VENTURA, Gioacchino
– Nacque a Palermo il 7 dicembre 1792 da Paolo, futuro barone di Raulica, e da Caterina Platinelli.
Quinto di dodici figli, apparteneva a una famiglia di nobiltà acquisita nel 1799. Il padre fu consigliere della Corte suprema di giustizia di Palermo. Il 19 gennaio 1808 entrò come allievo del collegio massimo dei gesuiti di Palermo, per passare il 16 maggio dell’anno successivo a Caltanissetta. Completato il biennio di noviziato, emise la professione semplice e frequentò il biennio letterario. Ritornato a Palermo dopo la maturità classica, vi completò il biennio filosofico. Professore di lettere al collegio di Alcamo nel 1815, l’anno dopo insegnò retorica al convitto dei nobili di Palermo e ricoprì la carica di prefetto degli studi, distinguendosi per la sperimentazione didattica. Di solida formazione umanistica, fu attento lettore di Jacques-Bénigne Bossuet e degli autori tradizionalisti francesi e assimilò la filosofia scolastica.
Il 31 agosto 1817 lasciò l’Ordine in seguito a contrasti con i superiori della Compagnia e in particolare con il provinciale Giuseppe Vulliet. Entrò quindi nella casa dell’Ordine dei chierici regolari teatini di Palermo, dove emise la professione solenne il 31 maggio 1818 con dispensa di cinque mesi di noviziato. Lo stesso anno fu ordinato sacerdote. Il 19 maggio 1819 gli fu assegnata la patente di lettore e predicatore. Eletto segretario del ripristinato capitolo di S. Paolo Maggiore il 13 agosto, si trasferì a Napoli al seguito del preposto generale Gaetano Pinto con la cura dell’istruzione dei novizi.
Scoppiata la rivoluzione nel luglio del 1820, si oppose alla proposta di scioglimento degli ordini regolari avanzata dal Giornale costituzionale con l’opuscolo La decisione del Giornale costituzionale sopra de’ regolari riesaminata al tribunale del buon-senso da Gioacchino Ventura (Napoli 1820): lo scritto ebbe una seconda edizione accresciuta lo stesso anno e una terza pubblicata cinque anni dopo, in cui generalizzò la sua apologia definendo la «Rivoluzione» come «un attentato sacrilego contro Dio e contro tutto ciò che a Dio si appartiene» (Lo spirito della rivoluzione relativamente agli ordini regolari, ovvero Esame dell’accusa di un giornalista costituzionale e di una disposizione del governo rivoluzionario di Napoli contro gli ordini regolari, Imola 1825, p. 3).
Dopo il ritorno di Ferdinando I a Napoli, rifiutò la direzione del giornale ufficiale e la carica di storiografo di corte. Fin dal gennaio 1821 prese contatti con Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa, verso i cui principi reazionari provava ammirazione. Con l’appoggio di quest’ultimo, iniziò la pubblicazione della Enciclopedia ecclesiastica e morale, il cui primo fascicolo uscì il 10 giugno di quello stesso anno. Maturò forte ammirazione per gli scritti tradizionalisti di Félicité-Robert de La Mennais (dal 1837 Lamennais), di cui divenne presto discepolo ed emulo. L’Enciclopedia costituì uno dei vivai delle idee tradizionaliste e apologetiche ispirate alla rinascita cattolica, precedendo altre iniziative giornalistiche cattoliche come le Memorie di religione, di morale e di letteratura di Modena e L’Amico d’Italia di Torino. Compilato quasi esclusivamente da Ventura, il giornale si schierò contro le idee rivoluzionarie del tempo e appoggiò il trionfo dell’ordine in una prospettiva teocratica che opponeva i «diritti dell’uomo» ai «diritti di Dio» (Enciclopedia ecclesiastica..., 1822, n. 5, p. 433). Dopo un viaggio a Roma nell’estate del 1821 in cui fu ricevuto da Pio VII, gli fu accordato dal segretario di Stato Ercole Consalvi un ulteriore periodo di dimora a Napoli per continuare la pubblicazione del giornale. Nel frattempo il governo borbonico lo nominò censore delle stampe nazionali e revisore dei libri provenienti dall’estero (11 agosto 1821), membro della giunta permanente di Pubblica Istruzione (6 aprile 1822) e direttore delle scuole primarie. L’Enciclopedia cessò però le pubblicazioni dall’ottobre del 1822 in seguito all’allontanamento di Canosa dal ministero.
