GIOLFINO
Famiglia di scultori e intagliatori attivi fra il XV e il XVI secolo.
Non si conosce la data di nascita del capostipite Antonio, figlio di Bartolomeo da Piacenza e probabilmente originario di quella città. Dal 26 marzo 1409 è documentato a Verona come intagliatore, abitante in contrada S. Marco (Mazzi, p. 148). Il 20 nov. 1409 il suo nome compare in un documento con il quale Guglielmo Giolfino, figlio del giudice e giureconsulto Agostino e ultimo rampollo di una nobile ma decaduta famiglia di Verona, designava Antonio suo messo davanti al vescovo per ricevere un'investitura feudale. A questa data l'artista doveva essere già sposato con una donna veronese di cui non si conosce il nome, ma che probabilmente era una parente agnata dei nobili Giolfino, il che spiegherebbe più facilmente il rapporto di confidenza con Guglielmo (Biadego, 1894, p. 9). Da lei ebbe due figli: Bartolomeo e Caterina. In alcuni documenti del gennaio e febbraio del 1410 Antonio risulta presente a locazioni di beni fatte dal suo protettore. Il 13 apr. 1410 Guglielmo Giolfino fece redigere un atto, davvero insolito nella forma e nel contenuto, a favore del suo fedele artigiano: considerati, infatti, i molti e spesso gratuiti servigi che Antonio gli aveva reso, ma anche la sua buona capacità amministrativa, decideva di risarcirlo donando a lui e ai suoi eredi una casa con cortile, pergolato e grande sala, situata presso porta Borsari. Il donatore se ne riservava soltanto l'usufrutto, visto che vi abitava ancora al momento della donazione; mentre Antonio avrebbe dovuto trasferirvisi subito, insieme con la famiglia (Avena, pp. 51-53). Guglielmo Giolfino però morì il giorno stesso della donazione e, nonostante i tentativi degli eredi di inficiare la validità giuridica dell'atto, Antonio riuscì a ottenere quanto era nella volontà del nobile; in questo modo assunse il cognome illustre dei Giolfino.
Finora è sconosciuta la sua pur documentata produzione artistica. Recentemente gli è stata attribuita la Madonna col Bambino in trono, una scultura in tufo del primo decennio del secolo XV conservata nella pieve di San Pietro di Morubio, presso Verona; l'opera probabilmente fu commissionata dalla famiglia Dal Verme, come rivela lo stemma alla base del trono (Malavolta, p. 131).
Ricordato nelle anagrafi del 1418, 1425 e 1433, successivamente Antonio non viene più citato e quindi dovrebbe essere morto poco dopo il 1433 (Biadego, 1894, p. 5).
Bartolomeo, figlio di Antonio, nacque a Verona intorno al 1410. Gli allibramenti della contrada veronese di Falsorgo lo segnalano più volte tra il 1433 e il 1482 (Mazzi, p. 149). Prese moglie due volte: dalla prima, Agnese, nacque Antonio; dalla seconda, Margherita del Copa, sposata poco prima del 1450, Nicolò, Giovanni, Girolamo e Giuliano, morto prematuramente nel 1478.
Nel 1433 firmò e datò un polittico in pietra tenera comprendente tre distinti scomparti, poi staccati e collocati separatamente: il S. Antonio Abate ora nella chiesa dei Ss. Fermo e Rustico di Colognola ai Colli, i dodici Apostoli e l'Annunciazione nella pieve di S. Maria pure a Colognola (Ericani e Malavolta, in Pisanello…, 1996).
In quest'opera Bartolomeo rivela una formazione avvenuta interamente all'interno dell'ambiente veronese del terzo decennio del Quattrocento, intriso di echi venezianeggianti e pure vivificato dagli apporti toscani: la figura centrale deve, infatti, molto al linearismo ghibertiano, conosciuto con tutta probabilità attraverso la mediazione e l'interpretazione di Nanni di Bartolo, attivo a Verona nella tomba Brenzoni in S. Fermo Maggiore (1426 circa); la conoscenza del linguaggio tardogotico di Michele da Firenze, anch'egli presente a Verona nei primi anni Trenta per le terrecotte della cappella Pellegrini in S. Anastasia, è invece evidente nella leggera torsione che anima le figure, nell'eleganza dei panneggi e nel modo pittorico di trattare la materia. La cornice del polittico - trilobata con pinnacoli laterali, con piccole figure inserite in scomparti intagliati a fiori e un'immagine a mezzo busto sul coronamento - esplicita una morfologia di chiara impronta veneziana, con particolare riferimento ai modelli usciti dalla bottega dei Moranzon, come il polittico di Iacobello di Teramo e Zanino di Pietro a Mombaroccio.
