CORNER, Giorgio
Nacque a Venezia il 18 genn. 1613 da Francesco di Giovanni del ramo dei Corner di S. Polo e da Andriana Priuli di Antonio.
Furono splendidi natali: il padre era figlio di doge ed egli stesso sarebbe pervenuto alla massima dignità della Repubblica, dopo essere stato insignito del titolo di procuratore di S. Marco; anche la madre era figlia di un doge. Determinanti nella vita del C. doveva però rivelarsi l'influenza di un fratello del padre, il vivace ed ambizioso cardinale Federico, che lo avrebbe indirizzato alla carriera ecclesiastica, nel solco di una tradizione che da oltre un secolo vedeva i Corner di S. Polo assicurarsi il controllo delle principali sedi vescovili della Terraferma veneta e pervenire per ben sette volte al cardinalato.
Il C. infatti era appena sedicenne quando, nel 1629, Federico rinunciò in suo favore alla prioria di Cipro, giuspatronato della famiglia; quindi, di lì a qualche anno, valendosi dell'attaccamento che verso la sua persona professava il pontefice Urbano VIII, il cardinale lo fece nominare referendario utriusque Signaturae e, il 16 dic. '41, auditore di Rota, e questo nonostante il C. non avesse ancora l'età necessaria per ricoprire l'incarico: secondo il Giustinian, egli fu anche il primo dei patrizi veneziani ad assurgere a tale dignità.
Qualche mese più tardi, il 14 luglio 1642, era ancora lo zio, che probabilmente già meditava di rinunciare alpatriarcato di Venezia per trasferirsi a Roma, ad assicurargli la nomina alla più ricca sede vescovile veneta, quella di Padova, dove successe a Luca Stella, pur continuando ad esercitare le funzioni di auditore, che depose soltanto sei mesi dopo.
L'ingresso nella diocesi avvenne il 26 marzo 1643: Padova era allora una città in rapido declino. Tramontato il luminoso periodo di Cremonini, di Galilei, dell'"interdetto", in cui lo Studio era parso assurgere, di fronte alla Chiesa ed all'Europa intera, quasi a simbolo dell'autonomia ideologica e politica della Repubblica, la vita universitaria era adesso caratterizzata da minor vivacità intellettuale; ma si può dire che l'intera società urbana fosse minata da una evidente involuzione, soprattutto a motivo del rapido procedere della crisi economica conseguente alla peste del 1629-30. Lo scoppio della lunga dispendiosa spossante guerra di Candia, nell'estate del '44, avrebbe poi agito da moltiplicatore di tutti questi e di tanti altri mali; Padova, al pari di ogni centro della Terraferma veneta, vide rapidamente disgregarsi il suo tessuto sociale e sfaldarsi i precari equilibri sui quali poggiava il suo assetto interno: esplosero odi mal sopiti tra le famiglie, si riaccesero tensioni tra la popolazione e gli studenti.
Entro questo sfondo va esaminata l'opera del C., i cui sforzi non furono rivolti a migliorare tale situazione, a prevenire attriti o ad attenuare rancori; lo conferma il prudente silenzio delle fonti sul suo ministero spirituale, mentre anche tra le righe degli onnipresenti elogi d'occasione, possiamo ricavare il giudizio sostanzialmente negativo per un'attività che fu soprattutto finalizzata alla tutela di peculiari privilegi ed interessi economici. Infatti, nonostante il podestà e vicecapitano Alvise Mocenigo, al ritorno dal suo rettorato a Padova, potesse leggere in Senato, nel novembre 1648, una relazione nella quale indicava a conforto delle sue fatiche l'aiuto fornitogli da "Mons. Ill.mo Cornaro, prelato di virtù, e di prudenza nonordinaria, anzi ripieno di tutte quelle conditioni che rende sublimato un pastor, e Vescovo di somma integrità, e vigilanza"; e nonostante un anno prima il C. avesse provveduto ad emanare le nuove Constitutiones Synodi Patavinae, a guida e regola del suo clero, non è senza significato che il suo nome ricorra soprattutto nei documenti che trattano di liti o processi: i venti anni della sua attività pastorale, insomma, furono in buona parte assorbiti dal tentativo di ripristinare o ribadire quelle che, secondo il C., erano prerogative spettanti alla sua persona e minacciate dall'altrui malizia.