Fin dagli anni Venti, Ventura coltivò un’intensa attività di panegirista e oratore. Nel 1823 pronunciò un Elogio funebre di Pio VII nella chiesa della Reale Arciconfraternita di S. Giuseppe che ebbe almeno sette edizioni nel giro di un anno e altre negli anni successivi. Pronunciò discorsi anche su s. Francesco de Geronimo, Nicola Fergola, s. Gaetano Thiene (cfr. Elogi funebri del padre d. Gioacchino Ventura teatino ora per la prima volta in un solo volume riuniti, Roma 1827).
Si adoperò per la diffusione delle opere dei pensatori tradizionalisti in Italia: dopo aver sostenuto la traduzione del secondo volume dell’Essai sur l’indifférence en matière de religion di Lamennais a opera del confratello Gaetano Monforte nel 1821, pubblicò la propria traduzione del Du Pape di Joseph De Maistre con note e osservazioni ma in una versione ridotta e censurata dalla polizia borbonica (I-II, Napoli 1823-1824); una sua versione della Législation primitive e di altri scritti di Louis de Bonald comparve sempre a Napoli nel 1823, con annotazioni in cui prendeva posizione sulla filosofia del senso comune e un saggio in cui tesseva l’elogio della missione restauratrice degli scrittori ultramontani francesi. Il progetto di pubblicare altre opere dei tradizionalisti non andò in porto per l’opposizione della censura e anche il proposito di scrivere direttamente un’opera originale sulla società non ebbe esito. Nell’estate del 1824 incontrò per la prima volta Lamennais a Napoli, e gli fece da guida nei dintorni.
Eletto preposito della casa teatina dell’Annunziata a Messina il 13 novembre 1823, Ventura non sembra aver mai preso possesso della carica. Il 24 maggio 1824 fu eletto procuratore generale dell’Ordine nel capitolo generale di S. Andrea della Valle e come tale prese residenza a Roma dalla fine di quell’anno. Qui collaborò al Giornale ecclesiastico (1825-26), organo degli ambienti ultramontani e controrivoluzionari, per cui stese un articolo programmatico (Della disposizione attuale degli spiriti in Europa rispetto alla religione, e della necessità di propagare i buoni principii per mezzo della stampa) in cui sosteneva la necessità di contrastare le dottrine rivoluzionarie con uno stile che suscitò in un primo momento la censura delle autorità romane per la disinvoltura nel trattare materie politiche: dal catastrofismo tradizionalista cominciava a farsi strada una visione più ottimistica del destino della civiltà europea all’ombra di un nuovo trionfo della religione cattolica. Anche dopo la chiusura del giornale, Ventura continuò la sua attività politico-religiosa secondo un programma di massima lineare inteso a «far leva su Roma, attraverso un’energica fermentazione culturale ed organizzativa, per legare durevolmente le gerarchie e la stessa S. Sede alle posizioni ultramontane» (Fontana, 1968, pp. 279 s.).
Membro e animatore di varie società e accademie ecclesiastiche, tra cui l’Accademia di religione cattolica (1825), divenne un predicatore di fama. Il 29 ottobre 1825 Leone XII lo nominò professore di diritto pubblico ecclesiastico alla Sapienza, dove faceva già parte dal 27 agosto del Collegio dei teologi con delega alla censura dei libri. Le dispense del suo corso furono pubblicate con il titolo De jure publico ecclesiastico commentaria sacrae studiorum congregationis judicio et censurae subjicienda (I-II, Romae 1826). In seguito alle tensioni create da questa pubblicazione, il 15 ottobre 1826 Ventura fu costretto a dimettersi facendo tramontare il sogno di un ultramontanismo in cattedra. Ritiratosi a Grottaferrata, fece temere una defezione dal campo degli apologisti, ma si riconciliò l’anno dopo con Leone XII, cui donò una copia dei suoi Elogi funebri. Nel 1828 pubblicò la prima parte del De methodo philosophandi, una summa del suo pensiero filosofico tradizionalista e antisensualista mitigato dal tomismo, dedicandolo a François-René de Chateaubriand, da poco nominato ambasciatore francese a Roma. Il testo ebbe una diffusione europea e una vasta risonanza nella stampa cattolica, ma non fu continuato e l’autore si limitò a rispondere alle critiche pubblicando un opuscolo in cui prendeva per la prima volta posizione a favore della filosofia tomistica della cui rinascita sarebbe stato uno dei più precoci propugnatori (Osservazioni sulle opinioni filosofiche dei Signori De Bonald, De Maistre, De La Mennais e Laurentie..., Roma 1829). Il 9 dicembre 1828 fu nominato consultore della congregazione dei Riti. Il nuovo papa Pio VIII lo nominò l’11 dicembre dell’anno dopo esaminatore del clero romano.
