MAZZAFERRO, Giorgio (Nicolò Farfaro). – Nacque verosimilmente verso la fine del Cinquecento ed era forse di origine napoletana; per la ricostruzione della sua biografia non si traggono che pochissime notizie dalla scarsa documentazione superstite. Nel 1640 scrisse un Discorso sopra la musica antica, e moderna datato Napoli, 20 giugno. L’opera è dedicata a Nicolò Farfaro, ma da una lettera di Pietro Della Valle risalente al 1641-42 si deduce che autore e dedicatario sono la stessa persona (Ziino, 1967, pp. 100, 109)
e che il nome del M. è uno pseudonimo.
Morì prima del 14 ag. 1647, quando in una lettera di Della Valle a Giovanni Battista Doni si menziona la scomparsa di Farfaro avvenuta già da diverso tempo (Solerti, p. 313).
Il Discorso sopra la musica antica, e moderna, rimasto manoscritto (Roma, Biblioteca dell’Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana, Rossi, 36.E.30), sembra essere opera di un erudito che non perde occasione per fare sfoggio della propria cultura letteraria di impronta umanistica, ma che parla di musica in maniera del tutto dilettantesca, senza una vera conoscenza tecnica delle argomentazioni da lui avanzate. Il nucleo centrale dell’opera è dedicato a illustrare ancora una volta, dopo decenni di discussioni e dibattiti di ben maggiore spessore, la superiorità della musica antica sulla moderna per quella inscindibile unità di intenti tra poesia e musica ritenuta patrimonio dei Greci. In realtà ciò costituisce solo il punto di partenza per mostrare, fin dalla dedica fittizia a Farfaro, come la musica dell’epoca si sia irrimediabilmente guastata e rovinata, diventando «molle e lasciva». La condanna espressa dall’autore riguarda in primo luogo il nuovo stile di canto, eseguito con «voce inarticolata a guisa di animale bruto, e non di animale ragionevole» (Ziino, 1969, p. 107), che nella sua ricerca di virtuosismo fine a se stesso oscura il testo sia nella percezione delle parole sia nella sua struttura metrica; viene quindi espressamente citato Stefano Landi come esempio di tal modo di procedere. Si deplora poi che questo stile venga adoperato anche in chiesa, «notabilissimo difetto» che rende indistinguibile la musica sacra da quella profana, soprattutto perché in tal modo «tutti concorrono non per divotione, né per sentire le funtioni divote, che per servitio d’Iddio fa la Chiesa, ma solamente per sentire la musica: il che chiaramente appare, che cantato un mottetto dopo la Magnificat, perché si sa che non vi è altro canto, tutti si partono, e resta la Chiesa vacua, non aspettando altrimenti il fine del Vespro» (ibid., p. 113). Tali parole si inquadravano nella discussione, in corso da alcuni decenni, intorno al significato della musica nella liturgia e alla necessità di uno «stile ecclesiastico» immediatamente riconoscibile come tale, e che verrà in qualche modo codificato in relazione a G. Pierluigi da Palestrina (pur con tutti i distinguo e i fraintedimenti del caso); ma l’attacco riguarda anche la polifonia, che con il suo impiego di fughe, canoni e altri artifici non fa altro che storpiare la musica. In conclusione, secondo il M. la musica antica era assolutamente superiore, ma anche irrimediabilmente perduta, perché si è perso il suo significato originario; e ogni tentativo di recuperarla è destinato a fallire.
Il Discorso mostra di essere un’opera ben poco originale nel suo mettere insieme luoghi comuni, pregiudizi ed echi di polemiche della sua epoca, e dell’ambiente romano in particolare, viste in chiave moralistica; contenendo attacchi diretti e velati a personalità del tempo, il Discorso fu oggetto di replica da parte di Della Valle che, ricevuto il manoscritto per tramite di Felice Righini, si sentì in qualche modo coinvolto e in fretta e furia scrisse le sue Note… sopra la musica antica e moderna indirizzato al sig.r Nicolò Farfaro che va a nome di Giorgio Mazzaferro (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. VI, 181 [=5841]). A tali osservazioni il M. rispose con una replica che non si è conservata. In una lettera del 23 marzo 1641, indirizzata a Doni, Della Valle annotò quasi per inciso di aver saputo di tale replica, ma di non averla veduta; successivamente scrisse una lunga lettera di risposta (la stessa sopra menzionata in cui si dice che il M. e Farfaro erano la stessa persona) che, a quanto pare, mise fine alla polemica anche se ne rimasero echi nella coscienza di Della Valle. Questi, ancora nel 1647, ringraziando Doni per l’invio della sua trattazione De praestantia musicae veteris fresca di stampa, si rammaricava che Farfaro e Lelio Guidiccioni (con cui pure aveva polemizzato in passato) fossero già da tempo passati a miglior vita, altrimenti avrebbe inviato loro copia di quel trattato a loro beneficio.
Fonti e Bibl.: A. Solerti, Lettere inedite sulla musica di Pietro Della Valle a G.B. Doni ed una veglia drammatica-musicale del medesimo, in Riv. musicale italiana, XII (1905), pp. 293 doc. 7, 313 doc. 14; A. Ziino, P. Della Valle e la «musica erudita». Nuovi documenti, in Analecta musicologica, IV (1967), pp. 100 s., 109 s.; Id., «Contese letterarie» tra P. Della Valle e N. Farfaro sulla musica antica e moderna, in Nuova Riv. musicale italiana, III (1969), pp. 101-120; Ch.F. Black, Church, religion and society in early modern Italy, Basingstoke-New York 2004, pp. 215 s.; The New Grove Dict. of music and musicians, VIII, p. 563.