MARESCOTTI, Giorgio
MARESCOTTI (Marescot, Mariscot, Mariscotti, Maliscotti), Giorgio. – Di origine francese, non se ne conoscono luogo e data di nascita; neppure è noto alcunché su un’eventuale attività anteriore al suo arrivo a Firenze, databile agli anni 1553-54. A chiamarlo fu probabilmente il tipografo ducale fiammingo Lorenzo Torrentino, che, non riuscendo a trovare a Firenze personale adeguato, impiegò spesso manodopera straniera. Dunque a quella data il M. doveva già possedere i rudimenti dell’arte della stampa.
Perfezionatosi nella bottega di Torrentino, nel 1558 il M. avviò un’attività propria come libraio, per l’esercizio della quale affittò un locale dalla badia fiorentina, nel quartiere del Garbo. Si doveva trattare di commercio al dettaglio, se nel 1562 inoltrò una supplica per poter vendere riproduzioni di dipinti, sculture e altri soggetti sul sagrato delle chiese la domenica. Le prime stampe certe «A stanza di Giorgio Marescotti» risalgono al 1563: impressi da B. Sermartelli, il Libro della gratia, et del libero arbitrio di s. Agostino nella traduzione di L. Domenichi e il Libro da Compagnia, raccolta di inni per confraternite laiche; dai figli di Lorenzo Torrentino, le commedie Le due cortigiane di Domenichi e La Cecca di Girolamo Razzi. Per impiantare una tipografia autonoma, il M. dovette attendere la morte di Torrentino (12 febbr. 1563). Riuscendo a battere l’agguerrita concorrenza dei Giunti, l’anno dopo fu in grado di rilevare i locali dell’officina ducale e l’annessa abitazione (di proprietà della famiglia Rinuccini, tra l’attuale via Condotta e via dei Magazzini, nei pressi di piazza della Signoria), con parte dell’attrezzatura. Nel 1564 apparve il primo libro stampato dal M.: il Pronostico et lunario de l’anno bissestile MDLXIIII di M. Nostredame (tradotto dal francese dallo stesso M.); l’anno dopo il primo libro di un certo rilievo: i Diversi generis scripta di Pagano Paganini, in 4°.
Nel frontespizio di quest’ultimo libro figura lo stemma mediceo adoperato da Torrentino nelle Historiae di Paolo Giovio (1550) e all’inizio della dedica una grande iniziale «I» figurata, pure questa ereditata da Torrentino, con l’allegoria della Iustitia nell’atto di reggere la bilancia e la spada e lo stemma mediceo. Si trattava di una variazione meno elegante del soggetto ideato per la prestigiosa edizione torrentiniana delle Pandette nel 1550, dove, all’inizio del testo, la stessa «I» figura con l’aquila bicipite simbolo dell’Impero.
È evidente, da parte del M., il tentativo di ingraziarsi il potere granducale, ora che, con la scomparsa di Torrentino, il mercato tipografico fiorentino sembrava aprirsi all’iniziativa di nuove figure imprenditoriali che aspiravano al privilegio di stampa goduto dal tipografo fiammingo. Tali aspirazioni tanto più erano legittime, quanto più il mercato editoriale toscano si era avviato a un periodo di recessione, con conseguente aumento della concorrenza, riduzione dei profitti, scadimento qualitativo, che condizionavano pesantemente le possibilità delle grandi imprese, come delle piccole officine e dei cartolai. Il M. comprese che le possibilità di sopravvivere alla concorrenza di imprese agguerrite, che potevano vantare solide tradizioni familiari ed eccellenti capacità tecniche, come i Giunti e i Sermartelli, era legata all’acquisizione della privativa sulle opere stampate. Ma il duca Francesco I de’ Medici, dopo l’insuccesso dell’esperienza con Torrentino, non intendeva assegnare il privilegio di stampa a un solo tipografo, preferendo concederne di volta in volta per singole opere in maniera da non favorire un singolo stampatore (ma anche percependo introiti fiscali maggiori che con una sola concessione cumulativa).
