GUCCI, Giorgio
Nacque a Firenze, forse primogenito degli otto figli di Guccio di Dino e di Francesca di Lippo Spini. La sua data di nascita è da porre prima del 1350: sappiamo infatti che fu estratto al priorato sul finire del dicembre 1379 e per accedere a tale carica bisognava avere almeno trent'anni.
Come il padre e buona parte dei fratelli risiedette nel quartiere di S. Maria Novella, "gonfalone" Unicorno, abitando in una parte del palazzo di famiglia posto nell'attuale Borgo Ognissanti. Non ci è noto il nome della moglie, che gli dette almeno quattro figli: Bartolomea, Antonio, Matteo e Giorgio.
Proseguì la tradizione familiare anche nell'ambito lavorativo: fu infatti immatricolato nell'arte della lana nel gennaio 1377, all'interno del "convento" di S. Martino (nel quale era concentrata la produzione di qualità), in cui peraltro non sembra aver occupato una posizione di particolare rilievo. Fu comunque console dell'arte nel 1386 e socio, insieme con Giovanni di Bartolo Bischeri e altri, di una compagnia che si dedicava presumibilmente anche alla produzione di panni di pregio.
L'attività politica del G. ebbe il suo inizio ufficiale proprio alla fine del 1379, quando fu estratto fra i Priori in uno dei momenti più delicati del periodo caratterizzato dal governo delle arti minori.
Poco prima era stato infatti scoperto un complotto ordito da alcuni fuorusciti in combutta con Carlo d'Angiò Durazzo, il futuro Carlo III re di Napoli; ne era seguita una violenta repressione, culminata con la decapitazione di alcuni aristocratici sospettati di complicità con i fuorusciti e di alcuni di questi ultimi, rientrati furtivamente in città. Si temeva quindi che l'eventuale estrazione al priorato di parenti o amici dei giustiziati potesse dare origine a qualche forma di rappresaglia e, comunque, il rischio di una ulteriore esasperazione del clima politico cittadino era assai concreto. Molti proposero di modificare i meccanismi elettorali, togliendo dalle borse i nomi degli indesiderati, ma alla fine prevalse il desiderio di non stravolgere le istituzioni e, fortunatamente, l'estrazione dette ragione a tale atteggiamento. L'operato della nuova Signoria, della quale fece parte il G., fu infatti volto non solo a continuare a individuare e punire i responsabili del complotto, ma anche a tentare di ristabilire una pur minima concordia tra le parti.
L'aver partecipato attivamente alla vita politica durante il governo delle arti minori - una partecipazione, peraltro, improntata alla moderazione e al buon senso - non portò alcun danno al G. allorquando, nel 1382, quelle maggiori ripresero il potere. Già nel 1383 fu di nuovo estratto tra i Priori e nello stesso anno - non sappiamo se prima o dopo il priorato - fu inviato dalla Signoria presso il papa Urbano VI a perorare la causa del vescovo di Firenze Angelo Ricasoli, accusato di non aver preso una posizione sufficientemente chiara a favore del Papato romano nella lotta contro l'antipapa avignonese Clemente VII. Il G. fu incaricato di ambascerie per conto della Signoria almeno altre quattro volte, rispettivamente negli anni 1388, 1389, 1390 e 1391: in tutti questi casi il destinatario dell'ambasceria fu il signore di Pisa Pietro Gambacorta.
