GIULINI, Giorgio
Nacque a Milano, nella parrocchia di S. Giovanni sul Muro, il 30 genn. 1661, primogenito di Giuseppe, esponente del ramo della nobile famiglia detto di Gera, originario di Sorico, che, trasferitosi a Milano, ne aveva ottenuto la cittadinanza grazie anche al successo nell'esercizio dell'avvocatura, e di Livia Casanova, pure appartenente a una nota famiglia del Lario.
Secondo la tradizione familiare compì studi giuridici, e nel maggio 1681 si laureò in diritto a Parma (il padre si era invece addottorato a Pavia). Due anni più tardi, morto il padre, il G. dovette provvedere al sostentamento proprio e di dodici fratelli, ma la notorietà del genitore e la sua personale competenza giuridica contribuirono a segnalarlo alle autorità di governo locali, come dimostrano le scarne notizie su di lui in quel periodo.
Il 31 genn. 1697, infatti, il G. venne eletto dal Senato di Milano, insieme con G.M. Folli, arbitro nella controversia fra la Comunità di Valsassina e la famiglia Monti, feudataria del luogo; i due emisero un lodo nella causa, seppure non definitivo, il 13 febbraio dell'anno successivo. Inoltre, il 12 sett. 1697 il G. ricevette procura dal già governatore di Valtellina G. De Salis, con atto notarile rogato a Tirano, per richiedere la restituzione della dote costituita alla figlia del De Salis e l'autorizzazione a tal scopo di comparire in Senato. Questi e altri incarichi lodevolmente ricoperti furono certo fra i motivi della nomina, con diploma di Carlo II di Spagna del 17 febbr. 1699, interinato dal Senato di Milano il 9 aprile successivo, a uno dei vicariati generali dello Stato di Milano in sostituzione del defunto S. Corradi: all'entrata in carica il G. versò al Fisco, come prima parte della consueta tassa di mezz'annata, 140 reali di Castiglia, impegnandosi a corrispondere, come poi fece regolarmente, l'altra metà entro un anno. Il 30 dicembre dello stesso anno fu ammesso a far parte del Collegio dei giureconsulti di Como; nel marzo successivo fu incaricato, come collegiato, di recarsi a Milano per fare interinare dal Senato il privilegio, concesso qualche anno prima da Innocenzo XI, che consentiva ai membri del Collegio di fregiarsi di una particolare medaglia. La missione, nonostante numerose opposizioni e resistenze che la resero più lunga del previsto, ebbe buon esito, e dopo l'interinazione, rilasciata il 19 maggio 1701, il G. ricevette dai colleghi di Como 20 filippi e l'onore di ornarsi di un esemplare della medaglia.
Nel frattempo la morte di Carlo II aprì la guerra di successione spagnola; il 25 giugno 1701, su invito del governatore e capitano generale dello Stato di Milano Carlo Enrico di Lorena-Vaudémont, il G., quale vicario generale, prestava, come tutti i principali funzionari, il consueto giuramento di fedeltà al nuovo re, Filippo V di Borbone.
Durante gli ultimi anni del dominio spagnolo il G. ricoprì altri due incarichi di un certo rilievo. Fra il dicembre 1702 e i primi mesi del 1703 fu impegnato nella difesa dei diritti di Varese, che rivendicava la propria autonomia contro l'infeudazione al genovese G.L. Spinola, duca di San Pietro, decisa dal nuovo sovrano: la causa, lungamente dibattuta a Milano e in Spagna, terminò nell'estate 1703, quando Filippo V ritornò sui suoi passi e annullò il provvedimento. Il 22 marzo 1705, invece, ancora come vicario generale, il G. ebbe l'ordine di perlustrare ogni notte il quartiere di Porta Comasina, per vigilare sulla situazione divenuta critica per le continue ruberie e liti che accadevano in Milano.
La conquista del Ducato di Milano da parte degli Asburgo d'Austria non emarginò il già sperimentato funzionario, che anzi si allineò, pare senza alcun problema, al nuovo governo: nel marzo 1707, su invito di Eugenio di Savoia, il vittorioso conquistatore della Lombardia, il G. prestò infatti un nuovo giuramento di fedeltà a Carlo III d'Asburgo, re di Spagna, mentre il 1° genn. 1708, da Barcellona, con privilegio solenne interinato dal Senato di Milano il 29 febbraio, il nuovo sovrano lo nominò avvocato fiscale del Ducato: per l'ufficio, forse ottenuto per intercessione dello stesso principe Eugenio, il G. versò come tassa complessiva di mezz'annata la somma di 1734 lire.
Al successo professionale il G. seppe unire l'incremento e la gestione oculata del patrimonio familiare. Sposata Laura Alippi, di una famiglia di Mandello, dalla quale ebbe nove figli (a lei, dopo la scomparsa del marito, cui sopravvisse fino al 1737, Carlo VI accordò una pensione di 350 ducati), nel 1703 il G. aveva ottenuto da Clemente XI per sé e gli eredi il giuspatronato della chiesa collegiata di S. Stefano di Sorico, che aveva restaurato con il fratello Faustino, celebre professore di diritto nell'Università di Pavia; nel 1713 acquistò le miniere di ferro di Dongo, tenute poi dalla famiglia fino alla fine del XVIII secolo, costruendovi edifici e risollevandole da uno stato di decadenza. Edificò un palazzo nella contrada di S. Nazaro alla Pietrasanta, dove la famiglia fissò poi stabilmente la propria dimora, restaurò la villa di S. Martino in Arcore e iniziò la costruzione di una nuova villa in Sorico; si dilettò anche di antichità, formando nel proprio palazzo una raccolta di iscrizioni e cimeli.