Il 25 febbraio 1830 fu eletto preposito generale dell’Ordine dei chierici regolari. Quello stesso anno pubblicò una Lettera circolare per ridestare lo spirito di osservanza nell’Ordine. In un articolo pubblicato sulla Gazette de France il 7 febbraio 1831 si oppose alle tendenze più liberali del quotidiano L’Avenir di Lamennais; ma quando quest’ultimo venne a Roma nel 1832 per perorare la sua causa di fronte al papa, lo ospitò nel convento dei teatini a S. Andrea della Valle. Dopo la condanna delle dottrine dell’Avenir con l’enciclica Mirari vos (15 agosto 1832), si sottomise a Gregorio XVI e confermò la sua fedeltà all’infallibilità papale. Non confermato al generalato, divenne assistente (3 maggio 1833) e si ritirò a Modena presso i conti Riccini.
Le convinzioni legittimiste di Ventura furono fortemente scosse e liquidate in quegli anni, allontanandolo per sempre dal principe di Canosa. Tra l’agosto e il novembre del 1833, dettò il Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi per farla cessare, in cui sosteneva il nesso indissolubile tra la libertà dei popoli e l’emancipazione della Chiesa, assegnando ai liberali repubblicani del XIX secolo la stessa funzione dei barbari del V e VI secolo nel rinnovare il cristianesimo. Il testo restò però inedito.
Nel dicembre di quell’anno ritornò a Roma e fu ricevuto dal papa. Dopo la definitiva condanna di Lamennais con la Singulari nos (1834), Ventura si chiuse nel più stretto riserbo e si dedicò all’insegnamento e alla predicazione. Fu nominato di nuovo consultore del suo Ordine nel giugno del 1842.
Nel 1839 fondò la serie della Bibliotheca parva con cui diffondere nella gioventù le opere degli autori cristiani, e di cui uscì solo il primo volume. Pronunciò numerosi discorsi, panegirici ed elogi funebri. A uso dell’ottavario dell’Epifania per la conversione degli infedeli pubblicò l’opuscolo L’Epifania del Signore ovvero spiegazione del mistero della vocazione dei gentili alla Fede (Roma 1837) e più tardi in tre volumi l’opera Le bellezze della fede ovvero la felicità di credere in Gesù Cristo (Roma 1839-1842). Dopo una biografia edificante di Virginia Bruni (Roma 1840) e un libro sul mistero di Maria Vergine (La Madre di Dio Madre degli uomini, Roma 1841), pronunciò una conferenza all’Accademia Tiberina sul «principio fondamentale della filosofia» (dicembre 1844) e una serie di quaresimali di successo nella basilica Vaticana tra il 1841 e il 1847, poi pubblicati in parte postumi. La predicazione di Ventura si contraddistinse fin da queste date per il suo metodo incardinato nel commento delle scritture in senso spirituale e allegorico.
Con l’avvento al pontificato di Pio IX, poté riproporre le idee di conciliazione tra libertà e religione che aveva tenuto nascoste dopo le condanne degli anni Trenta. Rientrato a Roma da un soggiorno in Sicilia nel settembre del 1846, fu nominato esaminatore dei vescovi e assunse progressivamente un ruolo non trascurabile come consigliere ufficioso del papa nella stagione riformista inaugurata con l’amnistia del luglio precedente. Il 13 gennaio 1847, Pio IX predicò in S. Andrea della Valle alla presenza di Ventura, ostentando la vicinanza al teatino. Il 28 e 30 giugno Ventura pronunciò nella basilica teatina un Elogio funebre di Daniello O’Connell che fu pubblicato con il permesso del papa e fu tradotto in numerose lingue.
Ventura vi espose ampiamente le sue idee politiche: nel clima di crescente effervescenza popolare nella capitale propose l’alleanza tra religione cattolica e libertà come mezzo ideale per assicurare il trionfo della prima e la conquista della seconda; l’agitazione liberale come legittima se rispettosa dell’autorità pontificia. Concetti simili espresse in un panegirico di s. Gaetano Thiene pronunciato il 7 agosto (Pio III e Pio IX e la nuov’arma di Roma). Altri interventi andavano nella direzione di una partecipazione attiva del clero alla politica con l’obiettivo di ricondurre il popolo alla religione. In questo senso tentò di convincere il vecchio maestro Lamennais a riconciliarsi con il Papato, ma senza successo. Una lettera di solidarietà a Vincenzo Gioberti sulla pubblicazione del suo Gesuita moderno destò il fastidio del papa e Ventura dovette ritrattarla. Si adoperò per una collaborazione tra la S. Sede e il Regno di Francia, elaborando alcuni progetti di riforma.
