VESPUCCI, Giorgio Antonio
– Nacque il 22 aprile 1434, quinto di otto figli, da ser Amerigo di Stagio (1394-1472) e da Nanna di maestro Piero Onesti da Pescia (1405 circa-1467).
Membro del ramo più giovane dell’antica famiglia della nobiltà contadina che alla fine del XIII secolo dalla campagna di Peretola si era trasferita nella città di Firenze e aveva preso dimora nel quartiere di Ognissanti; il padre dal 1434 al 1470 fu notaio della Signoria di Firenze.
Non possediamo molte notizie riguardo alla sua formazione; sappiamo che per un certo periodo seguì il maestro ser Filippo di ser Ugolino Pieruzzi da Vertine, notaio delle Riformagioni e allora esiliato a Badia a Settimo (vicino a Firenze), dopo la sua caduta in disgrazia. Pieruzzi, oltre a essere dotto in tutte e sette le arti liberali, e a essere peritissimo nella lingua greca e finissimo teologo, possedeva anche una ricchissima e variegata biblioteca alla quale certamente Vespucci attinse e che costituì verosimilmente il paradigma intellettuale cui egli aspirava.
Da una sua lettera a Riccardo Becchi (1456) si deduce che egli fu in realtà un autodidatta per l’apprendimento sia del greco sia del latino; poco più che ventenne (come si deduce da un’altra sua lettera a fra Giovanni della Badia a Settimo: Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. XXXIX, 86, c. 29v) iniziò la sua attività di copista (che continuò anche nei decenni successivi), di testi greci e latini, per alcuni dei principali librai, come Vespasiano da Bisticci e Bartolomeo Fonzio.
Negli anni Settanta Vespucci era un affermato precettore della nobile gioventù della civitas Florentiae. Tra i suoi allievi si annoverano Giovanni e Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, Pietro e Giovan Vittorio Soderini, Dionysius Reuchlin, Iohannes Strefer, Antonio Lanfredini. A essi si aggiunge anche il figlio del fratello maggiore ser Nastagio, il nipote Amerigo, che al seguito dello zio non si dedicò molto agli studia humanitatis, si limitò bensì a imparare la lingua latina per poi scrivere e copiare lettere ufficiali o intrattenere relazioni internazionali. Famoso è il quadernetto (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2649) autografo del giovane Amerigo con gli esercizi ‘tematici’ di traduzione dal volgare in latino e le correzioni apposte dallo zio (Baldi, 2016). Compose anche una grammatica latina (Regole) per gli studenti e fu docente innovativo introducendo la recitazione di opere classiche.
Nel suo animo riaffiorò poi, con forza, il desiderio di seguire la vocazione religiosa che verosimilmente egli possedeva sin dalla tenera età; nella sua portata al catasto (1480) scrive: «voglio essere religioso et di già sono in habito et tonsura» (Archivio di Stato di Firenze, Catasto 1010, c. 18r).
Un testo che indubbiamente fornisce lumi sul suo slancio verso la vita consacrata è il De laudibus castitatis atque virginitatis, composto dal francescano minorita Bernardino Cherichini Barducci da Firenze nel 1471. Il dialogus (di cui si conosce oggi un solo testimone: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 25 sin. 7; edito da Gál, 1963), ambientato con ogni probabilità nei primi anni Sessanta, vede come interlocutori Francesco Della Rovere, Giorgio Antonio e un tale Cristoforo Caliziano (l’identificazione del quale è ancora oggi discussa). Gli ultimi due discutono riguardo alla difficoltà di osservare il voto di castità, con il Della Rovere che tesse, come risposta, un encomio della castità e della verginità.
Del resto Vespucci, dopo varie e annose vicissitudini, nel novembre del 1482 diventò canonico della cattedrale e nel dicembre del 1483 assunse la carica di proposto sistino del capitolo. Con particolare solerzia e rettitudine svolse le sue mansioni, non sottraendosi mai allo studio, e curò anche l’edizione del Martyrologium (1486).
Il 15 novembre 1489 rischiò di morire verosimilmente per una gravissima combinazione di ematemesi e melena provocate da ulcera gastroduodenale sanguinante; pertanto, alla fine del 1489 lasciò il canonicato al nipote Giovanni, figlio del fratello Bartolomeo, mantenendo però la carica di proposto della cattedrale fino al 1499.
Frattanto la spirituale effervescenza di Girolamo Savonarola costituì una potente calamita per molti uomini di cultura (tra i quali si ricordi almeno Giovanni Pico della Mirandola, i fratelli Antonio e Girolamo Benivieni, Zanobi Acciaiuoli) che in quegli anni aderirono all’Ordine dei predicatori. Tra di essi vi era anche Vespucci, che alla fine decise di entrare nell’Ordine domenicano; così dalla dimora canonicale in piazza del Duomo, si trasferì nel convento fiorentino di S. Marco, dove il 5 giugno 1497 ricevette formalmente l’abito. Si legge infatti nella nota all’interno della Cronica manoscritta del convento di S. Marco (Chronica conventus S. Marci de Florentia): «Frater Georgius Antonius ser Amerigi de Vespuciis, prepositus Cathedralis ecclesie Florentine, vir de integritate vite et morum in urbe Florentia semper et a cunctis opinatissimus, litteris latinis ac grecis ornatissimus, a quo bone littere et in urbe Florentia et in tota pene Italia excepte sunt. Hic annorum 64, etsi habitum nostre religionis assumpserit a fratre Hieronymo 5 junii 1497, tamen ut sibi et propinquis in suarum rerum dispositione consuleret ad hanc infrascriptam petiit dilationem professionis [1499]» (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, S. Marco 370, c. 98v). La dilazione di cui parla la Cronica si protrasse fino al capodanno fiorentino (25 marzo) del 1499 quando realmente pronunciò i voti.
