ANDREASI, Giorgio
Nato a Mantova il 31 genn. 1467 e avviato alla carriera ecclesiastica, fu introdotto ben presto alla corte dei Gonzaga. Della sua sorte decise Isabella d'Este, che lo pose al fianco del nipote Francesco Sforza, secondogenito di Ludovico il Moro e ultimo duca di Milano; in qualità di accompagnatore dello Sforza, allora diciottenne, troviamo infatti l'A. presente a Roma nel settembre del 1513 durante le feste fatte celebrare da Leone X per la nomina di Giuliano e Lorenzo de' Medici a patrizi romani. Dopo l'occupazione francese di Milano del 1515, l'A. seguì il duca nell'esilio e con lui vi fece ritorno nel 1522 quando il ducato venne ristabilito proprio nella persona di Francesco II Sforza. In quegli anni turbinosi per il Milanese e nell'instabile situazione dello Sforza, l'A. ebbe una notevole parte nel difficile compito di assistere e consigliare il duca, cui la presenza degli Spagnoli lasciava scarsa autonomia. Avendo Francesco II mantenuto in vita e riformato il Senato istituito da Luigi XII, ne chiamò a far parte anche l'Andreasi. In questo periodo figura già col titolo di protonotario, ma non si sa quando ne sia stato insignito.
Al congresso di Bologna del 1529-30, ove si sanzionò l'assegnazione di Milano allo Sforza, l'A. fu presente a fianco del duca; data da quell'epoca la sua nomina ad ambasciatore ducale a Roma, incarico che tenne sino all'ottobre 1535.
La fitta serie dei suoi dispacci sono una fonte preziosa per la storia dello stato di Milano in quegli anni e per la vita dell'ultimo duca. Da Roma l'A. si interessò per condurre in porto il matrimonio di Francesco II, condizione indispensabile per garantire la successione e la libertà del ducato; e quando sul finire del 1531 il duca gli manifestò propositi di rinuncia e di abbandono dello stato, egli ne lo dissuase assicurandogli la protezione del pontefice. Accompagnò Clemente VII al secondo convegno di Bologna nel dicembre del 1532 ed assistette anche questa volta il duca nelle trattative e nelle discussioni. Più grave fu l'anno dopo il compito di discolparlo dall'accusa pubblica di aver fatto assassinare l'inviato francese Alberto Maraviglia.
Pur contando ottimi amici in Curia, dove ottenne anche alcuni uffici, e pur rappresentando gli interessi milanesi con grande solerzia, nonostante l'assorbimento del ducato nell'ambito della politica imperiale, l'A. a Roma era in una condizione assai precaria, tanto da ricevere saltuariamente le provvigioni e da dover spesso ricorrere anche per le spese di rappresentanza alle entrate che gli provenivano da certi suoi fondi nel Cremonese e nel Mantovano. Verso la fine della sua missione però Francesco II gli assegnò una pensione annua di 2.500 ducati, confermatagli più tardi da Carlo V.
Già alla fine del 1534 l'A. aveva chiesto al duca di richiamarlo; avutone il consenso differì la partenza da Roma di mese in mese, allontanandosene solo il 23 ott. 1535, dopo che era stato designato a sostituirlo il vescovo di Modena Giovanni Morone. Il 2 novembre successivo a Milano poté appena in tempo assistere alla morte di Francesco II. Dopo una sosta di due mesi a Milano tornò a Mantova, accolto nuovamente alla corte dei Gonzaga, ma con la speranza di un nuovo incarico a Milano o in Curia: ne sollecitò a tal fine un suo nipote che era al servizio di Paolo III, G. B. Andreasi. Questi, recando nell'aprile del 1537 al duca di Mantova la Rosa d'oro concessagli dal papa, portò allo zio l'ordine di recarsi a Bologna quale precettore del diciottenne cardinal legato Guido Ascanio Sforza, nipote di Paolo III. L'A. accettò, ma, adducendo anche motivi di salute, non nascose il suo scarso entusiasmo per quel compito. È incerto se, partito il cardinale da Bologna, e nominato il 22 ott. 1537 "camerarius", l'abbia seguito a Roma anche l'Andreasi. Questi tuttavia il 20 marzo 1538 fu eletto vescovo di Chiusi e il 22 febbr. 1540 nominato nunzio a Venezia.