In quegli anni l'espansionismo visconteo minacciava sempre più concretamente Firenze, e Pisa era un nodo strategico-politico fondamentale, sia per l'ambizione del Gambacorta (peraltro sempre fedele alleato di Firenze) di porsi come ago della bilancia tra le due potenze rivali, sia soprattutto per la sotterranea politica filoviscontea del cancelliere degli Anziani Iacopo Appiani. Si trattava quindi di un terreno diplomaticamente molto delicato e la scelta del G. come ambasciatore depone a favore della considerazione in cui doveva esser tenuto dai suoi concittadini. Comunque, il risultato di queste ambascerie a Pisa non fu quello che si auspicava, soprattutto perché l'attività propagandistica di Iacopo Appiani aveva ormai fatto nascere in città un diffuso clima antifiorentino che neppure il Gambacorta riusciva a tenere completamente sotto controllo. In particolare, al termine della sua ultima missione diplomatica il G. fu catturato sulla via del ritorno da alcuni partigiani filoviscontei e liberato dopo una prigionia della quale non si conosce la durata.
Il G. rivestì anche altre cariche nell'ambito delle istituzioni e magistrature della Repubblica; fece infatti parte dei Sei di mercanzia tra la fine del 1387 e l'inizio del 1388, dei Dodici buonuomini subito dopo (dal maggio 1388) e dei Sedici gonfalonieri nel 1392. In particolare, proprio nell'ambito di quei Sedici gonfalonieri entrati in carica l'8 maggio 1392 il G. sembra essere stato uno dei membri più influenti, insieme con Bardo Bastari e Giovanni Rinaldeschi; nel periodo che va dal 9 maggio al 7 sett. 1392 i Sedici fecero sentire la loro voce nelle riunioni delle consulte per 66 volte e il portavoce prescelto in quasi la metà dei casi (27) fu proprio il Gucci.
Concentrata quasi tutta in uno dei periodi più cruciali della storia della Firenze repubblicana, la sua attività politica denota, nel complesso, una tendenza moderata: anche nei momenti più critici dei rapporti con Milano, quando la guerra sembrava ormai inevitabile, il G. non mancò mai di chiedere che si lasciasse aperto uno spiraglio per una possibile trattativa in extremis con il Visconti. Inoltre, l'endemico stato di belligeranza stava ormai fiaccando le capacità contributive del ceto mercantile ed egli mostrò di aver capito molto bene il pericolo; i suoi interventi nelle consulte e pratiche furono spesso caratterizzati dall'esortazione a non imporre nuove prestanze, proponendo anche soluzioni alternative, come il taglio degli interessi sul debito pubblico, la lotta all'evasione fiscale e la riduzione degli sprechi nella spesa pubblica.
Oltre che dall'attività di lanaiolo e dalla partecipazione alla vita politica cittadina, la vita del G. fu caratterizzata e segnata dal pellegrinaggio in Terrasanta compiuto fra l'agosto del 1384 e la fine di maggio del 1385. L'idea del viaggio nacque probabilmente all'interno di quel gruppo di personaggi che era solito riunirsi nel convento agostiniano di S. Spirito intorno al frate Luigi Marsili - vera e propria guida spirituale, culturale e spesso anche politica di una non trascurabile parte dell'élite fiorentina dell'epoca - e nel quale faceva spesso arrivare la propria voce anche un'altra eminente personalità come l'eremita Giovanni dalle Celle. Del cenacolo di S. Spirito erano assidui frequentatori Lionardo Frescobaldi e Guido Del Palagio, che furono probabilmente gli ideatori e organizzatori del viaggio, anche se il secondo dovette poi rinunciarvi per improrogabili impegni politico-diplomatici.
