MANIN, Giorgio
Nacque a Venezia il 10 maggio 1831, secondogenito di Daniele e di Teresa Perissinotti.
La sua educazione seguì la stessa impostazione adottata con la primogenita Emilia. Il padre riversò anche sul M. il suo credo pedagogico di stampo illuministico, atto a coniugare la costruzione positiva di una serie di conoscenze imprescindibili, fondata sull'acquisizione di un profondo e appropriato linguaggio scientifico, con l'attenzione verso lo sviluppo fisico. Scopo dell'educazione doveva essere, a parere dei genitori, l'acquisizione di una felicità che, per motivi diversi, ben raramente la famiglia raggiunse.
Malgrado sin da bambino il M. fosse cagionevole di salute, i risultati negli studi furono elevati: dal 1843 al 1848 frequentò il ginnasio di S. Giovanni Laterano, dove si dedicò alla discipline di grammatica e umanità, distinguendosi soprattutto nella letteratura e nelle scienze matematiche. La svolta nella sua vita avvenne con la scelta del padre di intraprendere l'opposizione legale, che lo portò dapprima in carcere e, dopo la liberazione del 17 marzo 1848, alla guida della rivoluzione veneziana: una scelta che il M. seguì nel suo svolgersi progressivo, accompagnandolo nel solitario tentativo di far insorgere l'Arsenale, all'alba del 22 marzo, con pochi rappresentanti della guardia civica. Nominato tenente e messo al comando di un plotone della guardia civica, il M., non ancora diciottenne, partecipò alla difesa di Vicenza e all'assedio e alla difesa di Forte Marghera.
Caduta la Repubblica, il M. seguì il padre in esilio, salendo, il 27 ag. 1849, sul "Pluton" che li condusse a Corfù e di qui in Francia con un'altra nave. Da allora tutte le tappe dell'esistenza del padre vennero condivise dal M.: dalla scomparsa della madre a Marsiglia, per le conseguenze del colera, all'asprezza dell'esilio accentuata drammaticamente dalla sofferenza della sorella Emilia, affetta da una grave forma di epilessia, degenerata a Parigi sino alla morte.
Fu negli anni dell'esilio parigino che nel M. iniziarono a manifestarsi i primi sintomi di una grave malattia alle gambe che, per un certo tempo, lo costrinse a usare le stampelle. Ciononostante riuscì a conseguire brillanti risultati all'Università, dove s'era iscritto nel 1850; seguirono alcuni viaggi in Inghilterra e in Belgio, per visitare le miniere di zinco e carbone, e in Germania, a Essen, per visitare gli stabilimenti Krupp, grazie all'intervento del suo mecenate O. Planat de la Faye. Ammesso due anni dopo alla École nationale supérieure d'arts et métiers, nel 1855 ottenne il diploma e, di lì a poco, un impiego come ingegnere "metallurgista" nelle ferrovie dell'Ovest.
Alla morte del padre, nel 1857, rientrò in Italia; trascorso un breve periodo prima a Genova e poi a Torino - dove ebbe modo di frequentare gli antichi amici del padre, G.B. Giustinian e la moglie E. Michiel, G. Giuriati, G.B. Varè -, il M. partecipò col grado di luogotenente delle truppe toscane alla guerra del 1859, dove ritrovò il gen. G. Ulloa, che nel 1848 aveva preso parte alla difesa di Venezia. Quindi si arruolò l'anno successivo con i Mille di Garibaldi, che lo volle nel suo stato maggiore; restò ferito nella battaglia di Calatafimi e più seriamente all'assedio di Palermo: pur promosso maggiore, dovette lasciare la spedizione. Convalescente, visse tra Genova, Torino e Milano, alternando gli studi di fisica e di ottica alle cure mediche. Congedatosi dall'esercito garibaldino nel 1862 col grado di luogotenente colonnello, e accolto con lo stesso grado in quello italiano, nel 1866, allo scoppio della guerra accorse a Custoza, dove il 24 giugno prese parte alla battaglia agli ordini di un altro esponente della Repubblica veneziana del 1848-49, il generale G. Sirtori. Una nuova, lieve, ferita a un braccio non gli impedì, poche settimane dopo, di entrare in Venezia a fianco di Vittorio Emanuele II, che lo nominò comandante generale della guardia nazionale, una carica onorifica che tuttavia sancì il riconoscimento del ruolo suo - e della sua famiglia - nel processo di indipendenza e unificazione nazionale.
Un obiettivo, questo, che il M. perseguì costantemente: in questa chiave va considerata l'intensa opera di relazioni che portò alla traslazione delle salme del padre, della madre e della sorella giunte a Venezia, solennemente, il 22 marzo 1868, a vent'anni esatti dalla rivoluzione, con una cerimonia che pure lasciò qualche polemica, dato il rifiuto delle autorità ecclesiastiche di accogliere i Manin all'interno della basilica di S. Marco. Così le tombe furono provvisoriamente collocate nell'atrio, in attesa del mausoleo, costruito sul lato settentrionale della basilica. E a questa volontà va riportata anche la decisione di donare le carte e i cimeli del padre, che egli era riuscito a salvare, al Civico Museo Correr, dove tuttora si conservano.
