ORSINI, Giordano
ORSINI, Giordano. – Figlio di Giovanni e di Bartolomea Spinelli, nacque a Roma negli anni Sessanta del XIV secolo.
Il suo nome è attestato per la prima volta in due bolle di papa Bonifacio IX emanate il 25 e il 26 gennaio 1397, con le quali fu nominato rispettivamente plebanus plebis di S. Giuliano a Venezia e arcidiacono di Ascoli. L’anno 1400 vide la sua elezione all’arcivescovado di Napoli. Il 12 giugno 1405 fu tra gli undici nuovi cardinali creati da papa Innocenzo VII, assumendo il titulus di Ss. Sivestro e Martino ai Monti. Poco dopo divenne protettore dell’Ordine francescano.
Come chiarisce un panegirico anonimo scritto in quegli anni, ci si aspettava molto da Orsini in un momento in cui sia Roma sia la Chiesa si ritrovavano in uno stato di precarietà: «Inclita progenies Ursini sanguinis alti | Has dominas [i.e., ‘Urbem romanam’ e ‘Ecclesiam’] curat defendere mente manuque» (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Archivum Capituli Sancti Petri, C 115, cc. 123-130v, edito in Simpson, 1966, pp. 141-149).
L’elezione, nel novembre 1406, al soglio pontificio di Angelo Correr col nome di Gregorio XII evidenziò quanto critica fosse la questione dell’unità della Chiesa. Il ristretto gruppo di cardinali che lo aveva designato, tra i quali Orsini, stabilì che se fosse stato possibile convincere l’antipapa Benedetto XIII ad abdicare, lo stesso avrebbe dovuto fare Gregorio, aprendo la possibilità di eleggere un nuovo pontefice (sulla posizione di Orsini, vi è una fonte di poco successiva, datata ai tempi del Concilio di Pisa: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ott. lat., 2356, c. 235r; cfr. König, 1906, p. 12); tuttavia, dopo una serie di incontri dominati dal sospetto e di contatti mancati (durante i quali Orsini rimase leale a Gregorio), nessuno dei due rivali si rese disponibile a lasciare spontaneamente il potere. Orsini ruppe definitivamente con Gregorio dopo essersi convinto che questi non aveva alcuna volontà di lavorare per l’unità. L’episodio finale si verificò a Lucca, dove si trovavano nel maggio 1408 alcuni membri della Curia: Gregorio vietò ai cardinali di lasciare la città senza il suo esplicito consenso, sotto la minaccia di privarli degli onori connessi ai loro incarichi (ibid., pp. 13 s.), ma Orsini si unì al gruppo di cardinali che si misero in viaggio per Pisa, dove si trovava un’altra parte del Collegio cardinalizio.
Le Glossae di Orsini, redatte in forma di 50 punti contro Giovanni Dominici, domenicano fiorentino elevato alla porpora da Gregorio XII e nominato arcivescovo di Ragusa, forniscono un resoconto brillante di questo periodo. Vi emerge la percezione di Orsini che Gregorio avesse perso di vista le ragioni stesse di essere papa e che fosse tentato di mantenere il papato «tyrannice»: «si potrebbe vedere quanto il suo carattere mostri chiaramente che egli non ha alcuna intenzione di cedere» (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 4000, cc. 40v e 41); Dominici viene dipinto come «filius demonis» (ibid., c. 41v).
Al Concilio di Pisa, convocato il giorno della festa dell’Annunciazione (25 marzo) del 1409, fu istruito un processo ai due contendenti. In quello a carico di Gregorio XII Orsini si spinse ad accusare Gregorio di aver segretamente consultato a Lucca un ebreo per utilizzare la negromanzia e l’invocazione dei demoni al fine di determinare quale fosse la corretta condotta da adottare in merito all’unificazione (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ott. lat., 2356, c. 237: cit. in König, 1906, p. 21, n. 7). L’esito dei processi fu che sia Benedetto XIII sia Gregorio XII furono dichiarati decaduti, perché giudicati colpevoli di aver peccato contro la Chiesa. Orsini fu tra i 24 cardinali (14 italiani, 10 francesi) che si riunirono per eleggere un nuovo papa. Scelsero Pietro Filargo, arcivescovo di Milano, che assunse il nome di Alessandro V, aprendo così la breve era in cui ci furono tre pretendenti al papato.