Richieste velate di protezione rivolte al potere mediceo ricorrono nelle dediche premesse dal M. alle sue stampe, ma le istanze presentate ripetutamente nel decennio Settanta-Ottanta furono tutte respinte, oppure furono concessi solo privilegi in forma ristretta. La prima richiesta di privilegio ventennale fu inoltrata nel 1570. Una nuova supplica, del gennaio 1572, ottenne un privilegio parziale di quindici anni per tre opere. Nel 1574, dopo che i Giunti non avevano avuto il rinnovo del privilegio per le opere nuove da loro stampate, che detenevano dal 1561, il M. chiese che la privativa fosse concessa a lui ed estesa a tutte le opere da lui impresse, ma la richiesta fu respinta.
Contemporaneamente ai tentativi di ottenere un riconoscimento istituzionale, il M. allargò l’attività della sua impresa. Nel 1566 assunse come socio-dipendente il nipote Tommaso Roigny, presumibilmente imparentato con la famiglia degli stampatori parigini attivi tra gli anni Trenta e Ottanta del secolo, ma mancano conferme documentali. Il 1° nov. 1567 il M. prese in affitto una seconda officina, sempre nel quartiere del Garbo, nella quale dopo la sua morte Roigny avrebbe continuato l’attività in proprio. Nel 1571 si associò di nuovo temporaneamente con Sermartelli.
Per la stampa delle Lettere e trattati familiari di Zanobi Prolaghi, abate della badia, i due tipografi si accordarono per spartirsi a metà la tiratura, che fu emessa con due diversi nomi e frontespizi; per la Historia divina, de l’uno, e l’altro mondo di Iacopo Gardi (pure monaco della badia), il M. figura come editore e Sermartelli come stampatore. Ancora, nel 1579 Sermartelli stampò per il M. i Commentarii in lib. I Sententiarum m. Petri Lombardi del servita Angelo Maria Montorsoli, del convento dell’Annunziata di Firenze, vicario generale e reggente dello studio dell’Ordine.
Negli stessi anni il M. si avvicinò all’Accademia Fiorentina, intensificando la stampa di traduzioni da altre lingue (latino, francese, spagnolo), come era nei programmi degli Accademici.
Di almeno due opere d’occasione curò egli stesso la traduzione dal francese: le Dichiarazioni delle cause, che hanno mosso monsignor il cardinale di Borbone, e li principi… di opporsi a quelli che vogliono sovvertire la religione e lo Stato, la Dichiarazione della volontà del re [Enrico III] sopra li nuovi tumulti di questo Regno (entrambe 1585). Nel catalogo del M. figurano anche libri in lingua originale; in spagnolo pubblicò le opere del condottiero e letterato Cosme de Aldana: Octavas, y canciones espirituales (1578), Memorial en verso (1585), Segunda parte de octavas, y sonetos (1587; nel 1578 di Aldana era uscito in traduzione il Discorso contro il volgo); in francese videro la luce nel 1600 le Stances a Maria de’ Medici di Louis de La Ferté. Nel 1584, su commissione di Domenico Manzani, stampatore della Crusca, impresse Il Lasca, dialogo, cruscata, ovver paradosso di Lionardo Salviati (con lo pseudonimo di Ormannozzo Rigogoli) e, ancora di Salviati, ma a nome degli Accademici, la Difesa dell’Orlando furioso dell’Ariosto. Contra ’l Dialogo dell’epica poesia di Cammillo Pellegrino. Stacciata prima, testo principe della disputa tra sostenitori dell’Ariosto e del Tasso che occupò la scena letteraria negli anni seguenti.
Nel 1577 il M. pubblicò il primo in folio (D. Mellini, In veteres quosdam scriptores, malevolos Christiani nominis obtrectatores) e reiterò invano la richiesta di privilegio universale inoltrata nel 1574, ora però solo per quindici anni, ma fu accontentato con il privilegio per sei opere. L’impresa poteva ora considerarsi affermata e dai suoi torchi uscirono opere di primo piano nel panorama culturale del Granducato: le Famiglie nobili napoletane di Scipione Ammirato (1580, in folio grande), il Discorso sopra la musica di Francesco Bocchi (1580), la Historia fiorentina di Domenico Buoninsegni (1580), l’Architettura militare e il Discorso sopra la fabrica, e uso delle nuove verghe astronomiche di Antonio Lupicini (1582), il De plantis di Andrea Cisalpino (1583), la Universalis historiae ab exordio mundi usque ad invinctissimi Hispaniarum regis quinti semper Augusti extremum diem prima pars, di Enea Galletti (1583).
