BASTA, Giorgio
Nacque intorno al 1540 a Rocca, in Terra d'Otranto, benché una tradizione bibliografica lo vo.; glia nato nel Monferrato, a Rocca sul Tanaro.
Era figlio di Demetrio, un nobile epirota che, rifugiatosi in Italia, si era messo al servizio degli Spagnoli, per i quali combattè nelle campagne di Piemonte della metà del secolo e poi nelle Fiandre, come comandante di reparti di cavalleria. Giovanissimo, il B. abbracciò lo stesso mestiere del padre e fece le sue prime prove con il grado di alfiere in un reparto comandato da Demetrio e poi, alla sua morte, in una compagnia di cavalleria comandata dal più anziano fratello Niccolò.
Quando il B. cominciò la sua milizia, una radicale riforma era stata avviata, per opera soprattutto del duca d'Alba, nell'impiego e nell'armamento della cavalleria; per la crescente importanza delle armi da fuoco la fanteria diveniva sempre più chiaramente la protagonista delle battaglie moderne e alla cavalleria toccavano compiti radicalmente diversi da quelli tradizionali, sicché apparivano del tutto inadeguati il vecchio armamento e l'antica organizzazione: cominciava a sparire il gendarme, armato di lancia e difeso da pesanti corazze, ordinato in linee sottili e spiegate per le veloci cariche al galoppo, e gli si sostituiva il cavalleggero, dotato di carabina e pistola, organizzato in schiere strette e profonde per l'attacco di trotto, nel quale il numero e la perfetta organizzazione avevano un'importanza assai maggiore del valore individuale. Naturalmente questa trasformazione dell'arma si venne compiendo lentamente, per la resistenza delle tradizioni e per l'únpossibilità di rinnovare totalmente e rapidamente i quadri degli ufficiali superiori e subalterni di formazione tradizionale.
La giovinezza del B. fu sicuramente uno dei fattori che gli permisero di aderire sin dal principio alla riforma, di cui più tardi, come teorico, doveva trarre le più avanzate conseguenze. Perciò egli si distinse rapidamente tra gli ufficiali di cavalleria dell'esercito dei Paesi Bassi, ottenendo il comando di una delle prime compagnie organizzate con i moderni criteri. Don Giovanni d'Austria seppe apprezzare le qualità del giovane ufficiale, giungendo ad affidargli il govematorato di Nivelle; ma chi soprattutto seppe valutare, con la straordinaria perspicacia che gli era abituale, le specifiche disposizioni del B. fu Alessandro Famese, che fece di lui uno dei suoi più vicini collaboratori. Nel 1579, da poco arrivato nelle Fiandre, il duca di Parma elevò il B. alla carica di commissario generale della cavalleria, sostituendolo a Giovanni Battista Del Mente. Dopo la cattiva prova fornita dalla cavalleria spagnola nella campagna per la conquista di Namur, Alessandro aveva infatti deciso di accelerare il processo di trasformazione dell'arma, sostituendo ai vecchi ufficiali giovani elementi le cui qualità militari maggiormente si adattassero alle nuove esigenze. Nella vecchia organizzazione della cavalleria la carica di commissario generale, cui spettavano compiti essenzialmente organizzativi, aveva scarsa importanza: ora invece la necessità di curare l'addestramento collettivo dei reparti, di coordinare l'azione della cavalleria a quella delle altre armi, di giovarsi dei cavalleggeri in compiti di esplorazione a distanza, aumentarono molto l'importanza e le attribuzioni della carica affidata al B. e questi divenne, in effetti, il principale responsabile della riforma dell'arma nell'esercito dei Paesi Bassi.
Nella campagna contro Anversa del 1584 il B. ottenne il suo primo importante successo, bloccando con la cavalleria le comunicazioni tra Malines e Anversa; anche nella campagna contro Br-uxelles, conclusasi con la caduta della città nel marzo del 1585, il blocco fu realizzato in parte notevole dai reparti di cavalleria organizzati dal Basta. Alla fine di quello stesso anno il commissario generale guidò la cavalleria del corpo di spedizione che agli ordini di Carlo di Mansfeld si spinse sino alla Mosa. In queste campagne il B. sperimentò felicemente il suo metodo delle "scolte mobili", piccoli e numerosi gruppi di cavalleggeri che si spingevano in avanscoperta tutt'intomo al grosso dell'esercito, così da costituire una completa "corona" in continuo movimento; il metodo garantiva l'esercito dalle improvvise irruzioni nemiche e dette i frutti più brillanti nelle campagne di Francia. Quando il Famese, nel 1589, marciò al soccorso di Parigi, fu appunto l'inteuigente impiego della cavalleria guidata dal B. che salvò la retroguardia dell'esercito spagnolo dall'improvviso attacco di Enrico di Navarra.