Tuttavia Vespucci non sposò in toto le idee savonaroliane, e su due punti in particolare la sua visione era antitetica: il valore degli studia humanitatis e l’importanza dei libri e l’uso della mitezza nel giudicare gli uomini. La premura e lo slancio verso i libri, che ebbe, costantemente, durante la sua lunga vita è sottolineata anche dal cronista Roberto Ubaldini nel necrologio dove si legge: «Erudivit autem pater hic iuventutem florentinam, ac presertim nobiles non minus moribus quam litteris latinis et grecis; huius sunt in Bibliotheca codices tum greci tum latini quam plurimi, quos vel ipse sibi scripserat, vel hinc inde conquisierat, diligentissimus et scrupolisissimus amator ac servator cuiuscumque generis librorum, ut cui, vita etiam ipsa, chariores essent codices et littere» (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, S. Marco 370, c. 161v).
I libri che, nel corso dei decenni, egli raccolse costituiscono un patrimonio culturale immenso e, al contempo, una preziosa testimonianza della sua attività. Gli autori cristiani (Agostino, Basilio, Lattanzio, Tommaso d’Aquino ecc.) e i testi liturgici (salteri, libri d’ore ecc.) sono presenti in numero ridottissimo, sovrabbondano invece gli autori classici latini (Cicerone, Orazio, Ovidio, Prisciano, Seneca, Terenzio, Virgilio e altri) e greci (Aristotele, Erodoto, Luciano, Manuele Moscopulo, Platone, Porfirio, Michele Psello e altri), ma sono presenti anche testi in volgare e di autori coevi come Leonardo Bruni, Domizio Calderini, Marsilio Ficino e altri (Gallori - Nencioni, 1997). Alla stregua della biblioteca di Pieruzzi, anche quella di Vespucci tendeva a coprire i vari campi dello scibile umano, come era ormai consuetudine presso gli umanisti; così accanto ai Padri della Chiesa e ai classici si trovavano testi geografici, cosmografici, matematici, geometrici. Essa annoverava verosimilmente qualche centinaio di libri (ma anche in anni recenti altre scoperte sono state compiute; si veda per esempio Kindekens, 2015) e oltre ai numerosi testi manoscritti includeva esemplari a stampa. I libri presentano note di possesso quasi sempre accompagnate dall’espressione greca che sottolinea chiaramente il desiderio di Vespucci che gli esemplari della sua biblioteca fossero condivisi con la cerchia culturale che intorno a lui gravitava (Hobson, 1949). Il lascito dei libri vespucciani alla Libreria dei canonici di S. Maria del Fiore e a quella di S. Marco fu per entrambe di grande valore e foriero di notevoli benefici.
Tanto profondo era l’amore e il legame tra Vespucci e i libri che certamente non ci stupisce il profilo di Vespucci che offre fra Vincenzo Mainardi (v. Verde-Giaconi, 1992, I, pp. 63 s., 260): un anziano farneticante che, nell’appressarsi del passaggio dalla vita terrena a quella ultraterrena, sveglio durante le ore notturne, sfiora con premuroso affetto il suo tesoro di inesauribile ricchezza: i libri appunto.
Alla venerabile età di ottant’anni, all’interno del convento di S. Domenico sulle colline di Fiesole, presso Firenze, dove si era trasferito sul finire del 1499, esalò l’ultimo respiro il 17 aprile 1514.
Una significativa epigrafe che sintetizza la sua figura è costituita dai tre distici elegiaci dell’umanista fiorentino Alessandro Braccesi (1944, p. 103).
Fonti e Bibl.: A. Braccesi, Carmina, a cura di A. Perosa, Firenze 1944, p. 103; G.D. Hobson, ‘Et amicorum’, in The Library, V (1949), pp. 87-99; G. Gál, Bernardini de Florentia. Dialogus de laudibus castitatis atque virginitatis, in Franciscan Studies, XXIII (1963), pp. 149-178; A.F. Verde, La Congregazione di San Marco dell’Ordine dei frati predicatori. Il ‘reale’ della predicazione savonaroliana, in Memorie domenicane, XIV (1983), pp. 151-237; Id. - E. Giaconi, Epistolario di fra Vincenzo Mainardi da San Gimignano, domenicano 1481-1527, I-II, Pistoia 1992; F. Gallori - S. Nencioni, I libri greci e latini dello scrittoio e della biblioteca di G.A. V. Introduzione e catalogo, in Memorie domenicane, XXVIII (1997), monografico: Libri di vita, libri di studio, libri di governo (Savonarola e G.A. V.), pp. 155-359; A. Kindekens, A latin grammar by G.A. V.: some recent discoveries, in Medioevo e Rinascimento, XXVI (2015), pp. 243-253; D. Baldi, The young Amerigo Vespucci’s latin exercises, in Humanistica Lovaniensia, LXV (2016), pp. 39-48; K. Schlebusch, G.A. V. (1434-1514). Maestro, canonico, domenicano, Firenze 2017.