Nel 1708 iniziarono a Milano i negoziati per l'esecuzione del trattato di Torino, che fin dal novembre 1703 aveva assicurato al duca di Savoia, per il passaggio dallo schieramento franco-spagnolo a quello imperiale, l'acquisto dei vasti territori dell'Alessandrino, della Valsesia, della Lomellina e, con un articolo segreto, del Vigevanasco o di un territorio di valore equivalente da determinare in seguito. Alle discussioni, aperte il 21 aprile fra la delegazione sabauda e quella imperiale e continuate senza esito apprezzabile fino all'estate del 1709, prese parte come membro della seconda anche il G., che fin dall'inizio si mostrò il portavoce più convinto della maggioranza dell'opinione pubblica lombarda, nettamente contraria allo smembramento di porzioni rilevanti ed economicamente vitali dello Stato.
In questa prima fase delle trattative il G., con gli altri plenipotenziari imperiali (il presidente del magistrato straordinario, I. Alvarez, e il podestà di Pavia O. Bazetta), fu ripetutamente accusato dagli interlocutori sabaudi di adottare una politica temporeggiatrice; effettivamente prima la richiesta da parte imperiale di eleggere un collegio di periti per determinare l'estensione dei territori in questione, poi il passaggio a Milano, nel giugno 1708, di Elisabetta Cristina di Brunswick, sposa di Carlo III, differirono la risoluzione definitiva. A nulla valse l'arrivo in città, nell'estate 1709, di due ulteriori inviati imperiali giunti appositamente per accordarsi con i tre rappresentanti del Ducato, tanto che il duca di Savoia incaricò il proprio ambasciatore a Vienna di protestare per la cavillosità dei negoziati. Il G. comunque indirizzò nell'occasione un memoriale all'imperatore in cui ribadiva la convinzione della inopportunità di smembrare il Vigevanasco o il Novarese, secondo lui sostituibili eventualmente con altri territori nel Finalese, nel contado di Bobbio, nella Val d'Ossola. Il 3 nov. 1711, durante la lunga pausa dei negoziati, il G. fu ricompensato per i suoi servizi dal nuovo imperatore Carlo VI, in visita a Milano, con l'ufficio di senatore, per il quale versò in due rate, come tassa di mezz'annata, 3544 lire; nel dicembre dello stesso anno fu poi ammesso fra i decurioni di Como.
Nel gennaio 1712, sotto pressione inglese, ripresero a Milano le conferenze diplomatiche per l'esecuzione del trattato di Torino. Il G., ancora una volta con il Bazetta, faceva parte della delegazione imperiale: questa volta però le potenze alleate, per facilitare l'intesa fra le parti, avevano inviato due compromissari, l'inglese A. Stanyman e l'olandese A. Van Der Meer, incaricati di ascoltare separatamente le due delegazioni e di emettere la sentenza definitiva.
Anche in questa seconda fase delle trattative il G. e il Bazetta si adoperarono per ridurre al minimo lo smembramento del Ducato, cercando di prolungare la contesa escludendo ora questo ora quel territorio e sollevando numerose obiezioni giuridico-procedurali: in particolare i due rappresentanti imperiali lamentarono, nelle lettere a Vienna, l'eccessiva familiarità fra il compromissario olandese e i due ambasciatori sabaudi e l'inopportunità di una sentenza troppo affrettata. Un giustificato allarme aveva suscitato poi l'arrivo a Milano, nel maggio, d'un nuovo emissario sabaudo; per bilanciare la sua azione fu chiesto a Vienna l'invio in Lombardia di una figura importante.
La sentenza arbitrale, dopo mesi di discussioni, fu emessa il 27 giugno 1712 in senso completamente favorevole al duca di Savoia: fu specificato che, oltre a tutte le terre fra Alessandria, la Lomellina e la Valsesia, doveva considerarsi compreso nei termini del trattato Vigevano con il suo contado e che il reddito del territorio eventualmente sostituito doveva essere perfettamente identico a quello di quel circondario. Nella notte del 28 giugno, nella dimora del G., i due rappresentanti imperiali, fortemente addolorati, fecero rogare un pubblico atto di protesta nel quale accusavano di parzialità l'operato degli arbitri: l'atto fu però inutile, perché i compromissari, offesi, si rifiutarono di accogliere le riserve e accusarono i due rappresentanti imperiali - e in particolare il G. - di troppa sottigliezza, lamentando, al solito, l'eccessiva lunghezza delle discussioni. Il remissivo atteggiamento dell'imperatore, al quale i due ambasciatori si erano appellati, e le insistenze della regina Anna d'Inghilterra contribuirono all'attuazione della sentenza arbitrale, confermata l'anno successivo nel trattato di Utrecht.
