FRANCHI, Giorgio
Nacque a Berceto, nell'Appennino Parmense, nei primi anni del sec. XVI, giacché nel 1530 lo vediamo ottenere il beneficio di S. Rocco "positi in Burgo Campi extra moenia Terrae Berceti Parmensis Diocesis" (Boselli, 1905, p. 8). Ritroviamo il F. citato in un documento ufficiale del 1546, in cui monsignor Ettore dei conti Rossi, eletto prevosto di Berceto, lo nomina suo viceprevosto. Tale situazione pare non modificarsi fino al luglio del 1552, quando il conte Troilo Rossi - potente locale - inviò lo zio monsignor Ettore a Treviso, a causa di qualche non precisato screzio.
Il F. continuò a guidare la parrocchia di Berceto fino al 1553: a questa data si ha notizia del suo allontanamento dalla canonica, dovuto probabilmente alla fedeltà che lo legava a monsignor Ettore e alla simpatia dimostrata verso il duca Ottavio Farnese, inviso al conte Troilo (Grisenti, p. 130). Il F. venne trasferito a Roccaprebalza, borgo poco distante da Berceto: qui ebbe un figlio da una sua domestica che battezzò Broccardo (Boselli, 1905, p. 9). Costui avrebbe invano tentato di prendere possesso del beneficio paterno alla morte del F., avvenuta, presumibilmente a Roccaprebalza, intorno al 1584.
Il F. deve la propria fama a un'unica opera, una Cronaca, che narra la vita quotidiana della piccola comunità bercetana e gli eventi politici di più ampia portata che ebbero riflesso su di essa.
Per comprendere appieno il senso e l'importanza della Cronaca del F. è necessario rifarsi alla particolare congiuntura storico-politica nella quale venne a trovarsi in quegli anni il Ducato di Parma e Piacenza e, più in particolare, Berceto che, se nel Cinquecento aveva ormai perso l'importanza religiosa e commerciale dei secoli precedenti, manteneva tuttavia quella politica: proprio nel periodo in cui il F. scrive (1544-1557), infatti, l'istituzione del Ducato di Parma e Piacenza suscitò l'attenzione di alcuni fra i più noti personaggi politici europei - da Carlo V al papa al re di Francia - su questa zona.
L'opera è conservata nel manoscritto Parmense 1184 della Biblioteca palatina di Parma, in un codice miscellaneo cartaceo legato in cartone, composto di tre fascicoli di uguale formato del sec. XVI. Il fascicolo della Cronaca è acefalo, e il ms. lo segna come Cronaca parmigiana in volgare, contemporanea, dal 1543 al 1557; mutila nel principio e nella fine. Si possiedono tre epitomi del codice: il ms. Parmense 963 - settecentesco - e i mss. 915 e 462, che da esso discendono. Il manoscritto, dopo essere stato custodito nell'Archivio parrocchiale di Berceto, venne portato a San Secondo, per essere poi trasferito, nel corso dell'Ottocento, nella Biblioteca palatina. Già Micheli (pp. 4 s.) aveva notato che il testo doveva essere stato scritto in epoche diverse, come si desume dal concatenamento degli eventi, ma da una stessa mano con inchiostri differenti. Dalla successione dei fatti si capisce che la Cronaca inizia nel 1544 e non nel 1543, come invece attesta una correzione di diversa mano sul manoscritto; tale correzione deve considerarsi comunque abbastanza antica, in quanto così lesse Flaminio da Parma che lo esaminò intorno al 1760-61.
Il F. non ha alcun intento letterario o di critica storica: egli si propone di registrare gli eventi di cui è diretto testimone, quelli di cui gli giunge notizia sia da Parma sia dal resto d'Italia. Per quel che riguarda la vita quotidiana di Berceto, il F. sembra essere stimolato a narrare quelle vicende che più esulano dalla normalità e dietro alle quali scorge sempre il disegno ineluttabile della divina provvidenza. Che l'atteggiamento mentale (ma, come vedremo, anche l'approccio stilistico del F.) trascini con sé una pesante eredità medievale non dev'essere imputato esclusivamente alla sua personalità, o a una sua scelta specifica, ma anche alla particolare situazione storico-sociale di Berceto, in cui alcuni personaggi - i conti Rossi, il marchese Ermes Pallavicino, i conti Fieschi di Calestano - imponevano alla popolazione tasse gravose e sempre crescenti, in un clima ancora palesemente feudale. L'atteggiamento del F. nei confronti dei feudatari è conciliante, ma la sua simpatia va visibilmente - anche se attraverso moduli stereotipati - alla popolazione, di cui comprende le sofferenze e gli stenti.
