COLLI, Giorgio
Nacque a Torino il 16 genn. 1917 da Giuseppe ed Enrica Colombetti. fi padre, personaggio influente negli ambienti culturali torinesi, era amministratore della Stampa e, dal 1948, lo diverrà del Corriere della sera. Dopo aver frequentato il liceo "D'Azeglio", il C. si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Torino, continuando a coltivare per proprio conto gli studi filosofici iniziati nel periodo ginnasiale. In questi anni entrò in contatto con Piero Martinetti che, dal 1931, era stato privato dell'insegnamento universitario per non aver aderito al regime fascista; l'influenza del Martinetti sul giovane C. è rilevante più dal punto di vista della formazione del carattere che non da quello strettamente filosofico: si venne costituendo probabilmente in tale periodo - a contatto con una personalità ormai profondamente scettica nei confronti della cultura "pubblica" - quell'idiosincrasia nei confronti di qualsiasi potere costituito e quella quasi esasperata intransigenza intellettuale che lo accompagnarono tutta la vita e ne segnarono profondamente l'atteggiamento culturale.
Nel 1939 il C. si laureò in filosofia dei diritto con Gioele Solari, amico del Martinetti e figura di certo rilievo negli ambienti antidealistici dell'epoca. Divenuto assistente, pubblicò la sua tesi di laurea, "Politicità ellenica e Platone" (con il titolo Lo sviluppo del pensiero politico di Platone, in Nuova Rivista storica, XXIII [1939], pp. 169-192, 449-476), ove già appare, allo stato embrionale, il tema che costituirà il nodo speculativo di fondo degli anni successivi: il rapporto fra conoscenza e sua espressione. Dopo due anni di assistentato straordinario il C. abbandonò la possibile carriera universitaria per insegnare filosofia al liceo "Machiavelli" di Lucca, ove ebbe come discepoli, a cominciare da Mazzino Montinari, alcuni di quelli che divennero i suoi più stretti collaboratori nell'attività editoriale successivamente intrapresa, attività che, per lo meno dal punto di vista quantitativo, costituisce l'eredità più consistente della sua opera intellettuale. È del 1947 la prima traduzione, edita a Torino per Einaudi, Platone. La lotta dello spirito per la potenza di Kurt Hildebrand, seguita da quella di Da Hegel a Nietzsche di Karl Löwith (ibid. 1949). Nel frattempo, nel 1948, il C. pubblicava la sua prima opera, Φύσις κρύπτεσθαι ϕιλεῖ. Studi sulla filosofia greca (Milano): una raccolta di saggi sulla filosofia greca, dedicata a Nietzsche, dove la rigorosa indagine filologica dei testi si unisce ad una prospettiva filosofica ancora non chiara, solo allusa, quasi volutamente taciuta e mascherata, per intendere compiutamente la quale si sarebbe dovuto attendere la sua unica opera propriamente speculativa, la Filosofia dell'espressione, scritta più di venti anni dopo.
Il primo volume, ignorato da critica e pubblico, gli offrì comunque la possibilità di tornare al lavoro universitario. Nel 1948 superò l'esame di libera docenza e nel 1949 iniziò ad insegnare filosofia antica all'università di Pisa, ove rimase, sempre come professore incaricato, sino alla morte. Del 1955 è la prima pubblicazione che gli procurò una certa notorietà: la traduzione, con introduzione e commento, sempre per Einaudi a Torino, dell'Organon di Aristotele.
Il testo - ove è degno di nota il fatto che la traduzione si basi su una personale edizione critica delle opere logiche dello stagirita -suscitò approvazioni ma anche biasimo; rimanevano invece quasi completamente ignorate le note di esegesi filosofica poste in appendice dove, in realtà, il C. accennava, attraverso Aristotele, all'impostazione speculativa sottesa alla traduzione. Due le tesi particolarmente indicative a riguardo: l'"essere" aristotelico viene interpretato univocamente come "determinazione pura" che riferisce qualsiasi oggetto, astratto o concreto, ad un quid inesprimibile, termine di riferimento di ogni espressione; nella logica modale aristotelica, nella reciproca definibilità delle categorie del "necessario" e del "contingente", si legge altresì un'insuperabile difficoltà deduttiva che sarebbe consaputa ma al medesimo tempo occultata dallo stesso Aristotele. Come dire che nel massimo esponente del pensiero greco, all'alba del pensiero occidentale, la ragione, incapace di costituirsi autonomamente, si sa come riflesso, come espressione inadeguata di una radice immediata per sua stessa natura estranea alla mediazione razionale. Il problema della ragione, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista speculativo, si identifica per il C. con il problema della determinazione dei principi di quest'ultima, ma il fallimento cui va sempre incontro il tentativo di stabilire i fondamenti della razionalità, viene interpretato come segno del difalco incolmabile che separa il pensiero dalla sua stessa origine.