Gli anni Ottanta segnarono l’introduzione nell’editoria fiorentina, a opera del M., della stampa di opere musicali, anche in questo caso interpretando in maniera tempestiva le potenzialità di un mercato nascente in virtù dell’attività della Camerata fiorentina, fondata da Giovanni Maria Bardi. Nessun tipografo fiorentino aveva sino allora tentato in proprio l’impressione di opere musicali: i Giunti erano stati editori nel 1563 del Libro primo delle laudi spirituali da diversi autori raccolte da Serafino Razzi, ma la stampa era stata eseguita a Venezia da Francesco Rampazetto. Il M., invece, fece venire caratteri musicali da Parigi e in seguito ne fuse altri a Firenze. La prima opera da lui impressa in questo settore è il Dialogo della musica antica et moderna di Vincenzo Galilei (1581, in folio); negli anni successivi (e poi ancor più per il figlio Cristofano) la produzione musicale fu piuttosto fitta e di buona qualità, e il M. divenne lo stampatore di fiducia della Camerata fiorentina: di Galilei pubblicò il Canto de’ contrapunti a due voci (1584) e il Discorso intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia (1589), di Stefano Venturi Del Nibbio Il terzo libro de’ madrigali a cinque (1596), nel 1600 Le musiche sopra l’Euridice del sig. Ottavio Rinuccini composte da Iacopo Peri (alcune arie da Giulio Caccini) per la messa in scena in occasione delle nozze di Maria de’ Medici con il re di Francia Enrico IV e poi sullo stesso testo le musiche composte poco dopo dal solo Caccini (Euridice composta in musica in stile rappresentativo).
Il 3 ott. 1585 il M. tornò a chiedere la privativa di dodici anni sulle opere nuove, ma soprattutto la concessione di quella per sei mesi sui bandi e le nuove leggi da lui stampati per la prima volta, che costituiva una prerogativa dello stampatore ducale. La prima richiesta fu respinta, mentre fu concesso il privilegio decennale sulla stampa dei bandi, ma senza il titolo di tipografo ducale.
Passava così in primo piano il compito istituzionale di imprimere e divulgare il testo ufficiale delle leggi dello Stato, rispetto alle finalità con cui la Stamperia ducale era nata ai tempi di Torrentino, che erano state soprattutto umanistiche e avevano avuto come obiettivo l’edizione delle opere della Biblioteca Medicea. Il cambiamento era sintomatico della situazione culturale, nella quale si erano spente le grandi energie umanistiche e che obbligava gli stampatori a garantirsi una sicura fonte di reddito a basso costo nella pubblicazione dei bandi dello Stato. Peraltro, il M. veniva a servire un’esigenza primaria di uno Stato moderno, che era quella di disporre di una tipografia al proprio servizio, senza bisogno di una legittimazione culturale, che il nuovo principe Francesco I, a differenza del padre Cosimo, non era interessato a ricercare.
In un’ulteriore supplica, inoltrata al nuovo granduca Ferdinando I nel 1587, il M. chiese la conferma del privilegio già ottenuto e, di nuovo, la concessione di quanto gli era stato ripetutamente negato, cioè il riconoscimento del titolo di stampatore ducale e la privativa sulle nuove stampe, nonché l’estensione del diritto di stampa su tutte le provvisioni approvate dai magistrati e non solo quelle da lui stampate per la prima volta, come prevedeva il privilegio ottenuto nel 1585. Il M. continuò la sua accorta politica di ingraziarsi personalità del potere mediceo nelle dediche (quella, in francese, della Corona di sessantatré miracoli della Nunziata di Firenze di L. Ferrini, del 1593, è diretta alla granduchessa, Cristina di Lorena), ma al suo scadere, nel 1595, il privilegio non fu rinnovato. Tuttavia, l’attività nel settore dei bandi non dovette subire clamorose flessioni, perché, non essendo stata concessa ad altri tipografi la privativa, i magistrati non cessarono di servirsi del M., che continuò a svolgere il suo compito anche senza essere protetto dal dispositivo di legge. Negli ultimi anni la produzione del M. si mantenne nel complesso sufficientemente differenziata, né ebbe a patire in modo significativo dall’acuirsi della censura sotto il principato di Ferdinando I, che del resto non faceva che confermare in larga misura lo status quo (il 16 dic. 1591 un mandato dell’auditore delle Riformagioni Iacopo Dani ingiunse a tutti gli stampatori di Firenze di non imprimere libri senza avere avuto la licenza preventiva, pena il sequestro della tiratura).
