principale impegno del M. durante il soggiorno milanese, per assolvere il quale egli sacrificò in misura significativa i suoi interessi filologici, lasciandosi quasi completamente alle spalle il lavoro di editore e commentatore dei testi.
Concepita secondo una struttura in decadi, sulle orme di Livio, Biondo e Sabellico, rimasta incompleta e bisognosa di revisioni per la morte del M., la Historia Vicecomitum è costituita da quattordici libri, dalle antiche origini di Milano fino alla battaglia di Parabiago e alla morte di Azzo Visconti (1339).
L’opera è di valore assai diseguale. Le parti nelle quali il M. non era condizionato da vincoli ideologici propongono talora acquisizioni felici e rivelano il rigore dell’umanista nel vaglio critico delle molte fonti utilizzate: per la storia antica il contributo maggiore è venuto da Livio, mentre il Medioevo si declina soprattutto sul Manipulus florum di Galvano Fiamma, le Decades di Biondo Flavio, il Chronicon di Martino Polono, il Memoriale de gestis civium Astensium di Guglielmo Ventura e la Historia Ambrosianae urbis di Giovanni da Cermenate. Talvolta il M. ha anche utilizzato fonti documentarie, come per la storia di Alessandria o in merito alle lotte fra Torriani e Visconti, e finanche attestazioni epigrafiche. Nel complesso, dunque, egli ha raccolto una vasta gamma di auctoritates, alcune delle quali recuperate dopo lunghe e accurate ricerche svolte di persona, o tramite collaboratori, presso biblioteche e archivi dell’Italia del Nord. E tuttavia spesso la destinazione dinastico-propagandistica ha inibito una seria indagine storiografica, inducendo il M. ad assumere per buone notizie leggendarie e infondate, come quella per cui i Visconti discendevano dalla stirpe reale longobarda, dedotta acriticamente dal Manipulus del Fiamma.
Dopo la morte del M. la prosecuzione del lavoro fu affidata, nel 1496, al suo allievo Tristano Calco. I primi dieci libri dell’opera – che arrivano fino alla morte di Matteo Visconti (1322) – furono pubblicati a Milano, con il titolo De antiquitate Vicecomitum, tra fine 1499 e inizio 1500 (IGI, 6375): Calco ne affidò la stampa ad Alessandro Minuziano, già discepolo del M. a Venezia; gli ultimi quattro libri rimasero inediti fino a quando furono pubblicati a cura di G.A. Irico in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXV, Mediolani 1751, coll. 73-148.
L’impegno sull’Historia Vicecomitum, comunque, pur essendo di gran lunga predominante, non impedì al M. di proseguire la sua attività didattica: abbiamo infatti testimonianza di suoi corsi milanesi sulle opere retoriche di Cicerone, su Valerio Massimo e sull’Aiace di Sofocle; in determinati frangenti, inoltre, egli riuscì a ritagliarsi tempo e spazio anche per alcuni lavori puramente filologico-letterari. Si conosce una sua traduzione latina di parti delle Historiae di Dione Cassio, nell’epitome di Giovanni Xifilino: di una versione dei primi dodici Cesari, che Giovan Battista Pio possedeva a inizio Cinquecento, sono giunte le vite di Nerva, Traiano e Adriano e una sezione della vita di Tito, pubblicate per la prima volta a Milano nel 1503; pochi estratti dalle vite di Cesare, Caligola e Nerone sono citati in altri scritti del M. e del Pio. Al M. è attribuito dubitativamente un trattato sulla paternità della Rhetorica ad Herennium, adespoto nel ms. della Biblioteca nazionale di Napoli, IV.F.35, cc. 35r-41r.
A una mirata iniziativa del M. e alla sua puntuale regia sono legate anche due notevoli imprese editoriali milanesi, entrambe del 1490, curate da due suoi allievi: una stampa di Ausonio, a opera di Giulio Emilio Ferrari (IGI, 1098), che pubblicava per la prima volta gli excerpta dal Catalogus urbium rinvenuti dal M. nel Chronicon di Benzo d’Alessandria, e una di Plauto, nella quale Eusebio Scutari ripresentava, pulito da errori, il testo della princeps del 1472 (IGI, 7872; nella postfazione dello Scutari al M. viene fornito un elenco dei suoi scritti, molti dei quali oggi irreperibili: epicedi, epitalami, orazioni, le Quaestiones Plautinae, già citate nella lettera a Iacopo Zeno del ’72 e qui indicate come quasi giunte a compimento).
Proprio le due edizioni di Ausonio e Plauto erano parte di una più ampia manovra con la quale il M., dal 1489 in poi, cercò di recuperare terreno nel campo degli studi filologici. Lo stimolo era venuto dalla pubblicazione, nel settembre 1489, dei primi Miscellanea di Angelo Poliziano, nei quali il M. ravvisò plagi e subdoli attacchi ai propri scritti. Oltre a dirigere e coordinare le suddette edizioni, in effetti, egli si impegnò, tra fine 1489 e inizio 1490, nella composizione di un opuscolo In Politianum, aspra requisitoria contro i Miscellanea.