Egli descrive con più attenzione quei fatti nei quali si sente più profondamente coinvolto o che maggiormente lo impressionano, come si comprende dalla diseguale distribuzione diacronica, per cui alcuni anni subiscono una trattazione molto più accurata di altri (Petrolini, 1980, p. 28). È questo il caso degli anni 1551-52, che videro la regione sconvolta dalla guerra, la cui descrizione occupa per intero la parte centrale della Cronaca. All'origine dei dissidi che portarono al conflitto era la proclamazione da parte di papa Paolo III di suo figlio Pier Luigi Farnese a duca di Parma e Piacenza (agosto 1545). Tale nomina innestò una spirale di violenza. Pier Luigi infatti, non solo si trovò a fronteggiare l'ostilità palese dei feudatari locali, esacerbati dai suoi provvedimenti volti a limitarne i soprusi politici ed economici (fra cui un censimento della popolazione affinché i gravami fiscali fossero equamente distribuiti), ma anche quella di Carlo V che, se rivendicava il possesso di Parma e Piacenza - in quanto facenti parte del Ducato di Milano che si era già annesso - avrebbe preferito come duca Ottavio Farnese, figlio di Pier Luigi, che nel 1538 era diventato suo genero sposando la figlia Margherita.
Dopo l'assassinio di Pier Luigi (settembre 1547) e il tentativo fallito di Paolo III di porre il Ducato sotto la diretta dipendenza della S. Sede, la tensione crebbe vieppiù fino allo scoppio della guerra (maggio 1551) che vide fronteggiarsi da una parte la Spagna con il papa, che contava l'appoggio dei feudatari locali, e dall'altra Ottavio Farnese con la Francia. Il F. comprese tutta la gravità della situazione, e pur nella frammentarietà della narrazione tipica di chi non è diretto testimone degli eventi, tentò di restituire un quadro dei fatti salienti. Ma anche dietro la tragica concretezza della guerra il F. non tarda a scorgere un disegno imperscrutabile e ineluttabile, e ciò fa sì che egli assista ai fatti con scarsa partecipazione, almeno fin quando la guerra non giunge a Berceto. A quel punto si sente direttamente coinvolto e la sua neutralità si incrina: parteggia per il duca Ottavio, più che per i feudatari locali, e descrive con riprovazione le terribili scorrerie compiute dagli Spagnoli e dalle truppe papali (giugno 1551). Nel gennaio del '52 le sorti della guerra cominciano a volgere chiaramente a favore del duca Ottavio, mentre le truppe spagnole e papali collezionano sconfitte su sconfitte, e nei mesi seguenti si giunge alla sottoscrizione di due tregue separate, firmate alla fine dell'aprile del 1552: una fra il Papato e la Francia, e una fra quest'ultima e la Spagna, di cui il F. ci informa con una certa precisione (c. 81rv).
Ma di là dal suo valore di testimonianza storica, l'interesse precipuo dell'opera consiste nella sua arretratezza linguistica. L'italiano del Cinquecento, infatti, presenta una generale omogeneità, sia al livello alto, letterario, che al livello di scriptae cancelleresche. La scrittura del F. invece, è semidialettale e ancorata a stilemi cronachistici dei secoli precedenti, in cui gli eventi e le frasi formularie che li introducono si susseguono con un ordine rigido, iterativo, che non lascia spazio alcuno all'andamento letterario del testo. Inoltre il continuo rimando alla localizzazione temporale degli eventi (in alcuni casi il F. giunge a dare persino l'ora in cui si è svolto un fatto), contribuisce a dare l'impressione che la Cronaca sia piuttosto un calendario, e che in questo insistere continuo sul tempo ci sia qualcosa di sacrale (Petrolini, 1980, p. 24).
La Cronaca è stata recentemente edita da G. Bertozzi col titolo Poveri homini. Cronaca parmense del secolo XVI, 1543-1557 (Roma 1976) e da G. Petrolini, col titolo Nove. Diario di un paese dell'Appennino (Parma 1980).Entrambe le edizioni accanto all'originale forniscono una traduzione in italiano moderno.
Fonti e Bibl.: Flaminio da Parma, Mem. stor. delle chiese, e dei conventidei frati minori dell'osservante e riformata provincia di Bologna, II, Parma 1761, pp. 23, 35; A. Boselli, Testi dialettali parmensi, Parma 1905, pp. 8 s., 34-40; Id., Una cronacasemidialettale del sec. XVI, ibid. 1908; G. Micheli, La cronaca bercetana didon G. F., Parma 1930; G. Petrolini, Un esempio d'"italiano" non letterario del pieno Cinquecento, in L'Italia dialettale, XLIV (1981), pp. 21-116.