EMO CAPODILISTA, Giorgio
Nacque a Padova l'8 giugno 1864, di famiglia patrizia veneta sorta dall'unione (avvenuta nel 1783) degli antichi casati degli Emo di Venezia e dei Capodilista di Padova. La famiglia acquisi nel 1819, per decreto di Francesco I, il titolo di conte dell'Impero. L'E. fu il primogenito di cinque figli nati da Giovanni, distintosi come membro del comitato veronese per la liberazione di Venezia nel 1865.66, e da Maria De Orestis. Dopo gli studi liceali, nel 1882 si iscrisse alla Regia Scuola militare di Modena. Superati gli esami, fu assegnato come sottotenente al 13º reggimento cavalleria "Monferrato".
Nell'arma di cavalleria l'E. prosegui regolarmente la carriera militare. Nel marzo 1898, col grado di capitano, fu inserito nel 70 reggimento "Lancieri di Milano". Scoppiati il 6 maggio i moti popolari contro il caroviveri, l'E. ebbe l'incarico di condurre, nella zona di porta Monforte, la repressione contro i rivoltosi decisa dal gen. F. Bava Beccaris, che aveva assunto, il 7, i poteri di regio commissario straordinario.
Ma il giovane capitano, convinto di dover compiere solo alcuni arresti, rimase sconvolto quando le artiglierie cominciarono, per ordine dei Bava Beccaris, a sparare sulla folla. Nonostante la nomina di cavaliere dell'Ordine della Corona ricevuta per l'azione condotta durante la rivolta, l'E. non nascose mai le proprie riserve verso metodi drastici simili a quelli adottati.
Nel 1906 l'E. fu trasferito alla Scuola di cavalleria di Pinerolo, nel ruolo di aiutante maggiore in prima. Promosso al grado di maggiore nel maggio 1909, prestò servizio successivamente nei reggimenti "Lancieri di Firenze" (i 909), di Vercelli (1909-1913) e di Milano, dove nel 1913 raggiunse il grado di tenente colonnello.
Come tale e successivamente col grado di colonnello, l'E. tenne dall'aprile 1915 il comando del 4º reggimento di cavalleria "Genova", che, inquadrato nella 1ª divisione di cavalleria del Friuli, il 24 maggio fu mobilitato verso i territori di confine, a nord di Palmanova. Per la carriera dell'E. l'affidamento del comando dei dragoni del "Genova", reggimento dal passato prestigioso e ricco di famose imprese, rappresentava senza dubbio un segnale positivo.
Per un lungo periodo comunque la guerra di posizione impedi il classico impiego della cavalleria in campo aperto e l'arma fu costretta spesso ad agire in funzione ausiliaria delle altre armi, o appiedata a fianco delle truppe in trincea, o aggregata in reparti di mitraglieri e bombardieri. Dopo un esordio di inconcludenti azioni di pattugliamento, il reggimento "Genova" fu addestrato, a partire dal febbraio 1916, per il combattimento a piedi. Trascorsi alcuni mesi i dragoni avevano raggiunto un grado sufficiente di preparazione per affrontare un'importante azione congiunta con le truppe di fanteria.
Tra il 14 e il 16 settembre il reggimento, riunito in una colonna con il III battaglione e con la 3 compagnia del 22º fanteria agli ordini del colonnello E., costitui il nucleo centrale dell'attacco vittorioso alla quota 144 del Carso. Per il successo ottenuto l'E. fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare e venne iscritto nel quadro di avanzamento al grado di maggiore generale. La promozione giunse il 13 aprile dell'anno successivo con l'assegnazione del comando della II brigata di cavalleria, comprendente i dragoni del "Genova" e i lancieri del "Novara".
Alla fine dell'ottobre del 1917, durante il ripiegamento dall'Isonzo al Piave, determinato dall'offensiva austriaca di Caporetto, la brigata del generale E. si trovava presso Treviso.
Il 24 ottobre giunse dal comando supremo l'ordine alle divisioni di cavalleria di recarsi nella zona del fronte per ritardare, arginandola, l'avanzata nemica. Per tale occasione le batterie sarebbero state rimontate a cavallo in vista della loro classica utilizzazione nelle cariche frontali. Gli Austriaci avevano già battuto la 2a armata che si stava ritirando e che aveva cosi lasciato aperto il fianco destro dello schieramento italiano e adesso minacciavano di travolgere anche le forze della 3ª armata. Il difficilissimo compito che il 29 ottobre venne affidato alla II brigata consisteva nel raggiungere Pozzuolo del Friuli e difenderla a ogni costo per almeno ventiquattro ore contro gli Austriaci che avanzavano da Udine, in modo da far guadagnare alle divisioni in ritirata il tempo necessario per attraversare il Tagliamento.