Sempre a Colognola, nella cappella di S. Biagio nella chiesa dei Ss. Fermo e Rustico, si trova un paliotto lapideo con il Martirio e Storie della vita di s. Biagio riferibile alla bottega di Bartolomeo.
Le medesime caratteristiche strutturali e decorative, indice di una produzione di bottega coerente e fedele a certi stilemi tradizionali, si ritrovano nel polittico di Avio (Madonna col Bambino e santi, ante 1445), ora a Trento, nel Museo diocesano tridentino (Bacchi, 1989), e nella possente statua di S. Pietro, conservata a Verona nel Museo di Castelvecchio (Cuppini, p. 334).
Al settimo decennio può riferirsi invece il cosiddetto Polittico di s. Luca, in collezione privata, attribuito alla bottega di Bartolomeo, che in questo caso si sarebbe avvalso dell'aiuto del figlio Nicolò.
Leggibile nella quasi integrità pittorica, questo polittico ligneo mostra come lo scultore fosse al corrente delle novità della pittura padana di metà secolo, visto che la figura dell'apostolo è impostata in modo identico al comparto centrale dell'omonimo polittico dipinto da Andrea Mantegna per S. Giustina a Padova (1453-54). Rimane però tutta tradizionale la cornice esterna, che, se ignora le ricerche donatelliane dell'Altare del Santo nonché le forme rivoluzionarie della mantegnesca Pala di S. Zeno, sembra semmai adeguarsi alla matrice tardogotica del Polittico dell'Aquila di Giovanni Badile (Verona, Museo di Castelvecchio).
Nel 1470 Bartolomeo firmò e datò una grande ancona a due piani, in legno intagliato, dorato e dipinto, comunemente nota sotto il titolo Querini Stampalia: l'ancona, oggi conservata alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, proviene infatti dalla chiesa di S. Giovanni di Rodi a Pressana, un tempo oratorio di quella famiglia (Fogolari). Si tratta di un'opera di imponenti dimensioni (cm 380 x 187), rappresentante la Vergine col Bambino al centro e Santi negli scomparti laterali, con la quale il maestro tentava di dimostrare il suo aggiornamento culturale, citando i modelli veneziani dei Vivarini, di Giovanni d'Alemagna e di Iacopo Moranzon, attivo a Verona per l'ancona di S. Pietro Martire sull'altare maggiore di S. Anastasia (1437-43). In realtà il polittico denuncia una forte disomogeneità esecutiva, solo in parte imputabile al lavoro d'équipe della bottega; ma soprattutto mette in luce una sostanziale fedeltà ai moduli stilistici già sperimentati quarant'anni prima a Colognola, rinnovati soltanto dalla ricerca di una più composta volumetria.
Dal confronto con queste ultime sculture, in particolare dall'identità dell'andatura falcata delle pieghe delle vesti, si può forse attribuire a Bartolomeo anche la Madonna col Bambino del polittico della chiesa dei minori di S. Bernardino a Trento (Ericani, 1996, p. 342).
Nel testamento del 1° sett. 1486, Bartolomeo si definisce assai vecchio e dispone di essere sepolto nel monumento dei nobili Giolfino in S. Elena, presso la cattedrale di Verona, lo stesso dove nel 1376 era stato tumulato il giudice Agostino.
L'estimo del 1492 testimonia che a quella data Bartolomeo era morto (Mazzi, p. 149).