Alessandro unificò i due gruppi di cardinali allora presenti a Pisa in un unico collegio, del quale faceva parte anche Orsini, che mutò il suo titulus in quello di S. Lorenzo in Damaso. Durante questo periodo fu anche nominato commendator delle Quinque ecclesiae in Ungheria (Pécs).
Alessandro morì nel maggio 1410 e gli successe Baldassarre Cossa col nome di Giovanni XXIII, il quale, politicamente scaltro, tra le altre misure adottate, il 3 agosto 1410 riconobbe Sigismondo di Lussemburgo come re d’Ungheria. Il 13 agosto Orsini rinunciò al suo beneficio in Ungheria e subito dopo Sigismondo dichiarò obbedienza a Pisa: i due fatti appaiono in qualche modo collegati (cfr. König, 1906, p. 24).
Nel 1411 e nel 1412 furono affidate a Orsini legazioni in Spagna (per predicare a favore di una crociata contro i Mori) e nel Piceno. Poco è noto riguardo alla missione diplomatica in Spagna, a eccezione della bolla papale che lo incaricava dell’ufficio. La legazione nelle Marche implicò lo svolgimento di un ruolo delicato all’interno del sistema di relazioni, complesso e in repentino mutamento, che coinvolgeva Giovanni XXIII, Gregorio XII (che non aveva abbandonato le sue pretese), Paolo Orsini, cugino dello stesso cardinale Giordano, Ladislao di Napoli e Carlo Malatesta. Le macchinazioni su questo fronte continuarono e si conclusero solo con la morte di Ladislao nell’agosto 1414.
Nel frattempo Orsini aveva accumulato altre onorificenze, fra cui i titoli di vicario di Roma e «visitator di chiese, chiostri e spazi sacri» (ibid., p. 27), con la principale responsabilità di sovrintendere agli sforzi di riforma. Il 23 settembre 1412 fu nominato cardinale vescovo di Albano. Era ormai uno dei porporati di maggior prestigio e la sua presenza al Concilio di Costanza, dove giunse il 28 ottobre 1414 insieme a Giovanni XXIII, fu rimarchevole. Presiedette la quarta e la quinta delle 42 sessioni, piuttosto importanti in quanto rafforzarono il decreto Haec sancta, secondo il quale il Concilio derivava il suo potere da Cristo, senza mediazioni, e tutti, di qualsiasi condizione, finanche quella papale, dovevano obbedire alle sue decisioni «nelle materie riguardanti la fede, l’estirpazione dello […] scisma, e la riforma generale della Chiesa nella sua testa e nelle sue membra» (G.B. Mansi, Sacrorum conciliorum nova amplissima collectio, XXVII, Venezia 1784, p. 590; cfr. Brandmüller, 1991, pp. 239-261 e Decaluwe, 2008). Orsini prese parte all’intero Concilio, rivestendo anche altri ruoli: nella tredicesima sessione fu infatti nominato membro del comitato incaricato di esaminare il caso di Jean Petit (il teologo francese, morto pochi anni prima, che aveva sostenuto la liceità dell’esecuzione dei tiranni). Fece poi parte di una commissione che avrebbe dovuto raccogliere capi d’imputazione contro Giovanni XXIII, il quale si era dato alla fuga dopo che il Concilio aveva stabilito che tutti e tre i contendenti per il trono papale dovessero abdicare. A Orsini e ad altri cardinali fu affidato il compito di comunicare a Giovanni XXIII – nel frattempo catturato e riportato a Costanza – che era stato riconosciuto colpevole di simonia e mediocre gestione della Chiesa. Giovanni abdicò e passò alla storia come antipapa.