In Francia il B. tornò anche nell'autunno dell'anno 1591 partecipando, con il grado di comandante generale della cavalleria, alla campagna per la liberazione di Rouen; il 5 febbr. 1592 egli riuscì a separare il Navarra dal grosso del suo esercito e il principe poté evitare la cattura soltanto dandosi alla fuga. Al B. spettò il compito di garantire durante tutta la campagna le comunicazioni tra Rouen e i Paesi Bassi, massicciamente minacciate dall'esercito francese, e poi di proteggere la ritirata degli Spagnoli dopo la ferita di Alessandro Farnese a Caudebec. Nel 1596, dopo la morte del duca di Parma, il B. seguì la sorte di tanti collaboratori italiani del principe, caduto in disgrazia alla corte di Madrid, e dovette abbandonare le insegne spagnole. Entrò quindi al servizio dell'imperatore Rodolfo II ed ebbe la carica di maestro di campo generale nell'esercito dell'arciduca Mattia, successivamente quella di vicegovernatore dell'Ungheria superiore, e infine quella di comandante in capo degli eserciti di Ungheria e di Transilvania.
Per più di un ventennio il B. combattè contro Ungheresi, Transilvani, Valacchi e Tatari, acquistandosi la fama di uno dei migliori generali dell'Impero. Tra le sue più notevoli imprese militari si ricorda la liberazione, nel 1597, assieme al generale Schwarzenberg, della piazzaforte di Pápa, conquistata tre anni prima dai Turchi; nel 1597, mentre era vicegovernatore dell'Ungheria superiore, l'espugnazione della fortezza di Huszt, ribellatasi all'Impero; la vittoria del 18 sett. 1600 a Miriszlò su Michele, voivoda di Valacchia; la campagna contro S. Báthory e i protestanti ungheresi insorti con Stefano Bocskay e Betleni Gabor tra il 1601 ed ir 1606, con la difesa delle città di Pozsony (Bratislava) e di Rózsahegi (Rosenberg), nell'alta valle del Váh; l'attacco portato, sebbene senza successo, contro Cassovia, conquistata nel 1604 dal Bocskay; la conquista di Terebes; la difesa di Esztergom contro i Turchi (1605), e la continua, instancabile guerriglia contro le scorrerie dei Tatari. I grandi servigi resi dal B. all'Impero ebbero come premio nel 1603 l'investitura della contea di Huszt e Máramaros (Maramureş), con il diritto di fregiare il proprio stemma dell'aquila bicipite dell'Impero e di quella a una testa degli arciduchi d'Austria. Successivamente il B. cambiò il feudo, di Huszt e Máramaros con quello di Troppau, ma mantenne il titolo primitivo. Nel 1606 abbandonò il servizio e si ritirò a vita privata, dedicandosi all'elaborazione di alcuni trattati di tecnica militare, nei quali raccolse i frutti di oltre quattro decenni di ininterrotta milizia, in uno stile essenziale e vigoroso, e tuttavia non privo di eleganza.
Ristampati più volte, in italiano, in tedesco e in francese, questi trattati furono durante il corso del sec. XVII tra le principali fonti dell'istruzione militare. Il maestro di campo generale, pubblicato a Venezia nel 1606, tradotto a Francoforte in francese (1607) e in tedesco a Oppenheim (1617), ebbe numerose ristampe durante tutto il secolo, e così pure Il governo della cavalleria leggera, trattato originale, utile ai soldati, giovevole ai guerrieri, fruttuoso ai capitani e curioso a tutti, che fu stampato a Venezia nel 1612, tradotto a Rouen nel 1616 in francese e in tedesco a Oppenheim nel 1614. Oltre a questi due principali, il B. scrisse anche un terzo trattatello Del governo dell'artiglieria, pubblicato a Venezia nel 1610.