Dopo aver tradotto un altro classico, la Critica della ragion pura di Kant (con introduzione e commento, Torino 1957), il C. s'impegnò a tempo pieno nell'attività editoriale, concependola schopenhauerianamente quale mezzo per diffondere temi ed autori che la cultura ufficiale ed universitaria tendeva volutamente ad occultare e dimenticare. Dal 1958 al 1965 diresse, per l'editore Boringhieri, l'"Enciclopedia degli autori classici", una collana singolare nel suo genere che raccoglieva da un lato una fetta, poco conosciuta allora in Italia, della cultura ottocentesca - Hölderlin, Schopenhauer, Burckhardt e soprattutto Nietzsche -, dall'altra i testi fondamentali delle religioni orientali - buddhismo, tantrismo, áivaismo, ebraismo, islamismo - ed infine una serie di classici della scienza composta da opere ed autori che, per il C., sembravano sfuggire allo spirito di sistema ed alla finalità esclusivamente operativa della costruzione scientifica: da Ippocrate a Fermat, a Leibniz, ad Einstein, dal Pascal del Trattato sull'equilibrio dei liquidi al Goethe della Teoria della natura.
Le traduzioni, spesso basate su un'edizione critica del testo, sono precedute da una breve introduzione, scritta personalmente dal C., ove s'individua il filo che tiene uniti tematiche e pensatori apparentemente eterogenei: si tratta di raccogliere e far conoscere testi, tradizioni culturali, singoli filosofi e scienziati, in cui l'impulso alla costruzione razionale non si scinde dall'intuizione e dalla fantasia, dove cioè, consapevolmente o no, il pensiero non taglia i ponti con la radice immediata, presente, ma inespressa, in ogni attività discorsiva; tali autori leggono e restituiscono, ciascuno a proprio modo, nei campi più disparati del sapere, l'enigma che il C. vede alla base della indefinita manifestazione del reale: nel sospetto verso ogni forma di intellettualismo e nell'aspirazione ad una conoscenza immediata, del resto saputa come inattuabile, vengono così visti convergere i testi della mistica indiana ed alcuni tratti della scienza contemporanea.L'"Enciclopedia" morì nel 1965, probabilmente per insuccesso, ma fece da prologo a quella impresa editoriale che tanta influenza ha esercitato nella cultura, non solo italiana, degli anni seguenti: la edizione critica delle opere di Nietzsche. Sin dal 1958 il C. stava preparando la traduzione in italiano delle opere complete di Nietzsche, ma la mancanza di un testo attendibile delle carte postume del filosofo, la insostenibilità filologica di un'opera come la Volontà di potenza, lo indussero a tentare, insieme con Mazzino Montinari, la preparazione del testo critico tedesco delle opere e dei frammenti postumi. Einaudi, che intendeva pubblicare le traduzioni in italiano, non si dichiarò disponibile a finanziare il nuovo progetto, per ragioni economiche ma anche probabilmente di politica culturale, essendo legato il nome di Nietzsche, per molti intellettuali italiani del periodo, alla reazione ed a forme di pensiero irrazionale. Tuttavia, a partire dal 1962, grazie a Gallimard di Parigi ed alla Adelphi di Milano, l'impresa poté essere finanziata. L'editore che permise la pubblicazione dei testo tedesco venne trovato tre anni dopo a Berlino e, dal 1967, de Gruyter iniziò a pubblicare la nuova edizione critica delle opere di Nietzsche. L'iniziativa contribuì in modo determinante alla Nietzsche-Renaissance dei successivi decenni e alla diffusione, soprattutto all'estero, del nome del C., anche se il Nietzsche letto dalle correnti neomarxiste, da quelle ermeneutiche e da una certa epistemologia anarchica sarà ben diverso dal "pensatore inattuale" il cui pensiero il curatore avrebbe voluto diffondere (17. Nietzsche, Werke, a cura di G. Colli-M. Montinari, Berlin 1967; Id., Opere, a cura di G. Colli-M. Montinari, I-III, Milano 1964; IV, 1, Richard Wagner a Bayreuth e Frammenti postumi (1875-1876), traduz. di G. Colli-M. Montinari-S. Giametta, ibid. 1967; IV, 4, Ditirambi di Dioniso e Poesie postume (1882-1888), traduz. di G. Colli, ibid. 1970; III, 2, La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873, traduz. di G. Colli, ibid. 1973).
Nel 1969 il C. - che aveva sotto gli occhi un esito ben diverso da quello desiderato della sua attività editoriale e di promozione culturale - pubblicò a Milano la sua prima ed unica opera propriamente teoretica (se si prescinde dai Quaderni postumi), la Filosofia dell'espressione, a cui seguirono due studi di taglio storico-ermeneutico: Dopo Nietzsche (Milano, 1974) e La nascita della filosofia (ibid. 1975).