Grande era l’ansia, al Concilio come altrove, per il futuro della Chiesa, ma nell’aria vi era anche speranza, come svela la lettera di Orsini del 3 aprile 1416 ai preoccupati cittadini di Viterbo, a cui scriveva che nonostante i molti problemi e ritardi, «un’unica cosa osiamo di affermare: che è nostra opinione, condivisa anche dagli altri che sono qui, che dovremmo presto avere un papa al di sopra di ogni discussione, al quale la Cristianità tutta dovrà obbedienza, e che solleverà i buoni figli della Chiesa e che punirà debitamente i corrotti e ribelli», Theiner, 1862, n. 151).
Lo Scisma si risolse finalmente l’11 novembre 1417, quando il conclave elesse papa Oddone Colonna, che prese il nome di Martino V. Durante il suo pontificato Orsini assunse altre responsabilità onerose. Fu infatti inviato come nunzio pontificio in Francia, nella speranza di promuovere l’unità della Chiesa e di incoraggiare la missione di pace tra Inghilterra e Francia. La battaglia di Agincourt del 1415, che aveva rappresentato per l’Inghilterra una vittoria straordinaria ma aveva accresciuto le divisioni all’interno della nobiltà francese, era un ricordo quando, nel 1418, Orsini arrivò in Francia insieme al cardinale Guillaume Fillastre, trovandosi ad assistere a circostanze di grande rilievo, mentre Enrico V continuava a esercitare la sua pressione sulla Francia, occupando la bassa Normandia e assediando Rouen. Sempre con Fillastre, Orsini incontrò il 14 aprile 1418 a Digione Giovanni senza Paura, duca di Borgogna e fu presente anche ai negoziati di pace, sostanzialmente falliti, di Pont de l’Arche (dove il contrasto sulla lingua in cui le trattative avrebbero dovuto essere condotte pregiudicò la possibilità di una soluzione soddisfacente).
Prima del 18 marzo 1419 era di ritorno presso la corte papale di Martino V, che si trovava allora a Firenze.
Martino V rientrò a Roma il 28 settembre 1420, avviando una politica di consolidamento. Tra gli elementi di questa linea vi era il rafforzamento dei legami con i più influenti casati romani, tra cui quella Orsini, ai quali assicurò il vicariato di Bracciano, dove essi avevano da tempo istituito loro proprietà.
Orsini, ancora con Fillastre, prese parte a una commissione incaricata di produrre una lista delle chiese di Roma che avevano subito danni durante lo Scisma e necessitavano di restauro. Nel 1421, gli fu affidata una missione diplomatica nel Piceno (con il cardinale Antonio Correr), con la precipua finalità di combattere i fraticelli, nell’ambito del tentativo di Martino V – energico, spesso violento, ma dal punto di vista papale riuscito – di riformare e sradicare il fenomeno fraticellesco e di imporre l’unità ai francescani.
Nel 1422 collaborò a un altro degli obiettivi del pontefice, quello della riforma della Curia, partecipando a un gruppo di lavoro deputato a segnalare progetti da discutere nel Concilio di Siena (che fu un tale insuccesso di partecipazione da non poter promulgare in sostanza alcuna decisione che non fosse una riconferma di tutti i decreti del Concilio di Costanza). I punti focali comprendevano la selezione dei vescovi, gli usi della commenda e l’adeguatezza dei candidati agli uffici curiali (cfr. König, 1906, p. 46).