Il governo della cavalleria leggera èsenza dubbio l'opera più importante del B.: essa rappresenta nell'intera Europa il primo regolamento organico della cavalleria leggera, la sanzione teorica di un processo - del quale il B. era stato tra i principali protagonisti - attraverso cui la cavalleria si era andata liberando dagli stretti legami operativi con le fanterie, secondo la prassi militare dei sec. XVI, ed era andata acquistando caratteristiche radicalmente nuove, maggiore mobilità, compiti di esplorazione e sorveglianza, attacchi di sorpresa sulle posizioni sguarnite del nemico. Ma in molti aspetti l'opera del B. è anche largamente anticipatrice di sviluppi ulteriori, specialmente nella concezione che la cavalleria leggera deve essere "la pupilla degli eserciti" e nella ribadita necessità di un costante coordinamento dei movimenti della cavalleria con quelli delle altre armi: teorie, queste, largamente riprese da Raimondo Montecuccoli.
Le quattro parti del trattato sono dedicate rispettivamente al reclutamento degli ufficiali e della truppa, all'ordine di marcia, alle norme sugli accantonamenti, alla condotta in campagna. Interessanti osservazioni il B. fa a proposito della scelta degli ufficiali di cavalleria da compiersi non secondo i titoli di nobiltà, come in passato, ma tenendo conto di un tirocinio attraverso i vari gradi della milizia. Al capitano vuole sia riservata autorità assoluta su tutti gli ufficiali, "però sempre con la saputa del commissario"; per il luogotenente richiede una età matura, che possa garantirgli "credito ed autorità presso i soldati"; giovane deve essere invece l'alfiere, poiché l'intraprendenza, lo spirito avventuroso, il desiderio di gloria sono essenziali a chi, portando lo stendardo, "ha in mano la guida di tutti gli altri". Con particolare cura è trattata dal B. la questione dell'armamento dei soldati. L'archibugiere deve essere dotato di un archibugio da portarsi a tracolla e di una spada corta, che permetta di colpire di punta, con più tempestività e più efficacía, secondo il dettato della scuola italiana, piuttosto che di taglio. Tra gli archibugieri, che devono essere giovani e robusti, il B. stima particolarmente Fiamminghi e Borgognoni, assai meno gli Italiani, che preferiscono militare nella fanteria. Qualità principale dei reparti dei lanceri deve essere, secondo il B., "velocità e lena per l'urto, cioè massa congiunta a velocità"; l'armamento del lancere è,oltre la lancia, una spada corta per colpire di punta e pisiole che "molto possono giovare in ritirata". Sulle "regole dell'alloggiare" il B. illustra le norme già dettate da Alessandro Farnese: il commissario. deve effettuare le rilevazioni topografiche e occuparsi di tutti i problemi, logistici, con l'aiuto di un "forier maggiore", disponendo anche il sistema di sorveglianza degli acquartieramenti. Altro importante capitolo è quello dedicato all'espiorazione a distanza, che il B. sottolinea come uno dei compiti principali della cavalleria: in questa parte egli fissa con estrema precisione i vari procedimenti da seguire per garantire il grosso dell'esercito dalle sorprese nemiche, frutto specialmente delle personali esperienze compiute nei Paesi Bassi e in Francia, anche se egli attribuisce il merito di aver introdotto questo impiego della cavalleria al duca d'Alba. Infine il B. tratta dell'organizzazione tattica della cavalleria leggera in combattimento, raccomandando lo schieramento a mezzaluna, piuttosto che quelli a manipoli, in linee, a scacchiera, in colonne.
Il B. morì intorno al 1607, forse nel suo feudo di Troppau.
Fonti e Bibl.: L. Crasso, Elogi di uomini illustri, Venezia 1683, pp. 17-22; Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, I, Bari 1912, p. 264; G. M. De Rolandis, Notizie sugli scrittori astigiani, Asti 1839, p. 112; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1944, p. 54; Id., Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori napoletani fioriti nel secolo XVII, II, Milano-Napoli-Pisa 1877, p. 14; P. Fea, Alessandro Farnese duca di Parma, Roma 1896, passim; B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1927, p. 25; E. Barbarich, Un generale di cavalleria italo-albanese: G. B., in Nuova antologia, LXIII (1928), vol. 260, pp. 459-473; L. van der Essen, Alexandre Farnèse, prince de Parme, gouverneur général des Pays-Bas (1545-1592), 5 voll. Bruxelles 1933-1937, passim; L. A.- Maggiorotti, Architetti e architetture militari, II, Gli architetti militari in Ungheria, Roma 1936, passim.