GIORGI, Giorgio
Nacque a Firenze il 16 sett. 1836. Conseguita la laurea in giurisprudenza a Siena nel 1856, si dedicò all'attività forense. Nel 1864 entrò in magistratura e fu giudice a Lucca, presidente del tribunale civile e correzionale di Avellino (1877), poi, dal 1881, consigliere della corte d'appello di Palermo. L'8 luglio 1883 divenne consigliere di Stato e il 9 nov. 1896 presidente di sezione (presiedette la IV sezione, succedendo a Silvio Spaventa e a F.S. Bianchi).
Oltre e più che esponente di spicco della magistratura, il G. fu un giurista le cui opere si caratterizzano per ampiezza, complessità e sistematicità, a partire dai nove volumi della sua Teoria delle obbligazioni, la cui prima edizione fu pubblicata a partire dal 1876 (Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano esposta con la scorta della dottrina e della giurisprudenza, Firenze 1876-87). L'opera, che godette di particolare fortuna, esprime la profonda ricchezza della formazione di privatista del G., sensibile alle suggestioni della pandettistica, verso cui lo spingeva la solida cultura romanistica, e al contempo aperto all'influenza della civilistica francese.
Seguì, a tredici anni di distanza e sempre per un editore fiorentino, il primo dei sei volumi della Dottrina delle persone giuridiche o corpi morali esposta con speciale considerazione del diritto moderno italiano (1889-1902), opera che conobbe una fortuna durevole e che incise profondamente sull'interpretazione che la cultura giuridica italiana dette, fra Otto e Novecento, del concetto di persona giuridica. Il tema stesso è al centro di un insieme molto più ampio di riflessioni sul rapporto fra Stato e società civile, sulla configurazione istituzionale dei pubblici poteri e sulla loro stessa legittimità.
Con i sei volumi di questa sua opera, quindi, il G. si dimostra giurista attentissimo alle trasformazioni dello Stato e della società più caratteristiche del suo tempo.
Di fronte all'emersione di enti collettivi che operano nella società egli è pienamente consapevole della necessità di superare le categorie giuridiche dell'ortodossia liberale per le quali la sfera del diritto pubblico è nettamente separata da quella del privato e riguarda solo lo Stato e gli enti territoriali previsti dalle leggi, rimanendo estranea a principî e istituti privatistici. Già nel Proemio il G. dichiara: "la dottrina delle persone giuridiche ha dunque per guida le leggi del diritto privato, in quanto esamina rapporti che al diritto privato appartengono: rapporti di mio e di tuo, di proprietà cioè e di obbligazione fra enti ed enti collettivi, oppure fra enti collettivi da uno e da individui da un altro canto". Ma per quel che concerne il "modo specialissimo" in cui, "con norme juris singularis", un ente collettivo esercita i suoi diritti, "la dottrina della personalità giuridica tocca veramente il diritto pubblico". Infatti tra individui le regole del diritto "si conformano come a sommo principio alla norma di parità", e quando l'ente collettivo si comporta iure privatorum, ponendo in essere rapporti giuridici con l'individuo, quasi "si rimpiccolisce" a "cittadino privato": "ma non sparisce per questo la sua natura di ente collettivo, che in sé raggruppa e concentra una somma or maggiore or minore di interessi individuali".
È proprio questo "raggruppamento di interessi privati" che li "converte in pubblici, e ne innalza il valore di tanto, di quanto la ragion pubblica sovrasta alla privata". Per questa "preponderanza" dell'"utile pubblico" sul privato "nell'esercizio jurium privatorum delle collettività", cioè per "la ragione di convenienza", si determinano quegli iura singularia i quali altro non sono che "consacrazione del legittimo predominio del pubblico sul privato interesse".
Ma questo non è l'unico aspetto attraverso cui si manifesta "l'intervento del diritto pubblico" nella vita degli enti collettivi: vanno anche considerate le condizioni per cui un ente "può acquistare il carattere di persona giuridica per muoversi nel campo della gestione patrimoniale". Da questo punto di vista il G., ben differenziandosi dall'impostazione di V.E. Orlando, ritiene imprescindibile un rapporto fra discipline giuridiche e sociologiche: "il ricercare quali sono gli enti collettivi, che secondo ragione possono godere di questa prerogativa, si può forse conoscere senza chiedere aiuto alla sociologia? Il gius positivo ci potrà far conoscere le regole stabilite dal legislatore per il riconoscimento o l'erezione della persona giuridica: non i criteri da cui fu mosso il legislatore, o deve essere guidato il pubblico potere entro i confini di quell'arbitrio che deve essergli lasciato". Solo una "scienza superiore", ovvero una prospettiva che, più tardi, si sarebbe detta metagiuridica, può dire "se e quali colleganze di pubblica utilità siano da aggiungersi a quelle politiche, necessarie allo Stato, al Comune, per soddisfare certe funzioni che hanno necessità di muoversi nel campo del giure patrimoniale".
