GIOBBE
Protagonista dell'omonimo libro veterotestamentario facente parte degli Agiografi, G. costituisce l'esempio per eccellenza del giusto perseguitato, messo alla prova da Satana con il permesso di Dio. Modello di pazienza, egli diviene, nella esegesi cristiana, al tempo stesso prefigurazione delle sofferenze di Cristo e della Chiesa e fonte di ispirazione spirituale, in particolare negli ambienti monastici.Per questo motivo G. occupa un posto importante nell'iconografia medievale, ereditato anche dalla Tarda Antichità (Roma, Tesoro di S. Pietro, sarcofago di Giunio Basso). Egli compare in primo luogo, ovviamente, nelle Bibbie miniate: il libro di G. può essere introdotto da una semplice effigie o da una scena che lo mostra sul suo letamaio, in compagnia della consorte e dei suoi tre amici, spesso attaccato dal demonio. Talvolta diversi episodi raffigurano G. prima, durante e dopo le sue sventure, come nella Bibbia di Sant Pere de Rodes, del sec. 11° (Parigi, BN, lat. 6, c. 63r), e nella Bibbia di Farfa o di Ripoll, dello stesso secolo (Roma, BAV, Vat. lat. 5729, cc. 162v-163r). Una miniatura a piena pagina della Bibbia di Floreffe, del 1160 ca. (Londra, BL, Add. Ms 17738, c. 4r), propone una particolare composizione esegetica, mettendo G. in rapporto con le opere di misericordia, le sue tre figlie con le virtù teologali e i suoi sette figli con i doni dello Spirito Santo (Katzenellenbogen, 1939; Cahn, 1982, p. 198).La fortuna di G. deve molto ai commentari del libro biblico e in particolare ai Moralia in Iob di Gregorio Magno, opera che ebbe grande importanza per tutto il corso del Medioevo. Versione scritta delle omelie di Gregorio Magno pronunciate dinanzi ai monaci di Costantinopoli (579-585), questa opera ampia e complessa costituisce, più che una semplice esegesi, un manuale completo di teologia morale e ascetica (Kannengiesser, 1974).I numerosi manoscritti dei Moralia, e in misura minore quelli degli altri commentari, diedero vita a nuovi temi iconografici nel corredo illustrativo, dapprima nel mondo bizantino, come nel libro di G. con commentario di Olimpiodoro, del sec. 9° (Roma, BAV, Vat. gr. 749; Splendori di Bisanzio, 1990, pp. 214-215). In Occidente, alcuni tra i manoscritti più antichi dei Moralia non presentano alcuna raffigurazione di G., ma risultano comunque assai importanti, soprattutto per lo sviluppo sia della miniatura mozarabica, per es. i Moralia di Florentius, del 945 (Madrid, Bibl. Nac., 80; Williams, 1972-1974), sia della prima miniatura cistercense, per es. i Moralia in Iob, del secondo decennio del sec. 12°, con le lettere decorate che mostrano i monaci al lavoro (Digione, Bibl. Mun., 168-170, 173; Romanini, 1978; Załuska, 1991). In una fase di poco successiva si moltiplicarono invece i grandi cicli dedicati a G., per es. i Moralia del sec. 13° (Herzogenburg, Stiftsbibl., 95; Swarzenski, 1930) e i Moralia del sec. 14° (Roma, BAV, Vat. lat. 578).Cicli di G. appaiono anche nell'arte monumentale, dapprima sui capitelli romanici, tra cui vanno menzionati quelli di Notre-Dame-de-la-Daurade a Tolosa (Mus. des Augustins) e dei chiostri delle cattedrali di Pamplona (Mus. de Navarra) e di Avignone (Mus. du Petit Palais). In quattro o cinque scene queste opere mettono a confronto la malattia di G., la morte dei figli e la distruzione dei suoi beni da una parte e la prosperità e la fiducia accordatagli da Dio dall'altra.Nella scultura gotica, l'iconografia, meno diversificata, verte sull'immagine di G. malato, messo alla prova da Satana, con la moglie e gli amici (Chartres, cattedrale, timpano del portale settentrionale; Reims, cattedrale, portale di S. Callisto).I cicli monumentali più importanti si trovano nella pittura murale, per es. negli affreschi di Taddeo Gaddi nel Camposanto di Pisa (probabilmente 1340-1342), nelle pitture del 1350-1351 provenienti dalla cappella di S. Stefano nel palazzo reale di Westminster (Londra, British Mus.), o ancora nelle sei scene dipinte da Bartolo di Fredi nel 1367 nella collegiata di San Gimignano. L'importanza di questi cicli, ove compaiono, oltre alla malattia di G., la morte dei suoi servitori, la distruzione delle sue greggi e il crollo della sua casa, è stata messa in relazione da Meiss (1951) con il trauma determinato dal diffondersi della peste nera dopo il 1348. Lo sviluppo dell'iconografia di G. prima della grande pestilenza, così come la dipendenza del ciclo di San Gimignano da quello di Pisa, assai probabilmente realizzato prima della catastrofe, suggeriscono comunque prudenza su questo aspetto (Fengler, 1981).Va infine sottolineata la diversità delle connotazioni associate alla figura di G.; semplice eroe