Il M. morì a Firenze all’inizio di aprile 1602: il giorno 7 fu sepolto nella badia di Firenze.
Aveva sposato Agnoletta di Benedetto Bati e aveva avuto sei figli: Cristofano; una secondogenita, di cui non è noto il nome, forse già morta nel 1602, era stata moglie di Gherardo di Gismondo Gherardini; Vincenza, nel 1602 sposata con Dario d’Andrea Grassi da Pistoia; Margherita, nata nel 1584, andata sposa a Giovan Battista di Michele Boschetti nel 1603; Maria, nata nel 1586, monaca di S. Clemente; Pietropagolo, ultimogenito, nato nel 1589.
Il primogenito Cristofano, nato nel 1570, risaliva forse a un precedente matrimonio, vista la differenza d’età con le sorelle, ma anche perché al momento della divisione dei beni, dopo la morte del M., l’atteggiamento della madre e degli altri familiari nei suoi confronti fu piuttosto ostile. Verso i vent’anni aveva cominciato a lavorare con il padre e nel 1602 viveva nella casa paterna con la moglie Margherita Pugliani, la cui dote aveva investito nell’impresa. Alla morte del M. subentrò nella gestione dell’azienda insieme con Tommaso Roigny, ma la divisione della proprietà tra gli eredi fu causa di liti. La causa di successione fu aperta il 4 dic. 1602 con l’accettazione della tutela del magistrato dei Pupilli per il minore Pietropagolo. Dal 31 gennaio al 14 febbr. 1603 fu compiuta la stima dei beni. Dall’inventario della stamperia e della fonderia nell’officina della Condotta risulta un’attrezzatura cospicua, ma la stima non appare particolarmente elevata, segno che i materiali erano usurati: 1130 scudi. I beni delle due botteghe (libri, stampe, ecc.) ammontarono invece a un valore di 3107 scudi, 6 lire e 5 soldi. I bilanci registravano un modesto attivo, per complessivi 150 scudi circa.
Nell’elenco dei creditori, stilato da Roigny, figuravano anche personalità fiorentine che avevano sostenuto l’attività della tipografia: Cristina di Lorena per 200 scudi, Francesco Rinuccini a titolo di pigione, Scipione Ammirato, Cosimo di Francesco de’ Medici. Detratti questi debiti e i salari dovuti ai dipendenti, il capitale complessivo della stamperia e delle botteghe ammontava a 2466 scudi 1 lira e 1 soldo, dai quali dovevano essere detratte le pendenze relative alla famiglia, ossia la dote da restituire alle mogli del M. e di Cristofano, quelle da destinare alle figlie nubili, le spese relative alla divisione e altre somme da liquidare ai fornitori. Il patrimonio, già non ingente, se commisurato ai quasi quarant’anni di attività indefessa del M., si riduceva quindi a ben poca cosa, e fu oggetto di dispute tra gli eredi che si trascinarono a lungo e resero necessarie varie sentenze del magistrato.
Queste vicende ostacolarono l’attività della tipografia (un solo opuscolo nel 1603). Dal maggio 1605 la bottega della badia fu rilevata da Roigny, il quale la tenne fino al 1619, continuando l’attività in proprio o associandosi ai Marescotti: a Pietropagolo e Agnoletta o a Cristofano. Nel 1608 Pietropagolo, divenuto maggiorenne, lavorava per lui. Dopo una prima fase in cui tentarono di proseguire l’arte, Agnoletta, Pietropagolo e anche Roigny si dedicarono esclusivamente all’attività di librai. Cristofano, invece, continuò la stampa e riprese la bottega del padre e già nel 1602, poi costantemente dal 1605, compare solo lui nelle sottoscrizioni. Nel 1608 si associò temporaneamente con Antonio Guiducci e nel 1611 con Andrea di Santi Giuntani, ma fu costretto a limitare la sua attività: già l’11 luglio 1608, insieme con Agnoletta e Giovan Battista Boschetti, cedette matrici e punzoni ai Giunti di Venezia. La produzione di Cristofano è a un livello più basso di quella del M.: composta in prevalenza di edizioni musicali e d’occasione, vanta solo qualche opera importante, come l’Argonautica di Giovan Battista Cini, rappresentata per le nozze, nel 1608, di Cosimo de’ Medici (granduca Cosimo II l’anno successivo) con Maria Maddalena d’Austria.