Prima di partire l'E. si era consultato con il generale E. Caviglia, maturando con lui il convincimento che, nonostante la brigata rischiasse un probabile sacrificio, il passo fosse assolutamente necessario.
L'avanzamento della II brigata fu ostacolato dalle truppe in ritirata che marciavano in senso inverso; a ciò si aggiungeva l'influenza negativa che tale spettacolo esercitava sul morale dei cavalieri. La difficile atmosfera psicologica rischiò di coinvolgere i dragoni in scontri aperti con i soldati in ritirata. Lo stesso generale E. ebbe un accesso di collera contro il generale P. Badoglio, al quale rimproverò le difficoltà incontrate dai suoi uomini lungo la marcia. Da quel momento tra i due alti ufficiali non corsero più buoni rapporti.
A Pozzuolo del Friuli la Il brigata si trovò ad affrontare un impatto col nemico ancora più duro di quanto fosse stato previsto. Nonostante ciò l'E. mantenne fede all'ordine di resistere a oltranza contro l'avanzata congiunta della 14ª armata germanica e della 2ª Isonzo Armee. Sul campo perirono più di due terzi dei dragoni e dei lancieri, ma al termine del pomeriggio del 30 ott. 1917 le truppe della 3ª armata avevano superato il Tagliamento. Al generale E. fu attribuita per tale impresa la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
L'episodio di Pozzuolo indusse l'alto comando a rivalutare il ruolo della cavalleria, che fu ampiamente utilizzata nella fase decisiva della controffensiva italiana, nell'autunno del 1918- a Vittorio Veneto: qui, sul fiume Livenza presso il ponte di Fiaschetti, l'E. ebbe ancora modo di distinguersi, al comando della sua brigata, in una importante azione di attacco, condotta nella maniera più classica, alla sciabola.
Nel dopoguerra l'E. mantenne il comando della II brigata, salvo un intervallo (dicembre 1919-ottobre 1920), in cui comandò la III brigata. Mentre a partire dal 1920 le lotte sociali divennero incandescenti, l'E., pur contribuendo a imporre l'ordine contro l'ondata degli scioperi, rifiutò sempre di uscire dai mezzi legali e di aderire al clima insurrezionale che pervadeva molti settori dell'esercito.
Alla vigilia della marcia su Roma il generale E. era quindi decisamente schierato dalla parte di coloro che avrebbero voluto impedire la prova di forza fascista: il 27 ottobre si trovava alla guarnigione di Padova, a capo della quale aveva appena sostituito il generale G. Boriani, che aveva preso una licenza. Immediatamente, alla notizia della mobilitazione fascista, l'E. preparò le truppe a resistere contro gli insorti. Ma il generale Boriani, favorevole al complotto fascista, pose subito termine alla sua licenza e si affrettò a consegnare le truppe in caserma. L'E. mantenne sempre una posizione critica verso il fascismo; non fu un caso che la figlia Bianca sposasse il conte Novello Papafava dei Carraresi, già noto per la sua avversione al regime. Al tempo stesso, come molti altri ufficiali, l'E. non cessò di dimostrare sentimenti di lealtà verso casa Savoia, all'interno della quale godeva di un certo prestigio; ciò sebbene avesse sposato nel 1897 la contessa Francesca Zileri Dal Verme, appartenente alla famiglia degli Obbizzi di Parma che nutriva sentimenti filoasburgici.
Il buon rapporto con la casa regnante, il rispetto e la fama guadagnati in guerra gli valsero nel 1923, insieme con la promozione al grado di generale di divisione, la nomina al comando della prestigiosa Scuola di cavalleria di Pinerolo, che tenne fino al maggio 1926, quando fu collocato in aspettativa per riduzione dei quadri. L'8 giugno 1928 giunse quindi il collocamento a riposo per limiti di età.
Quando fu nominato senatore del Regno il 12 ott. 1939, l'E. era già minato dal male che ne causò la morte, avvenuta a Padova il 24 dic. 1940.
Fonti e Bibl.: A Padova, presso la famiglia, sono conservate le Carte Emo Capodilista; Roma, Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Biografie, cartella 27, fasc. 3; necrologio in IlGazzettino di Padova, 26 dic. 1940. Sulla figura del padre dell'E., cfr. G. Solitro, Fatti e figure del Risorgimento, Padova 1978, pp. 338 s.; cfr. inoltre A. Rumor, Breve storia degli Emo, Vicenza 1910; V. D'Incerti, Pozzuolo del Friuli, 29-30 ott. 1917, Milano 1967, ad Indicem; A. Repaci, La marcia su Roma, Milano 1972, p. 528; R. Puletti, Genova Cavalleria, 1683-1983, Padova 1984, ad Indicem; Enc. militare, Milano 1932, III, pp. 585 s.; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, III, ad vocem.