Nel 1415 Orsini era stato eletto anche poenitentiarius maior (capo della Penitenzieria apostolica), carica che conservò fino alla morte. In tale veste, durante il pontificato di Martino V compì una serie di atti rilevanti, fra cui la concessione al predicatore francescano Giovanni da Capestrano di poteri all’interno di quel dicastero solitamente riservati ai vescovi (1425). Inviato a combattere l’eresia hussita in Ungheria e in Boemia, dove il sentimento nazionale si era infiammato dopo l’esecuzione di Jan Hus a Costanza, con il re Sigismondo Orsini sostenne che non si dovesse neppure intraprendere la discussione religiosa con gli eretici, ma che essi andassero semplicemente eliminati, posizione che mantenne anche svolgendo incarichi successivi (cfr. König, 1906, p. 50), come quando fece ritorno nelle Marche (nel 1427, di nuovo con Antonio Correr), per combattere i fraticelli.
Morto Martino V il 20 febbraio 1431, il conclave, riunito presso la chiesa domenicana di S. Maria sopra Minerva, dopo un primo scrutinio andato a vuoto (Orsini e il cardinale Alfonso de Carillo avrebbero ricevuto sei voti ciascuno: cfr. König, 1906, p. 59), il 3 marzo elesse Gabriele Condulmaro (un nipote di Gregorio XII), che assunse il nome di Eugenio IV. Il 14 marzo il nuovo papa trasferì Orsini dalla diocesi suburbicaria di Albano a quella della Sabina, avvantaggiandone gli interessi, in quanto consentiva a lui e alla sua famiglia di rinsaldare i già cospicui possedimenti nella regione.
Come il suo patrimonio personale, crebbe la sua posizione nella Chiesa. Gli fu nuovamente affidato un incarico diplomatico di responsabilità, questa volta al Concilio di Basilea, i cui lavori furono aperti ufficialmente dal cardinale Giuliano Cesarini il 23 luglio 1431 e che avrebbe dovuto affrontare l’eresia hussita e il tema della supremazia papale.
Orsini si manteneva ardente sostenitore dell’unità della Chiesa e di un pontificato forte, come chiarisce una lettera a Cesarini del 15 luglio 1433, in cui scriveva che, sebbene fosse certo delle buone intenzioni dello stesso Cesarini, «ciò non di meno, esorto di tutto cuore la Paternità vostra, e imploro la misericordia di Dio, che ogni vostro pensiero, ogni vostro atto siano rivolti alla pace e alla salvezza della Chiesa, e che non permettiate di essere sviato da nulla che possa favorire lo scisma nella Chiesa» (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XVI, 13, c. 83v; cfr. König, 1906, p. 117). Il Concilio tuttavia insisteva nelle sue decisioni antipapali, sfidando l’appello del pontefice per il suo scioglimento, e le richieste di Orsini rimasero fondamentalmente prive di esito.
Nel 1434 Orsini si ritrovò al fianco di Eugenio in una Roma ormai tanto instabile da costringere il papa a trasferire temporaneamente la Curia a Firenze. Qui Orsini giunse il 1° agosto, stabilendosi nella residenza di Cosimo de’ Medici, da poco rientrato dall’esilio e sulla strada di rinsaldare rapidamente il suo potere. Nella città toscana proseguì nei suoi sforzi di influenzare per lettera le decisioni che si prendevano a Basilea (cfr. J. Haller, Concilium basiliense. Studien und Quellen zur Geschichte des Konzils von Basel, III, Protokolle des Concils 1434 und 1435: Aus dem Manuale des Notars Bruneti und einer römischen Handschrift, Basel 1900, p. 263), celebrò alcune messe solenni (cfr. König, 1906, p. 74) e, in qualità di protettore dell’Ordine francescano, fu incaricato da Eugenio di riformare l’Ordine delle clarisse di Firenze (cfr. L. Wadding, Annales Minorum seu trium Ordinum a S. Francisco institutorum, ab anno 1541 continuati a pluribus viris eruditis, X, pp. 265 s.). Presenziò infine alla festa per la consacrazione di S. Maria del Fiore il 25 marzo 1436.