Le vicende ereditarie non impedirono peraltro ai Marescotti di chiedere, il 13 genn. 1604, il rinnovo del privilegio sui bandi e, ancora, il titolo di stampatori ducali, ora in concorrenza con i Giunti e con Michelangelo Sermartelli. Il governo granducale mantenne la consueta posizione di favore del libero mercato, e non concesse a nessuno la privativa. I Marescotti continuarono così a stampare i bandi per consuetudine e i Giunti a ristamparli. Cristofano morì nel settembre 1611.
La sua scomparsa diede adito a nuovi aspiranti all’ambita privativa dei bandi. Si fecero avanti Stefano Guiducci e il figlio Alessandro, Modesto e Filippo Giunti, poi anche la vedova di Cristofano, Margherita, che si offerse di continuare l’attività del marito. Il privilegio fu concesso a Margherita per due anni, rinnovabile per altri due, così alcune delle poche edizioni degli eredi di Cristofano (concentrate negli anni 1611-13) recano la sottoscrizione «Appresso gli Heredi di Christofano Marescotti stamp. ducali». Nel frattempo la figlia di Cristofano e Margherita, Caterina, aveva sposato lo stampatore Domenico Magliani. Questi, però, già prima della metà del 1615, in una rissa nella sua bottega, aveva provocato la morte di un giovane ed era dovuto fuggire da Firenze: Caterina con i due figli era tornata con la madre, che probabilmente nel frattempo aveva ceduto l’officina a Zanobi di Francesco Pignoni. Il 9 ag. 1615 Pignoni, d’intesa con i Marescotti, chiese il privilegio per dieci anni, ma si dovette accontentare della privativa su due opere. Dopo poco, però, Margherita si rese di nuovo autonoma e aprì una bottega con attrezzatura propria, senza riuscire a prosperare a causa delle spese di manodopera. Chiese il privilegio sui bandi, ma senza successo. La sua impresa dovette estinguersi dopo il 1617: gli ultimi bandi che portano la sottoscrizione «Appresso gli Heredi di Christofano Marescotti» risalgono a quell’anno.
Il catalogo del M. ricostruito da Guarducci ammonta a 415 titoli, cui se ne devono aggiungere altri 11 individuati da Bruni. Una prima valutazione, a parte quella quantitativa che pone il M. accanto ai Giunti e a Sermartelli come lo stampatore più produttivo a Firenze nella seconda metà del XVI secolo, è che egli fu costretto a differenziare di più la sua produzione rispetto a tipografi dei decenni precedenti, a causa della contrazione del settore umanistico dovuta alla crisi degli studi, e all’ascesa di altri ambiti: la letteratura religiosa, scientifica, tecnica, medica, encomiastica e celebrativa, musicale. Complessivamente modesta fu l’incidenza delle opere classiche e umanistiche, limitata a edizioni non filologiche, a volgarizzamenti, a ristampe.