Attraversato dall’ossessiva rivendicazione di molte soluzioni esegetico-testuali e da recriminazioni spesso prive di vera sostanza, lo scritto del M., che rimase in forma di abbozzo manoscritto e non fu mai divulgato, era, in realtà, un prodotto fiacco, debole, l’arma spuntata di un vecchio gladiatore letterario che, dopo avere animato da protagonista i gloriosi anni Settanta, aveva abbandonato la filologia militante per un decennio e non si rendeva conto dei rapidi progressi compiuti dalla scienza dell’antichità durante gli anni Ottanta: l’agguerrita e innovativa proposta filologica di Poliziano, superiore a ogni altra fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, era da lui valutata e combattuta da una prospettiva distorta, dalla specola di un metodo che nel recente passato era stato di grande valore, ma che in quel momento era inevitabilmente superato. Dell’ostilità del M. verso l’ex amico Poliziano si ebbe qualche conoscenza nella repubblica dei dotti fin dal 1490, ma essa sfociò in aperta polemica tra i due solo tra la fine del 1493 e l’inizio del 1494.
Il ritorno del M. sulla ribalta filologica fu segnato anche dalla composizione di un libello polemico contro lo Svetonio stampato nell’aprile 1493, curato e commentato da Filippo Beroaldo (IGI, 9238): nelle Annotationes contra Beroaldum, diversamente da quanto avvenuto nell’In Politianum, il M. poté far valere la sua vasta erudizione e la solidità del metodo, svelando l’ignoranza del Beroaldo e denunciandone le gravi carenze, le fuorvianti digressioni e l’uso poco rigoroso delle fonti.
La grande opportunità di rinnovare i propri fasti filologici si presentò al M. allorché nel dicembre 1493, durante una delle tante ricerche di materiali per la storia di Milano, il fedele allievo Giorgio Galbiate rinvenne, nel monastero di Bobbio, molti testi latini sconosciuti: erano soprattutto scritti di grammatici, fra i quali Terenziano Mauro, Fortunaziano, Velio Longo, Probo, Arusiano Messio, e di poeti come Rutilio Namaziano, il Carmen di Sulpicia, Draconzio, gli Inni di Prudenzio. Fu una straordinaria scoperta, della quale il M., tacendo il ruolo di Galbiate, si prese ogni merito. Con una lettera dai toni trionfali, il 31 dic. 1493 annunciò a Ludovico il Moro l’eccezionale ritrovamento; la vicenda ebbe un’eco immediata e per breve tempo egli riacquistò grande fama in tutta l’Italia umanistica. La cura di edizioni a stampa dei nuovi scritti avrebbe forse permesso al M. di tornare protagonista negli studi classici, ma egli non poté sfruttare l’occasione: la morte lo colse, a Milano, pochissimo tempo dopo, nella notte fra il 18 e il 19 marzo 1494, in seguito a una grave infezione delle tonsille.
Si sono conservate numerose missive del M. e a lui indirizzate, quasi tutte già segnalate o pubblicate; finora poco considerata, invece, un’epistola del M. al giurista Anastasio Piatti, stampata in Anastasius Platus, Quaestio disputata de testamento e Platinus Platus, Disticha ad Iohannem Iacobum Balsamum et Iohannem Henricum Peggium…, Milano 1488 circa, cc. 9v-10r (IGI, 7864).
Le edizioni curate dal M. e i suoi scritti conobbero una buona fortuna editoriale tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento.
Ristampe delle edizioni. Plauto: Venezia 1482 (IGI, 7871); la seconda ed., del 1490, fu ripubblicata nel 1495 (IGI, 7873); nel 1497 uscì a Milano una stampa con la Vita Plauti del M. e pochi estratti da Barbaro, il M., Poliziano e Beroaldo (IGI, 7874). Marziale: Venezia 1475 (IGI, 6219), Milano 1478 (IGI, 6221). Scriptores rei rusticae, con le Enarrationes del M.: Reggio Emilia 1482 (IGI, 8854), Bologna 1494 (IGI, 8855), Reggio Emilia 1496 (IGI, 8856), 1499 (IGI, 8857).
Ristampe delle opere. In librum De homine Galeotti Martii: Milano 1490 (IGI, 4132), Torino 1517, Basilea 1517. In Sapphus epistolam interpretatio: Venezia 1481 (IGI, 7080), Milano 1483 (IGI, 7082), 1499 (IGI, 7105), Torino 1517, Venezia 1533. Enarrationes Satyrarum Iuvenalis: Treviso 1478 (IGI, 6378), Venezia 1496-97 (IGI, 5600), 1498 (IGI, 5602), Lione 1501. Adversus Domitii Calderini Commentarios in Martialem: Treviso 1478 (IGI, 6378), Venezia 1491 (IGI, 6229), 1493 (IGI, 6230), 1495 (IGI, 6231), 1498 (IGI, 6232), 1503, 1504, Milano 1505, Venezia 1510, 1514, 1521, Lione 1522. Annotationes sulla Pro Ligario di Cicerone: Treviso 1478 (IGI, 6378), Venezia 1547 e 1552. Commento a Cicerone Fam. 1, 9: Treviso 1478 (IGI, 6378), Venezia 1491 (IGI, 2844), 1492 (IGI, 2845), Milano 1493 (IGI, 2846), Venezia 1493 (IGI, 2847), 1494 (IGI, 2848), 1495 (IGI, 2849), Milano 1495, 1496 (IGI, 2850), Lione 1496, Venezia 1497 (IGI, 2851), Milano 1499 (IGI, 2852), Lione 1499, Venezia 1500 (IGI, 2853), Milano 1501, Venezia 1502, Milano 1504, Venezia 1507, 1508, 1511. Historia Vicecomitum: Torino 1527 (estratti dai ll. I e VI), Parigi 1549, Milano 1629. Versioni latine da Dione Cassio: Milano 1508, Lione 1510, Venezia 1516, 1517.
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A. Daneloni