La comitiva che partì da Firenze era quindi formata dal G., dal Frescobaldi e da Andrea Rinuccini, ognuno dei quali viaggiava in compagnia di un famiglio; durante la lunga sosta a Venezia, in attesa dell'imbarco, si aggiunsero al gruppo altri tre fiorentini (Antonio di Paolo Mei, Simone Sigoli e il vinattiere Santi del Ricco) e un prete casentinese (Bartolomeo da Castelfocognano), che peraltro morì di malattia già nel corso del viaggio di andata durante lo scalo a Modone. Da allora in poi la comitiva viaggiò sempre unita e le spese del viaggio vennero affrontate con la costituzione di una sorta di cassa comune alla quale tutti contribuivano e che venne affidata proprio al Gucci. Si trattò di un pellegrinaggio assai lungo, che toccò non soltanto i luoghi santi di Palestina propriamente detti, ma iniziò anzi dall'Egitto, visitando Alessandria, Il Cairo e le piramidi, per proseguire poi verso il monastero di Santa Caterina al monte Sinai. In seguito i pellegrini si recarono a visitare Gerusalemme, con tappe a Betlemme e verso il Giordano, e risalirono poi attraverso la Galilea per imbarcarsi a Beirut. In questa ultima fase del viaggio fecero anche una deviazione per recarsi a Damasco, dove rimasero quasi tre mesi, anche perché proprio nella città siriana molti di loro caddero ammalati piuttosto gravemente; Santi del Ricco e Antonio di Paolo Mei si ristabilirono dopo una lunga convalescenza, Andrea Rinuccini fu invece meno fortunato e morì.
Di questa esperienza il G. - come pure il Frescobaldi e il Sigoli - lasciò un resoconto assai dettagliato e vivace, dal quale traspaiono con evidenza sia la devozione e la religiosità dell'autore sia la sua esperienza di mercante e di uomo d'affari, sempre attento alle caratteristiche dei luoghi visitati e delle merci incontrate sui loro mercati, non meno che al modo di vivere e alle abitudini dei loro abitanti; egli mostra una costante precisione nel riportare dati numerici come pesi, misure, prezzi, e, in particolare, è di grande interesse la minuziosa lista delle spese posta in calce al testo. Anche per quanto attiene alla sfera dell'incontro con i musulmani e i loro costumi, il G. - pur non immune da visioni preconcette tipiche del tempo - mostra quasi sempre una profonda curiosità, che lo spinge a descrivere piuttosto che a criticare, e anche l'eventuale disapprovazione o, talvolta, il disgusto sono spesso di ordine più estetico che etico. La figura del G. pellegrino-scrittore è stata efficacemente sintetizzata da Cardini (1982, p. 170) come: "una simpatica figura di popolano non colto ma intelligente, accorto, concreto, osservatore diffidente per quanto, tutto sommato, curioso e cordiale delle novità che gli cadono sotto gli occhi durante il viaggio".
Se nell'esperienza del viaggio ebbero forse la loro importanza anche motivazioni extra-religiose, certamente il pellegrinaggio in Terrasanta segnò la sua vita e fu oggetto di riflessione e meditazione anche in seguito, come dimostra una lettera a lui indirizzata da Giovanni dalle Celle qualche anno dopo il ritorno a Firenze (1389), nella quale è ripreso il tema dell'opposizione mistica al pellegrinaggio stesso.
Il resoconto del viaggio del G., insieme con quelli del Frescobaldi e del Sigoli, è stato edito per la prima volta a cura di C. Gargiolli, Viaggi in Terrasanta di Lionardo Frescobaldi e d'altri del secolo XIV, Firenze 1862. I tre testi, in traduzione inglese, sono apparsi a cura di B. Bagatti, A visit to the Holy Places of Egypt, Sinai, Palestine and Syria in 1384, Jerusalem 1948. L'edizione delle tre relazioni curata da Gargiolli (insieme col Libro d'Oltramare di Niccolò da Poggibonsi) è stata riproposta in Pellegrini scrittori.Viaggiatori toscani del Trecento in Terrasanta, a cura di A. Lanza - M. Troncarelli, Firenze 1990. Per la tradizione manoscritta cfr. Delfiol.
Il G. morì ancor giovane nella notte tra il 19 e il 20 ott. 1392 mentre tornava dal palazzo della Signoria, dove aveva con ogni probabilità partecipato a una riunione, anche se non risulta che in quel momento ricoprisse cariche pubbliche. Sulla strada di casa fu assalito e ucciso da due sicari pagati dal fratello Tommaso, in carcere alle Stinche per debiti già da alcuni anni.