Nel 1588 uscì però l’elegante plaquette dell’Elegia di Cornelio Gallo, nell’edizione di Aldo Manuzio il Giovane; e in altri due casi il M. riuscì a essere più tempestivo della concorrenza: nel 1583 stampò, anche se per iniziativa del libraio Giovanni di Michele da Passignano, il Trattato sopra i libri Dell’anima d’Aristotile di B. Segni (l’opera, composta verso il 1558, era rimasta inedita; nel 1608 i Giunti emisero sul mercato le copie residue della tiratura con un nuovo frontespizio); nel 1598, il Primo libro degli Annali di Tacito rappresenta il primo saggio a stampa della traduzione di Bernardo Davanzati, della quale solo due anni dopo i Giunti avrebbero pubblicato la seconda prova, L’imperio di Tiberio Cesare. Gli autori volgari, della tradizione e moderni, sono sottorappresentati: una sola edizione del Canzoniere di Petrarca (1574), l’Epistola della incoronatione di m. Francesco Petrarca di Sennuccio Del Bene (1577), un’edizione del Galateo di G. Della Casa (1584), accompagnata da un Ragionamento di Francesco Bocchi; diverse commedie e pastorali di Raffaello Borghini (La donna costante, 1578, 1582; L’amante furioso, 1583; Diana pietosa, 1586, 1587) e di altri autori (C. Lanci, Mestola, 1583; P. Buonfanti, Errori incogniti, 1587). Altrimenti si tratta di pubblicistica accademica: lezioni, commenti, trattati, testi controversistici. Larghissima la produzione religiosa – esegetica, omiletica, agiografica, devozionale, canonistica, teologica, commemorativa – in latino e in volgare, non solo di autori toscani. L’imperativo di gravitare nell’orbita del potere mediceo, ma anche l’opportunità di occupare un settore rigoglioso della pubblicistica toscana impostosi nel nuovo regime principesco fanno sì che una parte considerevole, e non la più spregevole sul piano qualitativo, del catalogo del M. (oltre una cinquantina di titoli) sia costituita da opere celebrative e d’occasione, nelle quali si trovano rappresentati gli avvenimenti pubblici della dinastia nel quarantennio di attività.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Moreniana, Moreni, 213: D. Moreni, Catalogo delle opere pubblicate dalla Stamperia Marescotti in Firenze, 1572-1613; V. Galilei, Del Dialogo della musica antica et della moderna, pref. di F. Fano, Roma 1934 (ed. anast.); G. Ottino, Di Bernardo Cennini e dell’arte della stampa in Firenze nei primi cento anni dell’invenzione di essa, Firenze 1871, pp. 101-103; P. Kristeller, Early Florentine woodcuts. With an annotated list of Florentine illustrated books, London 1897, pp. 71 s.; C. Sartori, Diz. degli editori musicali italiani (Tipografi, incisori, librai-editori), Firenze 1958, pp. 97 s.; B. Maracchi Biagiarelli, Il privilegio di stampatore ducale nella Firenze Medicea, in Arch. stor. italiano, CXXIII (1965), pp. 314-323, 352-358; T. de Marinis, Nota sul tipografo G. M., in La Bibliofilia, LXXI (1969), pp. 179 s.; A. Tinto, Il corsivo nella tipografia del Cinquecento, Milano 1972, pp. 69, 73; R. Delfiol, I Marescotti, librai, stampatori ed editori a Firenze tra Cinque e Seicento, in Studi secenteschi, XVIII (1977), pp. 147-204; I Giunti tipografi editori di Firenze 1571-1625. Annali inediti, a cura di L.S. Camerini, Firenze 1979, ad ind.; Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento. La corte, il mare, i mercanti. La rinascita della scienza. Editoria e società. Astrologia, magia e alchimia (catal.), Milano-Firenze 1980, pp. 151 s., 168, 186, 200; R. Delfiol, L’azienda tardo-cinquecentesca di un tipografo da inventari del «Magistrato dei pupilli» nell’Arch. di Stato di Firenze, in Studi in onore di Leopoldo Sandri, Roma 1983, pp. 409-431; A. Rossi, Nota testologica, in G. Vasari, Le vite… nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, a cura di L. Bellosi - A. Rossi, Torino 1986, p. LXVI, tav. I; T. Carter, Music-printing in late sixteenth-and seventeenth-century Florence: G. M., Cristofano Marescotti and Zanobi Pignoni, in Early music history, IX (1989), pp. 27-72; C. Tidoli, Stampa e corte nella Firenze del tardo Cinquecento: G. M., in Nuova Riv. storica, LXXIV (1990), pp. 605-644; L. Perini, La stampa in Italia nel ’500: Firenze e la Toscana, in Esperienze letterarie, XV (1990), pp. 44 s.; G. Guarducci, Annali dei Marescotti tipografi editori di Firenze (1563-1613), Firenze 2001; R.L. Bruni, Tipografia fiorentina del Seicento: le edizioni Marescotti, in La Bibliofilia, CV (2003), pp. 291-305; G. Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, Milano 1986, I, pp. 42 s., 163, 348 s., 364, 427, 439; II, figg. 10, 889 s., 1143-1146; Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, XXIV, p. 19; The New Grove Dictionary of music and musicians, XV, p. 848.