Nel frattempo, l’imperatore bizantino Giovanni Paleologo, stretto dalla minaccia degli ottomani, chiedeva con insistenza soccorso all’Occidente e aveva contattato tanto i padri riuniti a Basilea quanto il papa, sollecitando l’unificazione delle Chiese di Oriente e di Occidente. Dopo discussioni e cambi di sede, i superstiti del Concilio di Basilea si riunirono nel gennaio 1438 a Ferrara. Orsini, che li raggiunse all’inizio del mese successivo, fu uno dei quattro cardinali che accolsero Paleologo al suo arrivo il 4 marzo. Fu presente al Concilio fino al 15 maggio, ma senza un ruolo molto attivo (cfr. G.B. Mansi, Sacrorum conciliorum nova amplissima collectio, XXXI, Venezia 1798, p. 477).
Morì il 29 maggio 1438 presso un complesso termale vicino a Siena.
Fu sepolto, secondo le sue volontà, nella cappella di famiglia nella basilica antica di S. Pietro (nel suo testamento si legge: «volo et iubeo corpus meum sepelliri in ecclesia Sancti Petri de Urbe in cappella que vulgariter dicitur Sancta Maria Pregnantium», Celenza, 1996, p. 275). La tomba fu traslata nelle Grotte vaticane dopo l’intervento sulla basilica voluto da Paolo V.
Orsini fu un grande mecenate degli studi umanistici e delle arti. Commissionò un ciclo di affreschi di Uomini illustri da realizzare nella sua residenza, il palazzo Orsini a Monte Giordano (Giovanni Rucellai nel suo Il Giubileo del 1450 ricorda: «Monte Giordano, dove habita il cardinale degli Orsini, dove è una bellissima sala storiata con buone figure et con cierte finestre d’alabastro in luogo di vetri»; cit. in Simpson, 1966, p. 136; cfr. anche Gagliardo, 1996), chiamando tra gli altri Masolino da Panicale e Paolo Uccello. I danni causati più tardi dai partigiani della famiglia Colonna al palazzo furono tali da distruggere l’intero ciclo di affreschi, di cui è però possibile ricostruire l’aspetto sulla base di disegni (cfr. S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, pp. 101, 109; Mode, 1972, p. 368, n. 2).
L’impegno più consistente nel campo della cultura tuttavia Orsini lo profuse nel collezionismo di libri come conferma l’elogio di Lapo da Castiglionchio il Giovane, il quale dedicò al cardinale la traduzione del Publicola di Plutarco: «avete portato da ogni dove alla vostra città così tanti libri, di ogni genere di disciplina, [...] che tutti coloro che sono desiderosi di conoscenza possono farne uso senza sforzo, spesa o dificoltà» (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. lat., 918, cc. 235v-236, cit. in Lombardi-Onofri, 1980, pp. 379 s., n. 2). Tra i codici più notevoli raccolti da Orsini, che nel 1425 incaricò della ricerca di manoscritti Oltralpe il futuro cardinale Nicola Cusano, figuravano l’Archivum Capituli Sancti Petri H 25 della Biblioteca apostolica Vaticana, importante testimone per la trasmissione testuale delle orazioni di Cicerone, e il Vaticano latino 3870, conservato presso la stessa biblioteca: scoperto da poco, questo conteneva alcune commedie di Plauto all’epoca sconosciute, il che lo rendeva un vero oggetto del desiderio per molti umanisti (cfr. Questa, 1968), come rivela una lettera scritta da Poggio Bracciolini a Niccolò Niccoli per lamentarsi di come Orsini custodisse il manoscritto troppo gelosamente («prima che partisse, ho chiesto al cardinale di mettermi a disposizione il libro: ha rifiutato. Non capisco quest’uomo», in Lettere, a cura di H. Harth, I, Lettere a Niccolò Niccoli, Firenze 1984, p. 39). In effetti, Orsini aveva prestato ad amici fiorentini un codice di Tertulliano (oggi nelle raccolte della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Conventi soppressi, I.VI.10), senza mai riceverlo indietro, per cui la riluttanza a cedere il suo Plauto era giustificata.