Tra le altre opere a lui attribuite vanno segnalate: a Verona, un tabernacolo in forme gotiche a sinistra dell'altare maggiore in S. Benedetto, il sepolcro in tufo dipinto di Giansello da Folgaria di Chiavica nella cappella del Crocifisso in S. Anastasia, con la Deposizione di Cristo sul coperchio e riquadri di otto Santi sulla fronte (Simeoni, p. 78); a Villanova di San Bonifacio, nel coro della badia di S. Pietro, un polittico in pietra tenera con S. Pietro in cattedra tra s. Paolo, s. Benedetto col committente, s. Andrea e s. Gregorio, Storie di s. Agata e di s. Pietro, databile al quarto decennio del XV secolo (Cuppini, pp. 330 s.).
Non è nota la data di nascita di Antonio, figlio di Bartolomeo e della sua prima moglie Agnese.
Il 1° ag. 1467 egli stipulò un contratto con l'arte degli orefici di Verona per lavorare a due ancone lignee, non più conservate, con la Pietà e tre Santi, destinate alla chiesa di S. Alò di Tomba. Il padre, nel testamento del 1486, gli lasciò soltanto la parte che gli spettava di diritto, favorendo invece i figli avuti dalla seconda consorte. D'altronde Antonio, non si sa quando né per quale ragione, aveva lasciato la casa di famiglia per andare a vivere in altre contrade veronesi, prima in quella di S. Cecilia (1477) e poi in quella di Chiavica, come risulta dagli estimi e dalle anagrafi degli anni 1482 e 1492 (Mazzi, p. 149).
Il 28 dic. 1487 gli venne commissionata la Madonna col Bambino nella chiesa arcipretale di Riva del Garda (Ghetta, 1991).
Il contratto prevedeva, sotto compenso di 20 ducati d'oro, l'esecuzione di un complesso scultoreo in legno che fosse uguale, nella forma e nel materiale, alla Madonna col Bambino del monastero francescano di S. Maria delle Grazie ad Arco, realizzato nel 1478 da Giovanni Zebellana. La singolare clausola del documento spiega la sostanziale omogeneità stilistica ed esecutiva di questi gruppi scultorei che si trovano nelle pievi del contado atesino, lungo la costa orientale del lago di Garda e anche nel basso Trentino. Antonio si limitò a modificare le doppie pieghe cadenti dalle spalle della statua di Arco, creando un mantello gonfiato che è la novità più evidente della Madonna di Riva. Questa soluzione formale è presente anche nelle Madonne di Rovereto e Sirmione, che perciò possono essere attribuite ad Antonio: qui l'accentuata rotondità dell'intaglio, del naso e delle vesti fa pensare alla marmorea Madonna col Bambino sul portale del palazzo vescovile di Verona, opera dello scultore luganese Giovanni Buora. Anche la statua di S. Francesco sul portale laterale di S. Fermo a Verona presenta le forme inconfondibili della produzione della bottega dei G., e con ogni probabilità l'esecuzione spetta proprio ad Antonio.
Nel febbraio 1488 egli ricevette la commissione di un'ancona lignea, non più esistente, per la chiesa di S. Giovanni alla Cucca, come risulta da un'intimazione data all'artista che tardava a presentare l'opera. Antonio, nella risposta datata 29 maggio 1488, addusse come scusa il fatto che il suo fratellastro Giovanni non aveva ancora finito il lavoro di doratura (Fainelli, p. 220).
Nel 1489 Antonio realizzò un'importante statua in legno (Madonna col Bambino) per l'altare della Madonna del Popolo nel duomo di Verona (oggi nell'Istituto femminile Don Mazza), che Liberale da Verona corredò in basso con tre tavolette con Storie della Vergine, oggi conservate nel palazzo vescovile (Eberhardt, 1971). L'anno seguente scolpì una statua di S. Sebastiano per la compagnia di S. Biagio nel monastero dei Ss. Nazaro e Celso a Verona (oggi perduta). Questa volta Antonio ne affidò la decorazione non a Giovanni, ma a un decoratore di professione, Bartolomeo Badile (Biadego, 1906, pp. 130 s.).
Molto stimato sia come virtuoso del legno sia come intenditore di scultura, il 26 febbr. 1493 Antonio, insieme con i pittori Francesco Morone e Liberale, venne chiamato a far parte della giuria che doveva giudicare le statue da poco collocate sulla sommità della loggia del Consiglio, in piazza dei Signori (Cuppini, pp. 264 s.).
