CORNER, Giorgio
Primo di quattro fratelli - con Caterino, Girolamo e Federico (esclusi altri due che non raggiunsero l'età adulta) - nacque a Venezia il 20 ott. 1623 da Andrea di Girolamo di Giorgio e da Morosina di Caterino Morosini.
Discendente da Caterina Cornaro, e perciò detta "della Regina" - del ramo residente a S. Cassiano - era questa una delle famiglie più prestigiose dell'oligarchia senatoria veneziana, costantemente presente nelle massime cariche dello Stato - sia il padre sia il nonno, in particolare, furono comandanti militari di grande capacità e autorevolezza - e forte di un patrimonio immobiliare di tutto rispetto, con molte decine di proprietà urbane e numerose "possessioni" per oltre mille ettari in Terraferma. Nel 1646, tuttavia, la morte di Andrea, caduto nella difesa di Retimno, portò inaspettatamente alla luce un indebitamento di oltre 100.000 ducati, che minacciava di travolgere la famiglia. L'immediato intervento degli zii paterni Giorgio, Francesco e Federico, che fronteggiarono le scadenze più urgenti, mentre quest'ultimo assumeva anche la tutela dei minori Girolamo e Federico e l'amministrazione della fraterna, valse a salvare il patrimonio dall'assalto dei creditori; esso non riuscì peraltro, se non per un breve periodo, a mantenere la concordia in famiglia e con essa quella indivisione dei beni ritenuta essenziale per le fortune della casa e a cui era stata finalizzata per generazioni tutta la politica familiare, tanto matrimoniale che ereditaria.
Il grande successo ottenuto da Caterino, tornato da Candia con le spoglie del padre e acclamato da tutti per l'eroismo dimostrato nella difesa della Canea, aveva infatti suscitato nel C. una profonda avversione nei suoi confronti, che si era ulteriormente inasprita di fronte al fermo rifiuto dello zio Federico, d'accordo con Caterino, di concedergli un aumento della pensione annua, o almeno delle sovvenzioni straordinarie, che gli permettessero di pagare alcuni debiti avventatamente contratti negli anni precedenti. In un crescendo di tensioni e polemiche - di cui ci restano vivaci testimonianze epistolari - il C. riuscì a trarre dalla sua anche Girolamo, e non appena questi, nel 1648, raggiunse la maggiore età, pretese assieme a lui la divisione giudiziaria del patrimonio della fraterna, dando così avvio ad una contesa destinata a trascinarsi per decenni in una serie innumerevole di cause.
Ma la rottura così tenacemente perseguita finì col riflettersi anche sulla carriera politica del Corner. Per una sorta di accordo interno - usuale nelle case maggiori - a lui era infatti riservata la carriera più prestigiosa, quella diplomatica, mentre i fratelli dovevano impegnarsi negli altri settori della vita pubblica: per questo appunto il C. aveva compiuto gli studi universitari, mentre Caterino si era imbarcato al seguito del padre, provveditore generale a Candia. Ma quando dopo un brevissimo tirocinio - dal novembre '48 al marzo '50 fu due volte savio agli Ordini - nell'ottobre del 1651 venne eletto all'ambasceria di Francia, il C. si trovò costretto a rifiutare l'importante incarico in quanto, rimasto privo della solidarietà familiare (gli zii tra l'altro avevano diseredato sia lui sia Girolamo), non era più in grado di sostenere le rilevanti spese che esso comportava, e dovette anzi pagare la penale prevista dalla legge in simili casi.
Anche negli anni successivi la sua attività politica rimase dunque confinata ai Consigli cittadini: dal 1655 al 1659 fu infatti per cinque volte savio di Terraferma, e per tre volte savio alla Scrittura. Nel marzo del '60 venne finalmente rieletto ad un incarico diplomatico, l'ambasceria di Spagna.
Il C. cercò invero nuovamente di esserne esonerato, lamentando le difficoltà finanziarie e l'isolamento in cui l'aveva relegato la famiglia: "son però così separato dagli altri della mia Casa - scrisse nella sua supplica - che non ho di comune con i miei fratelli che il nome e l'origine, ma non il nome e la nascita giovano a sostenere l'ambasceria, ch'è officio proprio delle facoltà". Ma la richiesta venne respinta, e il C., grazie anche ad un prestito di Girolamo, si decise ad accettare l'incarico: un nuovo rifiuto, del resto, mentre la Repubblica sosteneva l'enorme sforzo della guerra di Candia, sarebbe risultato quanto mai impopolare.
Sin dal suo primo contatto con la corte, nel maggio del '61, compito pressoché esclusivo del C. fu appunto di sollecitare quei soccorsi militari e finanziari di cui Venezia, ormai stremata dalla lunga guerra, aveva disperato bisogno.
