Gion no shimai
(Giappone 1936, Le sorelle di Gion, bianco e nero, 69m, durata originale 95m); regia: Mizoguchi Kenji; produzione: Nagata Masaichi per Daiichi; soggetto: dal romanzo La fossa di Aleksandr I. Kuprin; sceneggiatura: Yoda Yoshikata, Mizoguchi Kenji; fotografia: Miki Minoru; montaggio: Sakane Tatsuko; scenografia: Imai Kenichi, Horiguchi Shōtarō, Kishinaka Yujirō; costumi: Sakamoto Fujitarō.
Il mobilio viene messo all'asta, la moglie piange, il commerciante Furusawa, andato in fallimento, si reca dalla geisha Umekichi nel quartiere delle case di piacere Gion. Umekichi accoglie amorevolmente il suo protettore di un tempo, per quanto lei e la sorella minore Omocha versino a loro volta in gravi difficoltà economiche. A differenza della mite sorella, nello spietato mondo del piacere venale Omocha lotta con freddo opportunismo per il proprio profitto. Istiga il commerciante di stoffe Kimura, innamorato di lei, a sottrarre un costoso tessuto da kimono e quando Kudō, il proprietario del negozio di stoffe, le fa le proprie rimostranze, lei lo seduce all'istante e ne fa il proprio protettore. Allo scopo di far sposare Umekichi con il ricco antiquario Jurakudō, Omocha scaccia Furusawa e inganna la sorella, ma quando Umekichi viene a sapere che Furusawa ha trovato alloggio nelle vicinanze si trasferisce da lui, sperando di conquistare il suo pezzettino di felicità. Di notte un taxi, presumibilmente su ingiunzione di Kudo, va a prelevare Omocha. È Kimura che getta, per vendetta, la ragazza fuori dall'auto in corsa. Mentre Umekichi si attarda in ospedale al capezzale della sorella gravemente ferita, Furusawa parte per tornare dalla moglie e intraprendere una nuova attività. Nessuna delle due sorelle è riuscita a realizzare quanto aveva in animo. Furibonda e piangente, Omocha si lancia in un'accusa violenta contro la società: "Perché dobbiamo soffrire così? Perché esistono le geishe? È tutto sbagliato, tutto sbagliato… Vorrei che non ci fosse più la prostituzione!". La cinepresa si avvicina al suo volto, fino a uno dei rari primissimi piani del film.
Gion no shimai rientra nel novero dei grandi film incentrati su protagoniste femminili che Mizoguchi Kenji girò negli anni Trenta e che rappresentano il culmine della sua opera. Anche i capolavori hanno una genealogia. Per Gion no shimai si possono citare innanzitutto il melodramma shinpa, genere cinematografico imperante fino al 1922, che celebrava il sacrificio della donna (quasi sempre fino alla sua stessa morte), in secondo luogo i film di forte impegno sociale (keikō eiga), girati intorno al 1930 (fra cui Tōkai kokyōgaku ‒ Sinfonia della grande città sulla costa, sempre di Mizoguchi, del 1929) e infine i film di Josef von Sternberg che con il loro complesso, raffinato estetismo e l'uso fluido della cinepresa avevano esercitato un grande fascino sul cinema giapponese e in particolare su Mizoguchi.