Il 2 apr. 1493 fu pagato per aver disegnato la mappa (perduta) di un possedimento del monastero dei Ss. Nazaro e Celso in località Roncanova. Nel 1506 lavorò agli angeli dell'organo della chiesa di S. Maria in Organo a Verona.
Non sappiamo quando né con chi si sposò, ma ebbe di certo due figli: Francesco e Caterina.
Antonio fece testamento il 28 ag. 1510: in segno di definitiva rottura col ramo discendente dal padre e dalla sua seconda moglie stabiliva di essere sepolto in una tomba nel cimitero della chiesa di S. Anastasia, dove già riposava il corpo della madre Agnese; lasciava poi erede universale il figlio Francesco, mentre diseredava Caterina, resasi colpevole di una lunga tresca amorosa da lui non condivisa (Biadego, 1894, p. 26).
Non è nota la data della sua morte.
Alla bottega di Antonio sono riconducibili un gruppo di sculture di soggetto mariano sparse nelle pievi del territorio padano, purtroppo gravate dal pessimo stato di conservazione: le Madonne con Bambino delle parrocchiali di Illasi, di Albaredo e di Magno di Gardone Val Trompia nel Bresciano, cui va aggiunta quella ora di proprietà dell'Istituto ospedaliero di Verona (Ericani, 1996, pp. 251 s.).
Nicolò, figlio di Bartolomeo e Margherita del Copa, nacque a Verona intorno al 1450 (Biadego, 1892, p. 170). Fu sicuramente intagliatore, anche se della sua opera non resta alcuna testimonianza, tranne forse il cosiddetto Polittico di s. Luca (collezione privata) in cui egli avrebbe agito come aiuto del padre (Ericani, 1991 e 1996).
In data imprecisata sposò Tommasina, da cui ebbe due figli: il pittore Nicola e Maddalena. Gli estimi del 1492 lo registrano abitante in contrada Falsorgo a Verona, insieme con la famiglia e col fratello Girolamo.
Nicolò risulta deceduto nel 1501 (Biadego, 1892, p. 169).
Giovanni, fratello di Nicolò, nacque a Verona tra il 1454 e il 1456 (Id., 1894, p. 15). Come già ricordato, nel 1488 il fratellastro Antonio, intimato dal massaro della chiesa di S. Giovanni alla Cucca di consegnare un'ancona lignea, rispose che Giovanni non aveva ancora finito di dorarla e dipingerla. Della sua opera nulla si è conservato.
Fino al 1514 abitò a Verona nella contrada di Falsorgo presso porta Borsari, insieme con una massara, con un garzone e con la figlia naturale Chiara.
Nel testamento datato 3 maggio 1520, Giovanni nominava erede il fratello minore Girolamo e in seconda istanza il nipote Nicola, figlio di Nicolò; indicava poi il luogo di sepoltura nell'arca di famiglia in S. Elena. In un altro testamento, del 27 apr. 1523, Giovanni prevedeva di poter essere deposto anche in un diverso sepolcro familiare, quello costruito dal fratello Girolamo nella chiesa di S. Giovanni in Foro a Verona (oggi perduto); inoltre disponeva di lasciare al garzone Giacomo i materiali del suo mestiere, tra cui, oltre agli strumenti per l'intaglio, elencava quelli "ad artem pingendi"; ciò non significa che Giovanni fosse pittore, ma soltanto che fu anche decoratore. Il legato a favore di Giacomo fu però annullato da un codicillo dell'11 apr. 1525, perché pare che l'ingrato garzone fosse andato via dalla bottega (Gerola).
Non è nota la data della sua morte.
Girolamo, fratello di Giovanni e Nicolò, nacque a Verona nel 1460.