nella Bibbia, generalmente raffigurato con un nimbo, G. è talvolta inserito nel gruppo dei profeti biblici (Gay, 1987). Egli può anche comparire come re, conformemente a una tradizione apocrifa che lo assimila al re di Edom, Iobab. Tale tradizione è trasmessa da un poscritto di Girolamo che alcune versioni della Bibbia, nei secc. 9°-11°, pongono all'inizio del libro di G., di modo che a quest'epoca si sviluppa l'iconografia del santo re G., per es. nella Bibbia di Sant Pere de Rodes e nella Bibbia di Farfa o di Ripoll (Durand, 1984). Questo tipo diviene raro dal sec. 12°, sebbene compaia ancora nei cicli di Avignone, San Gimignano e nel manoscritto vaticano dei Moralia (Roma, BAV, Vat. lat. 578, c. 275r).L'immagine di G. sofferente sul mucchio di letame sembra allora prevalere, in ragione dei numerosi significati che l'esegesi permetteva di associarvi: simbolo ecclesiologico, tenuto in alta considerazione dai sostenitori della riforma gregoriana (i tre amici assimilati da Gregorio Magno agli eretici possono evocare anche tutti i nemici della Chiesa); significato cristologico, messo in evidenza nei dispositivi tipologici, specialmente nello Speculum humanae salvationis; senso morale, in particolare attraverso il legame tra G. e la virtù della pazienza, già presente nella Psychomachia di Prudenzio (Katzenellenbogen, 1939). È quindi come simbolo del denudamento e della miseria fisica che G. compare ai piedi di Gregorio Magno, negli affreschi della cappella di S. Gregorio Magno nel monastero di S. Benedetto a Subiaco (1228-1229), recando l'iscrizione "Nudus egressus sum de utero matris meae" (Gb. 1, 21); del resto, s. Francesco morente è chiamato da Bonaventura da Bagnoregio alter Iob (Legenda Maior, XIV, 2).D'altro canto è tale l'insistenza sulle ulcerazioni che devastano il corpo di G. che egli viene talvolta raffigurato nell'atto di grattarsi le piaghe, suscitando il disgusto di quelli che gli si avvicinano, come in un capitello del 1152 di Saint-André-le-Bas a Vienne (Durand, 1984). Egli divenne, insieme con Lazzaro, il patrono dei lebbrosi, e alcuni ospedali assunsero il suo nome. Anche se è preferibile non tentare di stabilire legami troppo diretti tra l'iconografia di G. e la peste nera, è comunque verosimile che un ciclo di G. potesse assumere un nuovo significato in un'epoca in cui il castigo divino si abbatteva con tale violenza sulla cristianità (Baschet, 1994). In prospettiva più generale, la storia per immagini di G. appare come il paradigma di tutte le prove attraversate dall'umanità e come una esortazione alla pazienza, poiché alla fine Dio porta consolazione a coloro che soffrono.
Bibl.:
Fonti. - Gregorio Magno, Moralia in Iob, a cura di M. Adriaen, in Corpus Christianorum Lat., CXLIII, 1979.
Letteratura critica. - L. Bigot, s.v. Job, livre de, in DTC, VIII, 2, 1925, coll. 1458-1486; H. Swarzenski, Eine Handschrift von Gregors ''Moralia in Job'' in Herzogenburg, Niederösterreich, WRJ, n.s., 1, 1930, pp. 9-25; A. Katzenellenbogen, Allegories of the Virtues and Vices in Medieval Art. From Early Christian Times to the Thirteenth Century, London 1939 (rist. Toronto 1989); M. Meiss, Painting in Florence and Siena after the Black Death, Princeton 1951 (trad. it. Pittura a Firenze e a Siena dopo la Morte Nera, Torino 1982); Réau, II, 1, 1956, pp. 311-318; G. Gaillard, Le chapiteau de Job aux musées de Toulouse et de Pampelune, RLouvre 10, 1960, pp. 147-156; R. Budde, s.v. Job, in LCI, II, 1970, coll. 407-414; J. Williams, The Moralia in Job of 945: Some Iconographic Sources, AEA 45-47, 1972-1974, pp. 223-250; C. Kannengiesser, s.v. Job, livre de, in DS, VIII, 1974, coll. 1201-1225; A.M. Romanini, Il "Maestro dei Moralia" e le origini di Cîteaux, StArte, 1978, 34, pp. 221-245; L. Besserman, The Legend of Job in the Middle Ages, Cambridge (MA)-London 1979; C.K. Fengler, Bartolo di Fredi's Old Testament Frescoes in S. Gimignano, ArtB 43, 1981, pp. 374-384; W. Cahn, La Bible romane, Fribourg 1982; J. Durand, Note sur une iconographie méconnue: le ''saint roi Job'', CahA 32, 1984, pp. 113-135; P. Huber, Hiob. Dulder oder Ribell?, Patmos 1986; F. Gay, Les prophètes du XIe au XIIIe siècle (Epigraphie), CahCM 30, 1987, pp. 357-367; Splendori di Bisanzio, cat. (Ravenna 1990), Milano 1990; Y. Załuska, Manuscrits enluminés de Dijon (Corpus des manuscrits enluminés des collections publiques des Départements), Paris 1991; J. Baschet, Image et événement: l'art sans la peste (c. 1348-c. 1400)?, in La Peste nera: dati di una realtà ed elementi di una interpretazione, "Atti del XXX Convegno del Centro italiano di studi sul Basso Medioevo, Todi 1993", Spoleto 1994, pp. 25-47.J. Baschet