BENZONI, Giorgio
Appartenne a una potente famiglia guelfa di Crema e fu lontano cugino di Bartolomeo e Paolo Benzoni, che nel 1403 avevano instaurato in Crema la loro signoria. Le fonti lo ricordano per la prima volta nel 1398, allorché, per il sopravvento della fazione ghibellina, fu bandito dalla sua città natale. Non è noto quando egli tornasse in patria, né quale fosse il suo atteggiamento nei confronti dei cugini nel periodo della loro breve signoria. Poco dopo la loro improvvisa morte, avvenuta nell'estate del 1405, egli emerse tuttavia in primo piano e riuscì ad impadronirsi della signoria sulla città escludendone i figli di Bartolomeo e di Paolo: uno strumento del 24 sett. 1405 registra l'avvenuta elezione del B. a signore di Crema.
Le speranze di conservare e consolidare l'indipendenza nei confronti di Milano dovevano sembrare al B. più che giustificate: di fatto il giovane duca Giovanni Maria, mero strumento delle opposte fazioni della corte, aveva perduto ogni controllo sul ducato, dove erano sorte una serie di signorie locali praticamente autonome. Il B. seppe sfruttare abilmente questa situazione: la tregua stipulata Pii ag. 1406 con il reggente ducale Carlo Malatesta, che tendeva anzitutto a isolare i pretendenti al trono ducale Antonio, Francesco e Gabriele Maria Visconti, significò per lui il tacito riconoscimento della sua signoria da parte del duca. L'accordo, concluso inizialmente per soli quattro mesi, fu rinnovato il 14 dicembre dello stesso anno e ancora nel febbraio del 1408, ma non impedì al B. di appoggiare nel 1407 i nemici interni del duca e di cercare nello stesso tempo l'alleanza con Venezia, desiderosa di estendere il suo dominio sulle terre orientali del ducato. I buoni rapporti con la Repubblica sono attestati dal conferimento al B. del patriziato veneziano il 23 ott. 1407.
Contemporaneamente il B. cercò di rafforzare anche militarmente la propria posizione facendo costruire torri e fortificazioni varie. Per procurarsi il danaro necessario si servì dell'antico sistema di confiscare e vendere i beni dei ghibellini fuorusciti, senza risparmiare inoltre i beni ecclesiastici. Contributi speciali addossati saltuariamente ai suoi sudditi completano il quadro delle sue risorse finanziarie.
Tali misure garantirono al B. una certa stabilità che fu disturbata seriamente solo nel 1412, quando Pandolfo Malatesta, in conseguenza dell'appoggio prestato dal B. a Gabrino Fondulo, signore di Cremona, occupò il castello di Offanengo nel territorio cremasco. Questa minaccia diretta indusse il B. a cercare riparo a Milano, dove il 12 giugno 1412 aveva preso le redini del governo l'energico e astuto Filippo Maria Visconti.
Questo risultato non indusse però il B. a rinunciare alla vecchia arma del doppio gioco che finora si era dimostrata la sol a capace di assicurargli una posizione di indipendenza. Nel maggio del 1413, alla discesa in Italia di Sigismondo, re dei Romani, si fece conferire, a fondamento giuridico della sua signoria, il vicariato imperiale a Crema. Ma non era certo un diploma che poteva arrestare l'opera di ricostituzione del ducato milanese intrapresa vigorosamente da Filippo Maria. Costretto a venire a patti, il 31 luglio 1414 il B. accettò un accordo con il Visconti che gli concesse l'investitura ducale di Crema, Pandino, Misano e Agnadello, a condizione che egli non facesse mai più lega con gli avversari del duca né accogliesse nel suo territorio i fuorusciti milanesi. La fine di ogni effettiva autonornia politica ebbe solo un illusorio compenso nell'erezione in contea del territorio di Crema, decretata dal Visconti il 13 ag. 1414.
Da allora il B., alleato e vassallo, dovette prestare assistenza militare e finanziaria al duca nella lotta contro le varie signorie ancora esistenti all'interno del territorio ducale, partecipando talvolta personalmente alle campagne. Ma le speranze di conservare ancora a lungo la propria, pur limitata signoria, si dovevano rivelare vane. L'accusa di tradimento avanzata contro il B. da alcuni suoi nemici, offri al duca l'occasione per eliminare anche l'ultimo staterello semindipendente all'interno del ducato. Venuto a conoscenza di un complotto inteso a privarlo anche della vita, il B. riuscì a fuggire all'ultimo momento nella notte tra il 24 e il 25 genn. 1423. Il 28 gennaio il Visconti prese possesso di Crema.