Sullo scorcio del secolo sposò Lucia. Fu proprietario di una casa a Poiano, in Val Pantena, che ha sulla facciata tre statue in tufo rappresentanti il Padreterno e due Santi, con incisa la sigla "HI. IV.", interpretata come "Hieronimus Iulphinus" (Biadego, 1894, p. 17). A Girolamo sono attribuite anche le tre statue di S. Giovanni Evangelista, S. Pietro e S. Giovanni Battista poste sopra il portale della chiesa di S. Giovanni in Foro a Verona, che, per quanto giudicate piuttosto goffe (Simeoni, p. 127), sono strettamente correlate alla produzione tardogotica del padre Bartolomeo. Nella stessa chiesa lo scultore si costruì un monumento funerario, oggi non più esistente (Biadego, 1894, p. 18). Tuttavia egli non dispose di essere lì sepolto. Infatti nel suo testamento, datato 20 luglio 1531, chiese di essere tumulato a Poiano nella chiesa di S. Pietro, accanto al fratello Giuliano. Nello stesso documento istituiva erede universale il figlio Agostino. In un successivo codicillo testamentario, del 2 apr. 1535, Girolamo cambiò idea e ordinò di essere seppellito nel monumento di famiglia nella chiesetta di S. Elena, presso la cattedrale di Verona.
Non è nota la data della sua morte.
Francesco, figlio di Antonio, nacque a Verona probabilmente alla fine del sesto decennio del Quattrocento. Abitò nella contrada veronese di S. Fermo Maggiore. Nella notte del 30 luglio 1488 le guardie lo sorpresero armato e senza lume e lo arrestarono. In questa occasione accorse a fargli da garante Antonio Badile di Santa Cecilia (ibid., p. 12).
In data imprecisata si sposò con Camilla da Ovretis, da cui ebbe una figlia di nome Margherita. Nel 1502 era forse attivo a Brescia, dove potrebbe essere lui il "Francesco da Verona" che, in società con Girolamo da Serle, stipulò un contratto per l'ancona lignea della chiesa di Borno e realizzò il crocifisso ligneo per il duomo bresciano, entrambi perduti.
Doveva, però, essere tornato a Verona nel 1506, anno in cui i registri dei debiti e crediti del monastero olivetano di S. Maria in Organo segnano una serie di pagamenti per due sue opere, non più identificabili. Negli anni successivi i documenti dello stesso istituto ricordano altri pagamenti a un certo "Francesco dito Perfilo", che però potrebbe anche essere identificato con un altro intagliatore di nome Francesco, figlio di Antonio Began (Gerola).
Della produzione di Francesco ci è nota soltanto una Testa del Battista, già negli Staatliche Museen di Berlino. Il bassorilievo in legno presentava dipinta a olio la firma "Franciscus Iul. Veronen." (Fabriczy, 1904). L'opera evidenzia un espressionismo accentuato, lontano dalla dolcezza atemporale delle Madonne della bottega familiare e semmai vicino alle forme di Giovanni Zebellana: è uno stile spiegabile grazie agli scambi culturali con gli scultori nordici presenti tra Verona e Brescia sullo scorcio del Quattrocento, ma anche con la conoscenza della gestualità postdonatelliana di Guido Mazzoni e Minello de' Bardi.
Il 3 giugno 1519 Francesco dettò il testamento, dove ordinò la propria sepoltura nella tomba in S. Elena. Lasciò erede universale la moglie Camilla e, in caso di sua morte, la figlia Margherita, che nel frattempo si era sposata con Giovanni Andrea Signoreti. Inoltre dispose che i ferri del mestiere passassero a un suo nipote, di nome Francesco, figlio della sorella Caterina.
Non è nota la data della sua morte.
Agostino, figlio di Lucia e Girolamo, nacque a Verona nell'ultimo decennio del Quattrocento. Abitò nell'antica casa di famiglia presso porta Borsari a Verona. Verso il 1530 sposò Isabetta Bassi, da cui ebbe sette figli: il primogenito di nome Giolfino, Girolamo, anch'egli intagliatore, Francesca, Angela, Gianpaolo, Orazio e Marcaurelio (Biadego, 1894, pp. 19 s.). Le fonti lo ricordano come scultore e decoratore attivo fin oltre la metà del XVI secolo, ma non si è conservata alcuna testimonianza della sua arte.
Il 30 nov. 1544, Agostino fece istanza al Consiglio di Verona perché gli fosse concesso di costruire un canale idrico dalla sua casa fino al pozzo sul corso. Dai registri degli estimi nel 1572 risulta abitare in zona Mercatonovo a Verona (Gerola, p. 35).