Dopo diciassette anni di esilio, il M. poté riprendere i contatti veneziani e i rapporti col mondo degli affetti e delle professioni della sua città natale. Il fatto di essersi ritirato a vita privata gli permise di approfondire gli studi di carattere scientifico, malgrado il riacutizzarsi dei malanni alle gambe, aggravati dalle ferite di guerra, da una disfunzione cardiaca e da altri disturbi alla vista che lo costrinsero a lunghi periodi di inattività nel buio più completo. Nonostante ciò riuscì a compiere studi innovativi che tradusse in invenzioni importanti come il "Regolatore Isosmoso", brevettato insieme con il cugino G. Merryweather, suo collaboratore, il 2 giugno 1874 al R. Museo industriale italiano, uno strumento di alta precisione per la misurazione del tempo. A conferma del suo inserimento nel panorama culturale cittadino ottenne, nella primavera del 1876, la nomina a socio corrispondente dell'Ateneo veneto. Proprio all'Ateneo, il M. - come già il padre cinquant'anni prima - illustrò i propri studi, partecipando alle sedute accademiche e intervenendo nel dibattito sugli strumenti di misurazione terrestre, tra i quali si collocava anche un'altra delle sue invenzioni, il geodromo, esposto al congresso geografico internazionale, tenutosi a Venezia nel 1881.
Poche, in realtà, le frequentazioni di questo periodo, per lui che aveva avuto il solo amore giovanile di Cornélie Scheffer, poi sposa a Parigi di E. Renan; dai parenti Perissinotti alla famiglia Varè, dall'ingegnere fisico P. Fautrier al bibliofilo e archivista G. Fantoni, al matematico P. Cassani, professore all'istituto tecnico-nautico "P. Sarpi". La scelta di non sfruttare il suo nome e la sua storia in chiave politica rispose non solo alla propria natura schiva, quanto alla volontà di non usufruire dell'immagine e dell'eredità morale del padre per fini che non fossero legati al ricordo di lui.
Per concessione del Comune, tornò ad abitare nella casa di campo S. Paternian (oggi Manin) dove era vissuto sino al 1849, che trasformò in un autentico gabinetto di fisica. Qui fu trovato morto la mattina del 15 ott. 1882, forse per le esalazioni di un acido sprigionatosi durante un esperimento chimico, come sostennero alcuni sulla scorta di un fatto accadutogli qualche tempo prima, più probabilmente per una "perturbazione cerebrale".
Il suo testamento nominava erede universale la cugina Carolina Risbeck, figlia di un ufficiale ceco dell'esercito austriaco, la quale decise di legare le carte del M. al Museo Correr e gli strumenti all'istituto "P. Sarpi", con l'impegno che tutto fosse messo a disposizione degli studiosi. Il corpo del M. fu sepolto nel cimitero dell'isola di San Michele sino al 1913, quando fu ricongiunto alla sua famiglia, in S. Marco. Un suo ritratto, eseguito da P. Santi in occasione della commemorazione pronunciata all'Ateneo veneto il 7 dic. 1882, è conservato nell'istituto veneziano.
Fonti e Bibl.: Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Manin Risbeck (i manoscritti contengono il carteggio personale del M.); Ibid., Arch. dell'Ateneo veneto di scienze, lettere ed arti, b. 16: Adunanze 1866-1910 (cfr. in particolare le letture del segretario per le scienze E. Milosevich [1875] e la relazione di P. Cassani [1876], in cui il M. è parte del dibattito); b. 36, f. 26 1878/1882 (per la commemorazione); b. 100, ff. IX-XI (per la donazione del quadro di P. Santi). P. Fautrier, G. M.: commemorazione, in Ateneo veneto, III (1882), pp. 257-283; G. Fantoni, G. M., in Riv. stor. del Risorgimento italiano, II (1897), pp. 440-453; G.C. Abba, Cose garibaldine, Torino 1909, pp. 195-200; R. Barbiera, Voci e volti del passato (1800-1900): da archivi segreti di Stato e da altre fonti, Milano 1920, pp. 269-281; A. Bosisio, G. M., in Ateneo veneto, CXLVIII (1957), pp. 21-26; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49, Milano 1978, passim; M. Fenzo, Considerazione in margine al lavoro di riordino e catalogazione della corrispondenza indirizzata a G. M. nel periodo 1850-1882 (fondo Risbeck), in Boll. dei Musei civici veneziani, XXIV (1979), pp. 9-25; S. Moronato, Dalla lettura della corrispondenza di G. M.: i giudizi dei contemporanei sugli avvenimenti tra il 1850 e il 1882, ibid., pp. 26-45; M.L. Lepscky Mueller, La famiglia di Daniele Manin, Venezia 2005, passim.