giogo
Nel senso di " strumento per l'attacco dei bovini " compare in Pg XII 1 Di pari, come buoi che vanno a giogo, / m'andava io con quell'anima carca (il superbo Oderisi), " come due buoi sotto il giogo " (Casini-Barbi).
Più di frequente il termine è usato nel senso di " vertice " ovvero " massiccio montano ": Cv III III 4 li gioghi de le montagne; If XXVII 30 'l giogo di che Tever si diserra, inteso dai commentatori o come il monte Coronaro (Fumaiuolo) o come la catena appenninica, ovvero come una parte di essa; il gran giogo di Pg V 116 è " l'alpe di monte Appennino, che sono sopra l'Ermo di Camaldoli " (Anonimo), " la giogaia appenninica o (in una interpretazione più puntualizzata) la giogaia di Camaldoli " (Mattalia); in Pd I 16 Infino a qui l'un giogo di Parnaso / assai mi fu; ma or con amendue / m'è uopo intrar ne l'aringo rinvaso, si allude al Nisa (o Elicona), sede delle muse (l'altro " vertice " è il Cirra, sede di Apollo): per metonimia, le muse stesse, ovvero il loro aiuto, e, allegoricamente, secondo parecchi commentatori, specie antichi, la scienza umana (mentre il Cirra sarebbe allegoria di quella divina).
Due interpretazioni si danno del termine in Pd XI 48 di retro le [alla fertile costa d'alto monte, il Subasio] piange / per grave giogo Nocera con Gualdo. Pietro, Benvenuto e molti fra i moderni (Torraca, Vandelli, Casini-Barbi, Momigliano e, con minore decisione, Porena e Sapegno), scorgendo un'antitesi tra fertile costa e grave giogo, identificano quest'ultimo con il monte Subasio (qualche interprete, invece, parla del " giogo... che va dal monte Pennino al monte Penna " [Torraca]; v. anche M. Morici, in " Giorn. d. " VII [1898] 253-370), che, per Nocera e Gualdo, costituisce un grave giogo, sicché esse se ne dolgono (piange), in quanto non le ripara da venti del nord, come accade alla fertile costa, e le priva, inoltre, di alcune ore di sole. Altri, però - e a questa seconda interpretazione accennava già Benvenuto - scorgono in grave giogo il senso figurato di " dominazione oppressiva ", con riferimento allusivo alla dura soggezione in cui, tra il finire del XIII sec. e l'inizio del Perugia teneva Nocera e Gualdo. Il Mattalia e il Chimenz registrano entrambe le interpretazioni. Altri ancora (Lana, Ottimo, Buti e anche qualcuno fra i moderni interpreti) hanno pensato all'oppressione esercitata dal governo angioino sulle due città; ma, com'è stato rilevato (Porena, Sapegno), nel 1300, l'anno in cui D. colloca il suo viaggio oltremondano, tale allusione sarebbe anacronistica.
Vedi Anche GUALDO; Nocera.