Obiettivo, peraltro, quanto mai arduo da raggiungere. La situazione politica europea era infatti delle meno felici per quell'unione di forze, auspicata da Venezia, "capace di liberarla in una campagna dalle vessationi che la molestano e cacciar i Turchi dal Regno". La Spagna era tutta presa dalla guerra col Portogallo, timorosa di interventi inglesi, interessata a stringere un'alleanza con l'imperatore per porre al sicuro i domini italiani dalle minacce francesi; Leopoldo I deciso a trovare comunque - "senza riguardo a discapiti" - un accordo coi Turchi; la Francia sull'orlo della rottura col Papa per le questioni di Castro e Comacchio, e intenta a sviluppare le sue mire sul Monferrato: con tali premesse, il negoziato che stava faticosamente per avviarsi a Roma per una lega generale della Cristianità appariva con chiarezza al C. "più... trattato con le apparenze che con la sostanza, più diretto alle longhezze che alla brevità", mentre anche le generose offerte di aiuti francesi e olandesi, condizionati a eguali impegni degli altri principi, si rivelavano ai suoi occhi come azioni di disturbo, volte a mettere in difficoltà la Spagna. Del resto anche il duca di Medina, mentre gli incontri di Roma si protraevano stancamente, non si peritava di replicare alle richieste di aiuto del C. con la proposta di una lega di principi italiani in funzione antifrancese. Se comunque la via di un'alleanza militare appariva decisamente sbarrata, anche quella dei soccorsi finanziari diretti risultava di percorso tutt'altro che agevole. L'iniziale ottimismo del C. a questo proposito rimase infatti ben presto deluso, le istanze continuamente sottoposte a Filippo IV e ai suoi ministri ottenendo null'altro che risposte generiche ed evasive, che si richiamavano ora alle spese per la guerra col Portogallo, ora agli aiuti inviati a Vienna ("perché questa è stimata diversione potente, e che deva la Repubblica più godere gl'aiuti che si contribuiscono all'Imperatore che i propri"), ora alle trattative in corso a Roma. "Le spine pungono, non rendono frutti", scriveva acido il C., presto ben conscio delle dimensioni della crisi che attanagliava la Spagna, dell'inarrestabile degradazione che aveva corrotto la corte e il paese, dello sfacelo in cui era ridotto il sistema economico e finanziario. Così, nei mancati aiuti a Venezia, più che specifiche volontà ostili scorgeva, in un efficace crescendo, "la bontà del re che non ha paragone, l'attribuirsi a ministri i diffetti, il governo confuso, la congiuntura contraria, la longhezza inseparabile dal genio, il tardo passo con che tutto si muove, gl'errori in che tutto s'involge, il labirinto dove ogn'uno si perde...". E ancor più fosco era il quadro offerto in un dispaccio successivo: "V.ra Ser.tà vede che i grandi tesori dell'India in quest'anno capitati non sono che picciole stile a corpo febricitante e mal condotto. Che i molti denari con le maggiori violenze estorti dalla Spagna sono pur stile di sangue di popoli languenti sotto il peso, ma non sovvegni proportionati al bisogno. Che le diligenze del Vice Re di Napoli in transmetter soccorsi e tutte le parti della Monarchia ch'estraordinariamente concorrono, non sono sufficienti per satiar l'ingordo mostro della guerra di Portogallo, che tutto consuma e divora. Il governo poi confonde i desideri con il potere. Le obligationi non convengono con le forze, e in quest'angolo del mondo si sepeliscono le ricchezze che si estraggono da tutte le parti. Esserciti sussistono nel nome in Galitia, Città Rodrigo, Estremadura, e le voci pure sono di grande armata. Ma questa vana et alata natione fa poi terminar tutti i dispendi senza proffitto, e tutto essala nell'unto e nel fumo".
I magri risultati raccolti dal C. non furono comunque imputati a sua imperizia. Anzi, come testimonia il tutt'altro che benevolo autore di una contemporanea Relazione anonima, pubblicata dal Molmenti, egli aveva "molto bene soddisfatto il pubblico", dissipando con la sua condotta accorta il timore generale "che l'ardenza della sua natura... potesse spingerlo a qualche inconsiderabile rottura". Tant'è vero che mentre si trovava ancora a Madrid, nel novembre del '63, il C. veniva eletto ambasciatore presso l'imperatore. Accettato questa volta senza esitazioni l'incarico, il C. lasciava Madrid nell'estate del '64, giungendo a Padova ai primi di settembre, ma l'improvviso "molestissimo avviso" della tregua conclusa tra Leopoldo I e i Turchi lo costringeva a ripartire immediatamente per Vienna, dove l'ambasciatore Sagredo, gravemente malato, non era più in grado di adempiere alle sue funzioni.