I contorni della vicenda restano piuttosto oscuri, ma sembra che Tommaso incolpasse il padre e i fratelli - in particolare il G., che era il maggiore - di averlo fatto incarcerare, o quantomeno di non aver fatto quanto era in loro potere per farlo uscire di prigione. Essendo il padre Guccio ormai anziano - o forse già morto - Tommaso pensò quindi che l'eliminazione del fratello maggiore gli avrebbe consentito di convincere gli altri fratelli a compiere gli atti necessari a farlo scarcerare. Nonostante l'assassinio del G., il progetto fallì a causa di un delatore, che riferì come Tommaso ne fosse l'ideatore e mandante; questi fu quindi condannato a morte e decapitato il 17 genn. 1393. Nell'epilogo di questa vicenda è degno di nota il fatto che la piazza sembra aver preso chiaramente posizione in favore di Tommaso. Infatti, prima egli venne fatto fuggire lungo la strada che lo conduceva al patibolo e l'esecuzione poté avere luogo soltanto a sera inoltrata, quando la folla che aveva favorito la fuga si era ormai dispersa. In seguito, a decapitazione avvenuta e mentre il corpo veniva portato in chiesa per la funzione funebre, gli stessi incaricati del trasporto tentarono di gettarlo all'interno della casa paterna, col probabile intento simbolico di attribuire la colpa della sua morte ai parenti più stretti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Atti dell'esecutore, 1166, cc. 2v-35r; 1167, cc. 43v-44r; 1168, cc. 5r-10v; 1170, c. 55r; Catasto, 40, cc. 66r, 857r; Consulte e pratiche, 20, c. 149r; 25, c. 147r; 26, cc. 164r, 217r, 221v, 226r, 231v; 27, c. 137r; 28, cc. 159r, 166v; 29, passim; Dieci di balia, Legazioni e commissarie, 1, pp. 98 s., 179; Deliberazioni, condotte, stanziamenti, 3, cc. 109r, 169r; 4, cc. 27v, 29r, 94r, 163r, 219v; Lana, 20, c. 92v; 32, c. 22v; Libri fabarum, 43, c. 31r; Notarile antecosimiano, 20703 (Ugolino di Pieruzzo), c. 150v; Tratte, 194, cc. 106r e 201r; Tribunale di mercanzia, n. 4260, cc. 43v, 88v-89r; Firenze, Biblioteca nazionale, Magliab., XXV.401: F.L. Del Migliore, Zibaldone istorico undecimo, p. 1; XXVI.131: Id., Zibaldone genealogico primo, pp. 168, 219; Alle bocche della piazza. Diario di Anonimo fiorentino (1382-1401), a cura di A. Molho - F. Sznura, Firenze 1986, pp. 124, 146; Pellegrini scrittori…, 1990, cit., pp. 17, 24 s.; Giovanni dalle Celle - L. Marsili, Lettere, a cura di F. Giambonini, Firenze 1991, II, pp. 299-301; G.A. Brucker, Firenze nel Rinascimento, Firenze 1980, pp. 277-280; F. Cardini, Pellegrinaggi medievali in Terra Santa, in Riv. stor. italiana, XCIII (1981), 1, pp. 5-10; Id., I viaggi di religione, d'ambasceria e di mercatura, in Storia della società italiana, VII, La crisi del sistema comunale, 2, Milano 1982, pp. 157-200 passim (in partic. p. 170); R. Delfiol, Su alcuni problemi codicologico-testuali concernenti le relazioni di pellegrinaggio fiorentine del 1384, in Toscana e Terrasanta nel Medioevo, a cura di F. Cardini, Firenze 1982, pp. 139-176; G. Bartolini - F. Cardini, Nel nome di Dio facemmo vela. Viaggio in Oriente di un pellegrino medievale, Bari 1991, pp. 5-95 passim; Rep. fontium hist. Medii Aevi, V, p. 261.