Il film che l'aveva preceduto, Naniwa erejī (Elegia di Osaka, 1936), mostrava il degrado di una telefonista che finiva per prostituirsi; Gion no shimai, realizzato pochi mesi dopo con lo stesso cast e la stessa troupe, appare come la sua continuazione. Con questi due film iniziava la feconda collaborazione, durata anni, di Mizoguchi con lo sceneggiatore Yoda Yoshikata e il produttore Nagata Masaichi. Con una precisione e una veemenza sorprendenti ‒ anche agli occhi di noi contemporanei ‒ Gion no shimai illustra e analizza i rapporti fra i sessi e i meccanismi dell'oppressione, analisi valida per ogni cultura e per ogni epoca. Non stupisce che la censura dell'epoca pretendesse tagli per complessivi ventisei minuti. La critica lo elesse a miglior film dell'anno, assegnando inoltre a Naniwa erejī il terzo posto. Insieme all'antibarocco Ozu Yasujirō, che si colloca ai suoi antipodi, Mizoguchi è stato il più importante regista giapponese del periodo prebellico. Senza deformazioni ideologiche, con l'inesorabilità di un melodramma, Gion no shimai scena dopo scena pone in luce la situazione della donna nella società maschile e quella della microimprenditrice senza capitale nel capitalismo messo a nudo. Umekichi è stata educata a diventare una geisha e, in ossequio all'ideale di donna che ha interiorizzato, è disposta a tutto per il suo sfruttatore nella speranza di ricevere una briciola d'amore. Omocha, che ha studiato e si è diplomata, non ha trovato (nel pieno della crisi economica che colpiva il Giappone in quegli anni) nessun altro lavoro se non quello di prostituirsi. Se ne infischia della moralità e dei sentimenti umani e ha capito che quello che importa sono i soldi, ma come merce ha da offrire solo se stessa e la sorella. Che anche il matrimonio degradi le donne lo mostrano le scene con le astiose mogli ingannate. Gli uomini, i detentori del potere, Mizoguchi li ritrae satiricamente nelle sfumature della loro mancanza d'amore, della loro miseria morale: Furusawa, parassita e infantile, Jurakudō e Kudō, bugiardi e lascivi, Kimura, vendicativo e violento. Il film restituisce alle donne quanto la società patriarcale ha negato loro: conferisce a Omocha e Umekichi lo statuto di soggetti della propria esistenza, e accompagna la sua eroina negativa con uno sguardo pieno di umanità e comprensione. Moralmente e alla fine anche fisicamente deturpata, Omocha si costruisce da sé la propria integrità, contro tutto e tutti. Nel cupo museo degli orrori, lei risplende.
Gion no shimai non è un film didattico a tesi. Con la rinuncia alla musica, l'atmosfera emotiva di ogni scena e l'espressività di ogni gesto e di ogni singola parola si trasmettono in tutta la loro immediatezza, senza filtri. La bellezza sensuale delle immagini in chiaroscuro, la fluida messa in scena con i lunghi piani-sequenza e le lunghe carrellate, la complessa concezione spaziale con riprese dall'alto e composizioni giocate sulla profondità dell'immagine mostrano lo stile maturo del regista giunto al suo apogeo. Per André Bazin e per gli autori della Nouvelle vague, l'incontro con i più tardi film storici di Mizoguchi, come Saikaku ichidai onna e Ugetsu monogatari, fu decisivo: vi trovarono il proprio ideale, un cinema capace di cogliere la realtà nei piani-sequenza, anziché inteso a manipolarla e costruirla artificialmente a colpi di montaggio. A far conoscere in Occidente i film di Mizoguchi del periodo antecedente la Seconda guerra mondiale, ben più radicali dal punto di vista formale e contenutistico, è stata la preziosa monografia dedicata al cinema giapponese da Noël Burch nel 1979.
Interpreti e personaggi: Yamada Isuzu (Omocha), Umemura Yōko (Umekichi), Shiganoya Benkei (Furusawa), Hisano Kazuko (Oemi, moglie di Furusawa), Hayashiya Somenosuke (Sadakichi), Mimasi Genjō (moglie di Sadakichi), Okura Fumio (Jurakudō), Shindō Eitarō (Kudō Sangoro), Iwama Sakurako (Omasa, moglie di Kudō), Fukami Taizō (Kimura Yasukichi), Takizawa Shizuko (Ochiyo, tenutaria della casa delle geishe Ogiya), Tachibana Mitsuzō (autista).
J. Anderson, Seven from the past, in "Sight & Sound", n. 2, Autumn 1957.
J. Mellen, The waves at Genji's door. Japan through its cinema, New York 1976.
A. Bock, Kenji Mizoguchi, in Japanese film directors, Tokyo-New York-San Francisco 1978.
N. Burch, To the distant observer. Form and meaning in the Japanese cinema, London 1979.
Y. Yoda, Souvenirs de Kenji Mizoguchi, Paris 1997.