Èfacile immaginare in quali condizioni di disagio si venisse a trovare il C., costretto a chiedere soccorsi per la guerra coi Turchi proprio mentre a Vienna ci si apprestava con lo scambio degli ambasciatori a concludere la pace. Sempre pronti a rinfacciare il rifiuto precedentemente opposto da Venezia ad un'alleanza con l'Impero ed inclini persino ad addossare alla Repubblica la responsabilità dei discapiti cui li costringeva l'attuale pace, Leopoldo e i suoi ministri erano fortemente restii a concessioni - fosse anche solo il permesso di arruolamenti - che potessero irritare i Turchi. L'ambasciatore era così costretto ad estenuanti schermaglie diplomatiche, per convincerli dell'assoluta urgenza di aiuti, e soprattutto per smentire le voci messe ad arte in circolazione, che volevano i Turchi indeboliti e impreparati ad attaccare la Dalmazia e la Repubblica ancora forte di energie intatte, o preannunciavano imminente la conclusione della pace con la Porta, o ancora accusavano la diplomazia veneziana di boicottare le trattative in corso con Vienna. Cosa celassero queste manovre il C. del resto lo aveva ben chiaro: "questa Corte ben desidera che la Repubblica sostenga la guerra, ma non habbia forze e modo di terminarla". Comprensibile dunque l'ansiosa attenzione con cui il C. seguiva tutto ciò che potesse portare ad un rovesciamento dell'attuale quadro politico; l'esplicita soddisfazione per ogni notizia di incursioni e di disordini in Ungheria; la speranza tenacemente coltivata che Russi e Polacchi, posta fine alle lotte che li dividevano, si rivolgessero uniti contro i Turchi; il largo spazio dedicato alle opinioni di quanti, a corte, disapprovavano la politica imperiale.
Alle difficoltà di una trattativa tanto gravosa quanto avara di risultati, si erano presto aggiunti per il C. anche i disagi di una malattia le cui crisi si facevano vieppiù gravi e frequenti, fino ad impedirgli per lunghi periodi di attendere ai propri impegni. Aveva perciò chiesto con crescente insistenza di poter rimpatriare, osservando che "il desiderio non opera e le attioni della vita non ponno star con cadaveri", mentre "puoco profitto può riportare la Patria da chi si trova in compagnia di tanti disastri". Per "i riguardi delle congionture correnti", il permesso gli era stato sempre negato; quando infine il successore stava per partire, era ormai troppo tardi. Il C. morì a Vienna il 19 marzo 1667.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storia veneta, 19:M.Barbaro, Arbori de' patritii veneti, III, c. 55;Ibid., Avogaria di Comun. Nascite, Libro d'oro, reg. 58, c. 208v; gran parte degli atti notarili della famiglia sono stati rogati da Zuanne e Angelo Maria Piccini: si vedano in proposito gli "alfabeti": Ibid., Notarile, Atti, rispettivamente buste 10.836-10.838 e buste 11.130-11.131; in particolare l'atto di divisione della fraterna è Ibid., Notar., Atti, A. M. Piccini, busta 10.819, cc. 691-750; la "condizion" dei quattro fratelli è Ibid., Dieci savi alle decime, busta 225, n. 661; i testamenti degli zii Giorgio e Federico, Ibid., Notar., Testamenti, Angelo Alessandri, busta 1141, III, c. 32v, e Gasparo Acerbi, busta 1146, n. 337; l'ammissione del C. alla prova della balla d'oro in assenza del padre Ibid., Cons. dei dieci, Comuni, reg. 93, c. 116; le commissioni per le ambascerie a Madrid e a Vienna rispettivamente Ibid., Senato. Commissioni, filza 7, cc. 534-536v, e filza 8, cc. 286-303; Ibid., Senato. Dispacci ambasciatori, Spagna, filze 93-98; Germania, filze 126-130; vedi, inoltre, Ibid., Senato, Corti, regg. 38-44, passim;Ibid., Segret. alle voci, Maggior Consiglio, reg. 19, c. 23; Ibid., Segret. alle voci, Pregadi, regg. 16-18, passim; i registri dei dispacci del C. al Senato anche in Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 655 (= 8841), 1246-1252 (= 7700-7706), 1552 (= 9030), 2426 (= 10430); vedi, inoltre, Ibid., Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 328, che però lo confonde in parte col fratello Caterino; la supplica del C. per l'esonero dall'ambasceria di Spagna è in Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Correr, busta 1132, n. 395; la relazione della visita di rito fatta dal C. all'ambasciatore spagnolo prima della partenza per Madrid, Ibid., Mss. P. D. c 505; una lettera da Madrid a Pietro Valier, Ibid., Mss. P. D. c 581, c 231; la ricevuta del prestito di 1.500 ducati dal fratello Girolamo ed il testamento datato Vienna, 9 marzo 1667, Ibid., Mss. P. D. c 2571/13, cc. 1-3; lettere, scritture ed estratti di atti giudiziari relativi alla divisione della fraterna, Ibid., P. D. c 2247/3-7, c 2571/9, c 2678/3; Ibid., Mss. Correr, 921: L'Achille veneto, overo panegirico fatto in lode dell'il. mo ... Girolamo C. ... e di tutta la sua illustre et heroica Casa; P. Molmenti, Curiosità di storia venez., Bologna 1919, pp. 410 s. (ma incorre nello stesso errore del Cappellari Vivaro nella breve nota biografica a p. 455); E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Venez., VI, Venezia 1853, pp. 473 s.; G. Valentinelli, Regesta document. Germ. hist. Illustrantium…, München 1864, pp. 491 s.; Relaz. di amb. ven. al Senato, a cura di L. Firpo, II, Germania (1506-1559), Torino 1970, pp. LIV-LV; G. Mazzatinti, Invent. dei mss. delle Bibl. d'Italia, LXXXVII, pp. 57, 90; XCI, p. 85.