Il libro, tutt'oggi poco conosciuto, è una sorta di sistema esposto in forma aforismatica. li C. vi riassume trent'anni di studio e la visione del reale che ha fatto da sfondo alla traduzione dei classici, guidando ad un tempo le sue imprese editoriali. I due concetti che stanno a base del testo - la critica alla soggettività, alla autonomia ontologica del soggetto conoscente, e la critica al sapere immediato - sembrano omogenei ai temi maggiormente dibattuti all'interno della filosofia contemporanea; in realtà diverse sono la struttura di tale critica e. le conseguenze che ne derivano. Il C. legge la "rappresentazione" - termine con cui s'intende qualsiasi determinazione, astratta o concreta, presente alla coscienza - non come riferimento ad un quid opposto e distinto dalla soggettività, secondo l'idea suggerita, ad esempio, dalla corrispondente parola tedesca Vorstellung; ogni rappresentazione presente è la rapraesentatio, la ripresentazione, di un'esperienza passata, la quale, a sua volta, è ripresentazione di un'esperienza remota, indefinitamente. La soggettività, mai presente al modo delle altre rappresentazioni e priva di qualsiasi determinatezza specifica, sorge solo come riferimento al passato, come nesso che permette di connettere la rappresentazione presente a ciò di cui essa è "fi-presentazione"; come dire che essa si presenta non come entità che entra in "contatto" con il reale, bensì come nesso cronologico, volto al passato, che sancisce l'impossibilità d'individuare una rappresentazione "solamente presente". La conclusione che il C. trae da tale argomentazione è duplice: a) il mondo è interpretato come una serie indefinita di rappresentazioni non sorrette da un soggetto conoscente sostanziale; b) di là dalla serie di rappresentazioni è possibile supporre una radice immediata irrappresentabile di cui queste ultime sarebbero "espressione". All'interno di tale prospettiva il C. interpreta le categorie fondamentali del pensiero occidentale - "essere", "tempo", "spazio", "causa" e altre - sino a vedere anche nei nessi logici puramente formali il gioco di conservazione-perdita dell'immediato immanente ad ogni rappresentazione. Ed è chiaro che l'intera sua attività editoriale può essere letta, retrospettivamente, come tentativo di reperire nella storia del pensiero temi ed autori che, in modo più o meno esplicito dimostrano la consapevolezza del carattere espressivo e derivato di quanto il senso comune ritiene reale.
L'ultima fatica editoriale del C., sulla via battuta da Nietzsche, intendeva proporre un ritorno alle radici del pensiero occidentale. Il progetto era quello di raccogliere in undici volumi i testi sapienziali greci prima di Socrate allorché, secondo l'autore. il pensiero filosofico non era ancora ingannato dalla pretesa di rendersi autonomo. Della Sapienza greca; questo è il titolo dell'opera, uscirono solo due volumi (I, Milano 1977; II, ibid. 1978), nei quali, oltre alla traduzione ed alla interpretazione, anche i criteri di raccolta dei materiale si discostano totalmente dall'edizione ormai canonica del pensiero presocratico del Diels-Kranz.
Il C. morì il 6 genn. 1979 a Firenze mentre lavorava al terzo volume, su Eraclito (La sapienza greca, III, ibid. 1980), cioè sull'autore cui si riferisce il titolo della sua prima opera, a conferma di una continuità ideale con un pensiero che ve.de in una "natura che ama nascondersi" in qualcosa che "si cela nel profondo", il nocciolo duro della realtà.
Si ricordano anche delle opere del C. le lezioni accademiche: Lezioni di storia della filosofia antica. Empedocle, Pisa 1949, e Lezioni di storia della filosofia antica. Il "Parmenide" platonico, ibid. 1950; Postumi sono usciti gli Scritti su Nietzsche, Milano 1980; La ragione errabonda. Quaderni postumi, ibid. 1982, Per una enciclopedia di autori classici, ibid. 1983. È opportuno richiamare ancora le traduzioni di H. Cassirer, Storia della filosofia moderna, II (Il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza da Bacone a Kant), Torino 1953; Platone, Simposio, ibid. 1960 (con introduzione); A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, I, ibid. 1963 (con introduzione).
Fonti e Bibl.: I dati biografici del C. e quelli relativi alla sua attività scientifica ed editoriale sono stati forniti dalla famiglia Colli. Si veda inoltre: G. Minicchiello-L. Anzalone, G. C., in Riscontri, III (1980), n. 2-3, pp. 175-184; G. Carchia-R. Klein, Zum denker G. C., in G. Colli, Die Geburt der Philosophie, Frankfurt 1981, pp. 109-128; AA. VV., G. C., Milano 1983; L. Cimmino, G. C. e la crisi della ragione, in La Nottola, II (1983), n-3-4, pp. 63-68; III (1984), n. 1-2, pp. 63-86; n. 3, pp. 5-24; IV (1985), n. 1, pp. 5-42; L. Anzalone-G. Minicchiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su G. C., Bari 1984; M. G. Giani, G. C., in Belfagor, XLII (1987), pp. 291-312; M. Montinari, La passione rabbiosa per la verità. Lettere a G. C., a cura di G. Campioni, ibid., pp. 313-334.