Oltre che con Poggio e Niccoli, Orsini ebbe contatti con molti dei principali umanisti del suo tempo, come Leonardo Bruni, Ambrogio Traversari e Guarino da Verona (cfr. König, 1906, pp. 82-103). Forse furono le relazioni con questo circolo di dotti, insieme alle sue convinzioni personali, a convincerlo a donare la sua considerevole collezione di libri per fondare una biblioteca presso la chiesa romana di S. Biagio (di rito armeno), che aspirava a unificare con la basilica di S. Pietro: «sia affinché il culto divino in entrambe le chiese citate possa crescere, sia affinché possano moltiplicarsi il più possibile quanti, nella già menzionata chiesa di San Pietro e nella città di Roma, sono dediti alla cultura e alla conoscenza» (cfr. Celenza, 1996, pp. 277 s.). Per quanto il suo progetto non giunse a compimento, l’idea di destinare la propria biblioteca al bene comune (cfr. Id., 2004, pp. 43-52) ben rappresenta le migliori intenzioni di questo principe della Chiesa vivace, colto e cosmopolita, che considerò gli interessi della Chiesa e quelli della Città eterna indissolubilmente legati.
Fonti e Bibl.: Glossae: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 4000, cc. 37v-43v; 4192, cc. 41-48; 5595, cc. 447-56; Roma, Biblioteca Corsiniana, Cod. 1046; Acta del Concilio di Basilea: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XVI, 13; Testamentum (originale ed estratto incompleto): Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Archivum Capituli Sancti Petri, Caps. LVIII, f. 206; Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, III, 1389-1793, a cura di A. Theiner, Città del Vaticano 1862; G. Rucellai, Il Giubileo del 1450 secondo una relazione di Giovanni Rucellai, a cura di G. Marcotti, in Archivio della Società romana di storia patria, IV (1881), pp. 563-580; E. König, Kardinal G. O.(+1438), Freiburg im Breisgau 1906; W.A. Simpson, Cardinal G. O. (+1438) as a prince of the Church and a patron of the arts. A contemporary panegyric and two descriptions of the lost frescoes in Monte Giordano, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXIX (1966), pp. 135-159; C. Questa, Per la storia del testo di Plauto nell’umanesimo, Roma 1968; R.L. Mode, Masolino, Uccello and the Orsini ‘Uomini Famosi’, in The Burlington Magazine, CXIV (1972), pp. 368-375, 377 s.; G. Lombardi-F. Onofri, La biblioteca di G. O. (c. 1360-1438), in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, a cura di C. Bianca et al., Città del Vaticano 1980, pp. 372-382; W. Brandmüller, Das Konzil von Konstanz, 1414-18, I, Paderborn 1991, pp. 239-261; M. Gagliardo, Una raccolta di «scripta» dallo «Studio» del cardinale Giordano Orsini e gli affreschi delle sei età del mondo nel suo palazzo romano, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 4, I (1996), 1-2, pp. 107-118; C.S. Celenza, The will of cardinal Giordano Orsini (ob. 1438), in Traditio, LI (1996), pp. 257-286; Id., Renaissance humanism and the papal Curia: Lapo da Castiglionchio the Younger’s De curiae commodis, Ann Arbor 1999; Id., Creating canons in fifteenth-century Ferrara: Angelo Decembrio’s De politia litteraria, 1.10, in Renaissance Quarterly, LVII (2004), pp. 43-98; A. Ciaralli, Biblioteche e scritture nella Roma del primo Umanesimo: G. O. e i suoi libri, tesi di laurea, Università degli studi ‘La Sapienza’ di Roma, a.a. 1989-90; M. Decaluwe, Three ways to read the Constance decree Haec Sancta (1415): Francis Zabarella, Jean Gerson, and the traditional view of papal councils, in G. Christianson - T. M. Izbicki - C.M. Bellitto, The Church, councils, and Reform: The legacy of the fifteenth century, Washington, DC, 2008, pp. 122-139.