La fama del G. si era comunque notevolmente accresciuta: il 21 dic. 1712 il Senato di Milano gli conferì la cittadinanza, e il 26 febbr. 1716 Eugenio di Savoia, a nome di Carlo VI, lo nominò per un biennio podestà di Pavia, ufficio che esercitò con perizia e giustizia, tanto da meritare dai Pavesi un'iscrizione commemorativa e un attestato di riconoscenza. Infine, il 9 dic. 1716, da Vienna, Carlo VI gli assegnò, con privilegio solenne interinato dal Senato il 30 dicembre, il titolo di conte con diritto al primo feudo vacante comprendente almeno 50 fuochi. Va rammentata inoltre, per meglio delineare il suo prestigio, la corrispondenza intrattenuta fra il 1714 e il 1720 con Cosimo III de' Medici e con Francesco Maria Farnese. Negli ultimi anni il G., oltre all'ufficio di senatore, fu chiamato a svolgere di tanto in tanto altri incarichi onorifici: nel 1723 fu presidente del magistrato della Sanità di Milano (in tale veste con un decreto del 6 ottobre di quell'anno vietò l'introduzione di bovini nel Milanese); nell'aprile dello stesso anno riferì in Senato sulla causa, relativa alla pretesa immunità ecclesiastica dell'ente ospedaliero, fra l'ospedale Maggiore e il governo. Infine nell'aprile 1726 un dispaccio dell'imperatore gli ordinò di esaminare il testo del Concilio Romano tenuto da Benedetto XIII, onde assicurarsi che non contenesse violazioni dei diritti imperiali sulle terre asburgiche: il G., che sull'argomento lasciò le Observationes ad concilium provinciale Romanum, oggi non rinvenibili, si dedicò all'opera con molto zelo ma si ammalò prima di portare a termine il compito.
Morì a Milano il 28 ag. 1727 e fu sepolto nella chiesa dei cappuccini nei pressi di porta Orientale.
Nel testamento, rogato il 6 agosto, il G. istituì una primogenitura perpetua sulla terza parte dei suoi beni a favore del figlio Giuseppe e dei suoi discendenti maschi, mentre per gli altri beni fece eredi in parti uguali lo stesso Giuseppe, un altro figlio, Giovanni, e la moglie. Tra i figli il primogenito Giuseppe fu dottore collegiato di Como, vicario del padre nella podesteria di Pavia nel 1716-17, podestà di Varese nel 1722-23 e lettore di diritto nell'Università di Pavia dal 1723 al 1735; Faustino entrò tra i cappuccini e Giovanni divenne abate.
Fonti e Bibl.: La maggior parte delle notizie documentarie sulla famiglia e il G. si rinvengono nell'archivio gentilizio, depositato nel 1973, con quello della famiglia Crivelli nel quale era confluito verso il 1873, nell'Archivio di Stato di Milano. Arch. di Stato di Milano, Archivio Giulini, Araldica, cart. 8, ff. 8-9; Benefici, cappellanie, messe, cart. 7, f. 3; Eredità famiglie diverse, cartt. I-II; Collezione autografi, cart. 132, f. 9; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 688-690; L. Brambilla, Varese e suo circondario, I, Varese 1874, pp. 250 s.; C. Poggi, Curiosità comasche, Como 1888, pp. 119-122; A. Giulini, Notizie intorno alla famiglia Giulini. Memorie inedite dell'istoriografo conte Giorgio Giulini, in Periodico della Soc. storica comense, XVIII (1908-09), pp. 131, 135-141; Id., Le conferenze diplomatiche di Milano per l'esecuzione del trattato di Torino del 1703, in Arch. stor. lombardo, XL (1913), 1, pp. 181-207; P. Pecchiai, Le visite pastorali all'ospedale Maggiore di Milano e una controversia storica fra Stato e Chiesa, Milano 1914, p. 23; A. Giulini, Note biografiche di G. G., in Nel secondo centenario della nascita del conte Giorgio Giulini istoriografo milanese, a cura del Comune di Milano, I, Milano 1916, pp. 8-11; Id., Per la storia delle miniere lombarde, in Arch. stor. lombardo, XLVII (1920), pp. 591 s.; A. Orlandi, Immunità e privilegi della Valsassina, ibid., L (1923), pp. 356, 385 s.; A. Giulini, I genitori di Maria Teresa a Milano nel 1711 e 1713. Da diarii inediti dell'epoca, ibid., LX (1933), p. 139; C. Manaresi, La famiglia Giulini, Milano 1938, pp. 33, 112-115, 159-161, 165 s.; A. Annoni, Gli inizi della dominazione austriaca, in Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 44 s., 51 s.; G. Garancini, La corte d'estate, in Varese. Vicende e protagonisti, a cura di S. Colombo, II, Bologna 1977, pp. 239 s.; F. Arese, Le supreme cariche del Ducato di Milano e della Lombardia austriaca 1706-1796, in Arch. stor. lombardo, CV-CVI (1979-80), pp. 557, 573.