Per prima cosa contestò al capitolo della cattedrale taluni privilegi risalenti ad una bolla di papa Eugenio IV, e toccò al nunzio pontificio, nel giugno 1647, risolvere la questione; ottenuta poi, nel '53, la commenda della badia della Vangadizza, procedette contro i monaci, gli affittuali e tutti i sottoposti con tanto rigore, da suscitare, come reazione, il moltiplicarsi di furti e danneggiamenti alla proprietà. Nel febbraio 1657 era di nuovo il nunzio, il napoletano Carlo Carafa, a realizzare un faticoso compromesso tra il C. e l'arcivescovo di Spalato, Leonardo Bondumier, che invano reclamava il pagamento di una pensione di 133 scudi d'oro sopra la mensa vescovile euganea, e nel giugno '62 toccava addirittura al Consiglio dei dieci adoperarsi per recuperare i 30.000 ducati trafugati al C. da un servitore tanto disonesto quanto abile, dal momento che era riuscito ad impadronirsi di uno scrigno custodito in uno "stanzino fortissimo ed alto nella sommità del Palazzo", provvisto "di grossissime muraglie, con due porte fortissime armate di tutto ferro, con chiavi perfette di belle opere". Di una sola controversia il C. non riuscì fortunatamente a venire a capo, e fu quella da lui intentata al Consiglio cittadino, che reclamava quella parte delle rendite vescovili lasciate ai poveri da uno zio e predecessore del C., Marcantonio. Nella relazione letta in Senato il 24 genn. 1662, il capitano di Padova Leonardo Zane scriveva infatti: "D'una sol cosa ancora farei tocco, delle differenze cioè tra Mons. Ill.mo e Rev.mo Vescovo mio antico inchinato signore e la città, se queste non fossero già note all'Ecc.mo Senato. Ho fatto il possibile per rissecar, se non le liti, almeno raddolcir gl'animi. Havrà più tempo di fruttuosamente adoperarsi a questo bramatissimo fine la virtù grande dell'Ecc.mo signor Gironimo Giustinian".
Il C. morì a Padova il 14 nov. 1663. Nel testamento aveva disposto di essere sepolto nel monastero di Rua, in una cappella fatta costruire dal doge suo nonno, in abito monacale, "da buon Prelato di Santa Chiesa".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii..., III, p. 47; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 326v; il testamento, Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 2858/IV. Un invent. dei beni ritrovati alla morte del C., in Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Miscell. civile, b. 20/15; sulla vertenza contro i monaci della Vangadizza, Ibid., Consultori in iure, b. III, c. 719; b. 113, c. 584; per il furto dei 30.000 ducati, Ibid., Lettere di rettori ai capi del Consiglio dei dieci, b. 94, nn. 14, 19, 22, 70; per i processi contro il capitolo della cattedrale di Padova, i ladri della Vangadizza, l'arcivescovo di Spalato, vedi Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, rispettivamente Mss. P. D. c 767/5; c 2441/16; c 2569/6; i giudizi del podestà Mocenigo e del capitano Zane, in Relaz. dei rettori veneti in Terraferma, IV, Podest. e capitanato di Padova, a cura di A. Tagliaferri, Milano 1975, pp. 345, 387; G. B. Recanati, Oratione a nome della Comunità di Badia all'emin. cardinal F. Cornaro Patriarca di Venetia e all'illustr. e rev. mons. G. Comaro auditore della Rota Romana, Rovigo 1641; F. Policini, Ecclesiastica cronol. della Casa Cornara, Padova 1698, p. 25; N. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini..., Venetiis 1726, pp. 113 s.; N. A. Giustinian, Serie cronol. dei vescovi di Padova, Padova 1786, p. 146; A. Brillo, Il vescovo di Padova è conte di Piove di Sacco, Padova 1905, pp. 32-33; A. E. Baruffaldi, Badia Polesine, VIII, Arcipreti e rettori della chiesa di S. Giovanni Battista (fino alla soppressione della Commenda nel monastero della Vangadizza), in Nuovo Arch. veneto, n. s., XXIX (1915), pp. 458, 462; E. Cerchiari, Sacra Romana Rota …, II, Romae 1920, p. 159; P. Gams, Series episcoporum …, p. 798; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-ecclesiastica …, IV, p. 99; XCII, pp. 526, 555; P. Gauchat, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi …, IV, Monasterii 1935, p. 276.