Il vero punto di partenza, a parere del G., non può che essere la definizione di quel che va inteso come "funzioni o servigi sociali", che non sono solo "il governo politico e la giustizia, ma anche la cultura, la carità, nel più vasto senso della parola, dalla elemosina di danaro sino alla educazione e all'istruzione". Ma nella categoria delle "funzioni o servigi sociali" vanno anche incluse "le pratiche del culto, le chiese, ed ogni specie di comunanze attendenti a esternare il sentimento religioso: giacché la religione, oltre che al sollievo delle anime, concorre potentemente alla conservazione sociale"; come pure "funzioni o servigi sociali sono le aggregazioni benefiche e profittevoli, che hanno in mira la virtù, il traffico, le industrie, le opere di utilità pubblica o di prosperità comune", e quindi "le opere pie, gli spedali, cioè gli ospizi, gli asili, gli orfanotrofi e generalmente ogni istituto di carità e misericordia civile"; "le università, gli atenei, i collegi per l'istruzione della gioventù: le accademie ben costituite che agevolano la diffusione del sapere fra i dotti"; "le società e le compagnie di commercio, di navigazione, di arti e d'industrie, che anche attendendo al lucro alimentano ogni maniera d'intraprese giovevoli"; "le società cooperative e di mutuo soccorso, le casse di risparmio, che assistono le classi lavoratrici e bisognose"; "le banche e gli istituti di credito, che alimentano la ricchezza materiale, nerbo indispensabile di ogni colleganza d'uomini, che voglia vivere nel mondo"; e infine "i clubs, le società ricreative e ginnastiche, [che] se contenute nei giusti confini contribuiscono all'educazione morale o fisica del popolo" (pp. 11-14).
Si trattava di una declinazione del concetto di persona giuridica che non soltanto lo poneva al centro dei rapporti fra poteri pubblici e società civile, ma era evidentemente incline a valorizzarne le implicazioni pubblicistiche. Naturalmente era una prospettiva che, quando il G. scriveva, aveva già solide basi nella cultura giuridica italiana, ma che, soprattutto, era destinata ad affermarsi anche in seguito, anzitutto nel corso dell'età giolittiana. In questo senso occorre pensare a un saggio del 1919 di Carlo F. Ferraris sul concetto di "persona morale di diritto pubblico", che ne offre una definizione fortemente estensiva (C.F. Ferraris, La classificazione delle persone morali di diritto pubblico, in Riv. di diritto pubblico, VI [1919], pp. 433-484).
Il G. stesso, peraltro, procedette per primo a una classificazione delle persone giuridiche, prendendole in esame nella Parte speciale della sua opera, che comprende i voll. II-VI.
La sua classificazione parte dallo Stato, i Comuni e le Province; si occupa poi delle "istituzioni di pubblica utilità, da quelle di beneficenza, che occupano un posto notevolissimo nella recente legislazione, alle istituzioni scolastiche, a quelle di credito, di risparmio e di previdenza: ai consorzi amministrativi, e alle altre collettività di pubblico interesse, disciplinate da leggi speciali"; seguono "le istituzioni e le associazioni di culto, cattoliche ed acattoliche", che compiono l'esame della "grande categoria di enti morali" i quali, sebbene non abbiano natura politica e non siano "parti dell'ordinamento governativo in senso stretto, partecipano per altro in modo visibile alla vita pubblica amministrativa del paese"; infine, la Parte speciale "dovrà intrattenersi sulle società, sui sodalizi, e sulle istituzioni coordinate principalmente ad interessi privati, siano scopi di lucro, siano fini di carattere più elevato, attinenti solo indirettamente alla pubblica utilità" (I, pp. 15 s.): principalmente, le società di commercio (VI, pp. 327 ss.), le società cooperative (ibid., pp. 427 ss.), le società di mutuo soccorso (ibid., pp. 447 ss.), le associazioni di mutua assicurazione (ibid., pp. 460 ss.) e così via.
Il 21 nov. 1892 il G. fu nominato senatore e fece a lungo parte, tra l'altro, della commissione permanente d'accusa dell'Alta Corte di giustizia. Il 19 apr. 1907 divenne presidente del Consiglio di Stato. Fu collocato a riposo per limiti d'età il 16 sett. 1911.
Il G. morì a Roma il 20 febbr. 1915.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Min. di Grazia e Giustizia, Fascicoli personali magistrati, f. 26.729; necr.: A. Ascoli, in Foro italiano, XL (1915), con elenco delle principali note del G. pubblicate nella medesima rivista; C. Zoli, Cenni biografici dei componenti la magistratura del Consiglio di Stato (1831-1931). Appendice, in IlConsiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, III, Roma 1932; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale…, Roma 1896, p. 1018.