Il B. trovò rifugio a Mantova, e poi a Venezia, da dove seguì ansiosamente l'aggravarsi del conflitto fiorentino-milanese in Romagna, nella speranza che una vittoria fiorentina lo riconducesse in patria. Con tale prospettiva nel maggio del 1424 entrò con centosettantacinque lance al servizio della Repubblica fiorentina, ma il 28 luglio la battaglia di Zagonara, dove l'esercito fiorentino subì una clamorosa sconfitta, troncò ogni sua speranza. A rendere ancor più disperata la sua situazione contribuì anche l'ignobile trattamento al quale egli venne sottoposto dopo la battaglia dal governo della Repubblica fiorentina.
La condotta prevedeva, infatti, che il B., prima di scendere in campagna, si presentasse personalmente con le sue truppe a Firenze davanti ai Dieci. Fidando nelle garanzie verbali dei commissari fiorentini, preoccupati di assicurare la sua immediata partecipazione alla guerra, egli aveva creduto di poter tralasciare l'osservanza della clausola, alla quale però, dopo la sconfitta, si attaccarono i Dieci, pretendendo la restituzione del denaro (10.000 fiorini) versato per la sua condotta. La sua incapacità di far fronte a tale richiesta lo portò alle Stinche come debitore del Comune. Pare che vi sia rimasto per più di un anno, finché i Veneziani non ottennero la sua liberazione.
Entrato al servizio di Venezia, nel 1426 partecipò con il figlio Venturíno alla guerra contro Milano, sempre animato dal desiderio di recuperare il suo piccolo stato. L'avanzata vittoriosa dell'esercito veneziano sembrò avvalorare i suoi disegni, tanto che nel settembre del 1426 nella stessa Milano si cominciò a temere l'eventualità di un suo ritorno a Crema. Anche questa volta tuttavia le alterne vicende della guerra si risolsero sempre a svantaggio del B., che pare si inimicasse il conte di Carmagnola, capitano generale dei Veneziani, per aver rifiutato il suo consenso al matrimonio del figlio Venturino con una figlia naturale del condottiero, considerata indegna del suo rango. Con il passare degli anni egli sembrò rassegnarsi al suo destino. Nel 1430 combatteva ancora nelle file dell'esercito veneziano, ma dopo questa data manca ogni ulteriore notizia. Non è nota neanche la data della sua morte.
Il figlio Venturino, nato dal matrimonio con la milanese Ambrosina Corio, fu incaricato da Venezia (1431) della difesa del castello di Fontanella nel Cremonese, ma cadde nelle mani dei Milanesi e fu liberato e riabilitato solo nel 1435, a quel che pare per intervento degli zii materni. Si distinse in seguito come condottiero al servizio di Milano. All'altro figlio del B., Niccolò, nel 1432 Venezia concesse alcuni feudi nella Vai Camonica.
Fonti e Bibl.:Commiss. di Rinaldo degli Albizzi per il Com. di Firenze, a. c.di C. Guasti, II, Firenze 1869, pp. 56-60, 105 s., 128 s., 137, 144, 163, 237, 427, 440; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti. a c. di R. Predelli, III, Venezia 1883, pp. 379 s.; IV, ibid. 1896, p. 168; Regesta Imperii, XI, Die Urkunden Kaiser Sigmunds (1410-1437), a c. di W. Altmann, Innsbruck 1896, n. 503; I Registri viscontei, a c. di L. Fumi, Milano 1925, ad Indicem; Gli atti cancellereschi viscontei, II, Carteggio extra dominium, a c. di G. Vittani, Milano 1929, p. 20, n. 146; I registri dell'Ufficio di Provvisione e dell'Ufficio dei sindaci sotto la dominaz. viscontea, a c. di C. Santoro, Milano 1929, pp. 200, 203, 215, 267; Andrea de Redusiis de Quero, Chronicon Tarvisinum, in Rer. Italic. Script., XIX, Mediolani 1731, coll. 805 s., 845 s.; Diario di Palla di Noferi Strozzi, in Archivio stor. ital., s. 4, XIII (1884), p. 154; XIV (1884), p. 10; G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a c. di G. di Pino, Milano s.d. (ma 1944), pp. 36, 67 s., 85; Pietro da Terno [Pietro Terni], Historia di Crema, a c. di M. e C. Verga, Crema 1964, ad Indicem;F. Sforza Benvenuti, Storia di Crema,Milano 1859, I, pp. 207-218, 223-227, 232-234; G. Romano, Contributi alla storia della ricostruzione del ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti, in Archivio stor. lombardo, XXIII (1896), pp. 250, 264, 282, 284 s.; R. Truffi, Appendice per la storia della vita privata in Crema durante il dominio veneto, in Nuovo arch. veneto, n. s., IX (1903), pp. 107-110; N. Valeri, L'eredità di Giangaleazzo Visconti, Torino 1938, pp. 182, 195, 209; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 123, 132, 147, 161, 172, 181 s., 189, 233; G. Franceschini, La città di Crema nei tre secoli dopo la sua rinascita, in Arch. stor. lombardo, LXXXVII (1961), pp. 232-234.