Non è nota la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: G. Biadego, I G. pittori e una scrittura inedita di Michele Sanmicheli, in Nuovo Archivio veneto, IV (1892), 1, pp. 161-181; Id., Una famiglia di artisti (I G.), in Miscellanea di storia veneta, s. 2, II (1894), pp. 1-51; C. de Fabriczy, Uno scultore veronese sconosciuto, in Rassegna d'arte, IV (1904), pp. 5 s.; G. Biadego, La cappella di S. Biagio nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso, in Nuovo Archivio veneto, XI (1906), 2, pp. 126 s., 130 s.; G. Fogolari, L'ancona dei Querini Stampalia di Venezia opera di Bartolomeo G. da Verona del 1470, in Bollettino d'arte, III (1909), pp. 387-393; G. Gerola, Questioni storiche d'arte veronese. I pittori della famiglia G., in Madonna Verona, III (1909), pp. 34-42; L. Simeoni, Verona. Guida storico-artistica della città e provincia, Verona 1909, pp. 78, 127, 270, 427, 460, 462; V. Fainelli, Per la storia dell'arte a Verona. Regesti degli atti dei rettori veneti fino al dominio di Massimiliano, in L'Arte, XIII (1910), pp. 220 s.; A. Avena, Le origini dei G., in Madonna Verona, V (1911), pp. 49-54; A. Mazzi, Gli estimi e le anagrafi inedite dei ricamatori, intagliatori e armaroli veronesi del secolo XV, ibid., VII (1913), pp. 143, 148 s.; L. Planiscig, Estenschische Kunstsammlung, Wien 1919, pp. 67-69; A. Corna, Diz. della storia dell'arte in Italia, II, Piacenza 1930, pp. 492 s.; M. Repetto Contaldo, Le origini dei G., in Vita veronese, XVII (1964), pp. 91-93; Id., I pittori della famiglia G., ibid., pp. 371-377; H.J. Eberhardt, Das Testament des Liberale da Verona, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XV (1971), pp. 220 s.; R. Brenzoni, Diz. di artisti veneti, Firenze 1972, pp. 156-162; C. Boselli, Regesto artistico dei notai roganti in Brescia dall'anno 1500 all'anno 1560, Brescia 1976, I, p. 157; II, pp. 61-63; M.T. Cuppini, L'arte a Verona tra XV e XVI secolo, in Verona e il suo territorio, IV, 1, Verona 1981, pp. 264 s., 330-334, 382, 415-417; G.P. Marchini, in Chiese e monasteri del territorio veronese, a cura di G. Borelli, Verona 1981, pp. 556, 576, 588; C. Rigoni, in Conoscere per conservare. Il patrimonio storico-artistico delle chiese di Colognola ai Colli, Colognola ai Colli 1985, pp. 35, 58 s., 65 s., 149 s.; H.J. Eberhardt, in Miniatura veronese del Rinascimento (catal.), Verona 1986, p. 285; G. Ericani, in Proposte e restauri. I Musei d'arte negli anni Ottanta. Verona, Museo di Castelvecchio (catal.), Verona 1987, pp. 305-310; A. Bacchi, in Imago lignea. Sculture lignee nel Trentino dal XIII al XVI secolo, a cura di E. Castelnuovo, Trento 1989, pp. 95 s., 101 s.; G. Ericani, "Giovanni Zebellana intaliador, Leonardo da Verona depintore". Una traccia per la scultura lignea veronese tra Quattrocento e Cinquecento, in Verona illustrata, IV (1991), pp. 25-32, 36; M. Ferretti, Ancona di S. Luca (?), in Dal Trecento al Seicento. Le arti a paragone (catal.), Torino 1991, pp. 51-59; F. Ghetta, La Fradaia di S. Maria nella pieve di Riva del Garda e la sua statua della Madonna, in Il Sommolago, VIII (1991), 2, pp. 6, 9 s., 14-16; H.J. Eberhardt, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, I, Milano 1996, p. 285; G. Ericani, in L'ospedale e la città. Cinquecento anni d'arte a Verona (catal.), Verona 1996, pp. 251 s.; Id., La scultura a Verona al tempo di Pisanello, in Pisanello (catal., Verona), Milano 1996, pp. 340-343; A. Malavolta, I luoghi del gotico internazionale nel Veneto, ibid., pp. 130 s., 354; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 70 s.