Si trattava di una missione oltremodo difficile per la necessità di reprimere i sempre più frequenti casi d'eresia e per la suscettibilità della Repubblica gelosa della propria autonomia. Lo si vide quando l'A. fece sottoporre a processo l'agostiniano Giulio della Rovere da Milano. Accusato da Roma di tiepidezza, l'A. ne sollecitò la condanna, ma, oltre a subire pressioni da parte dei Veneziani perché l'inquisito fosse rimesso in libertà, non gli sfuggirono i tentativi che certi autorevoli protettori di lui facevano in tal senso - e con speranza di successo - direttamente sul papa: segno che anche a Roma si era ancora incerti sull'atteggiamento da adottare nei riguardi della politica della Serenissima.
Alla nunziatura di Venezia l'A. rimase sino al 18 apr. 1542, sostituito da Fabio Mignanelli. Il 2 apr. 1544 venne trasferito dalla sede di Chiusi a quella di Reggio Emilia, succedendo al cardinale Marcello Cervini. Malato e avanti negli anni, l'anno successivo ebbe come coadiutore, con diritto di successione, il nipote G. Battista Grossi, anch'egli mantovano. Non potendosi recare personalmente a Trento per il concilio, vi inviò due procuratori; ma dopo il trasferimento a Bologna figura presente alla congregazione generale del 14 sett. 1547 per la redazione dei canoni sul matrimonio. Della sua attività pastorale si ha qualche traccia a Reggio.
Morì ottantaduenne il 22 genn. 1549 e il suo corpo venne sepolto a Mantova nella chiesa del Carmine.
Fonti e Bibl.: Dispacci e lettere dell'A. si conservano in grande quantità; è inesatto perciò quanto afferma il Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., II, coll. 1755-1756 (sotto la voce Andreucci G.). Notizie e accenni erano già in vari saggi; ora stralci più ampi in C. Marcora, Ippolito II arcivescovo di Milano, in Mem. stor. della diocesi di Milano, VI, Milano 1959, pp. 305-321. I dispacci da Roma a Francesco IIe le minutedi questisono nell'Arch. di Statodi Milano: Arch. Sforzesco, Pot. Estere, Roma, cart. 138 e cartelle 1290-1302.Ivi pure è la corrispondenza tra l'A. e il cardinal Caracciolo, governatore di Milano, degli anni 1536-37(Documenti diplomatici, cartelle 15-22); due lettere sono anche nella raccolta degli Autografi, cart. 40 e 48.
La corrispondenza da Venezia, conservata nell'Arch. di Statodi Parma, Carteggio farnesiano estero, Venezia, busta 508/2, fasc. 2, 3, 4(1539-1541), e busta 509/3, fasc. 1 (1542-1546), è in corso di pubblicazionead opera di F. Gaeta e A. Stella nei volumi de La Nunziatura di Venezia editi dall'Istit. stor. ital. per l'età moderna e contemporanea, Roma 1958 e ss.
F.Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, II,Venetiis 1717, coll. 315-316; III, ibid. 1718, col.650; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, p. 706; C. Romussi, La morte di Alberto Maraviglia, in Arch. stor. Lombardo, I (1874), p. 253; G. Capasso, I legati al Concilio di Vicenza del 1538, in Nuovo Arch. Veneto, III (1892), pp. 107-108; A. Massarelli, Diarium, in Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, I, Freiburgi Brisgoviae 1901, pp. 205, 207, 427.696; A. Luzio, Isabella d'Este nei primordi del papato di Leone X e il suo viaggio a Roma nel 1514-1515, in Arch. stor. lombardo, XXXIII (1906), fasc. 11, pp. 127 ss.; G. Capasso, Fra Giulio da Milano, ibid., XXXVI(1909), fasc. 22, pp.387-402; P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, Roma-Milano 1910, I, pp. 507-509 e 514; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 96; L. v. Pastor, Storia dei Papi, V, Roma 1914, pp. 180, 435; G. vanGulik-C. Eubel, Hierarchia catholica...III, Monasterii 1923, pp. 171, 284; N.Guastella, Tre pretesi delitti di Francesco II Sforza, in Arch. stor. lombardo, LXXV (1948-49), fasc. 1, pp. 115 ss.