Dopo lo scoppio della rivoluzione del 1848 a Palermo, compose La questione sicula nel 1848 sciolta nel vero interesse della Sicilia, di Napoli e dell’Italia (Roma 1848), per difendere la legittimità della rivolta e dell’autonomia costituzionale dell’isola. Dopo aver partecipato pubblicamente alla discussione sullo Statuto pontificio poi emanato il 14 marzo (Sopra una Camera dei Pari nello Stato pontificio: opinione, Roma 1848), accettò la carica di agente del governo provvisorio siciliano presso la S. Sede e propugnò una soluzione non sempre lineare ma di chiara impronta federalista e cattolica al problema italiano: il 23 marzo firmò un indirizzo per chiedere al papa di presiedere una dieta italiana in Roma; non riuscì però a ottenere l’accreditamento come commissario ufficiale del governo siciliano né il riconoscimento di quest’ultimo da parte della S. Sede. Moltiplicò gli sforzi in favore dell’indipendenza siciliana anche con la pubblicazione di altri opuscoli (Memoria per il riconoscimento della Sicilia come Stato sovrano ed indipendente, Roma 1848; Menzogne diplomatiche, ovvero esame dei pretesi dritti che s’invocano dal gabinetto di Napoli nella questione sicula, Palermo 1848).
Dopo l’allocuzione pontificia del 29 aprile 1848, firmò con altri rappresentanti degli Stati italiani un nuovo indirizzo per chiedere al papa di non abbandonare la causa nazionale. Contrario alla fuga di Pio IX da Roma il 24 novembre, tre giorni dopo pronunciò un Discorso funebre pei morti di Vienna in cui fece l’elogio degli insorti contro la repressione imperiale e riprese in termini più espliciti le idee già espresse l’anno prima, e cioè della necessità che la religione cattolica voltasse le spalle ai sovrani per consacrare un regime pienamente democratico che trovasse nella religione stessa la sua base cristianizzandosi come la barbarie medievale. Il discorso provocò polemiche nel campo cattolico attirandogli le accuse di demagogia. Il 31 maggio 1849 l’opuscolo fu condannato insieme ad altre opere di Gioberti e Antonio Rosmini.
Fu eletto alla Costituente, ma non vi prese parte. Dopo la proclamazione della Repubblica Romana rimase al suo posto di rappresentante siciliano perorando la soluzione di una repubblica presieduta pro tempore dal papa. Si schierò poi per l’astensione del clero dal governo temporale e, in una lettera del 12 giugno comparsa sul quotidiano Le National, deplorò l’intervento francese per ristabilire l’autorità del papa.
Ritiratosi a Civitavecchia fin dal maggio 1849, Ventura si imbarcò per Marsiglia alla fine di luglio. Poco dopo si stabilì a Montpellier, dove ebbe facoltà di celebrare e pubblicò una Lettres à monsieur L... T... ministre protestant in cui respinse le accuse di deviazione dogmatica. La sottomissione alla condanna del Discorso funebre pei morti di Vienna gli risparmiò l’espulsione dall’Ordine teatino. Riprese a predicare nella Francia meridionale e con rescritto papale gli si concesse anche la facoltà di impartire la benedizione con annessa indulgenza. Nel febbraio del 1851 si trasferì a Parigi, dove si dedicò alla predicazione e allo studio.
I suoi quaresimali riscossero successo e Ventura fu additato come il ‘Bossuet italiano’. Tra il 1851 e il 1856 pronunciò diversi cicli di conferenze nella chiesa della Maddalena e in quella di Saint-Louis d’Antin a Parigi e fra Strasburgo e il Basso Reno. Nel 1857 predicò la quaresima nella cappella imperiale delle Tuileries, prediche poi pubblicate con il titolo Le pouvoir politique chrétien (1858), in cui esortava Napoleone III a conformarsi a un cesarismo cattolico e popolare in contrapposizione a quello pagano, giustificando così il colpo di Stato del 2 dicembre 1852 e proponendo un confronto tra la resurrezione di Cristo e quella dell’Impero. Sistematizzò poi il suo pensiero filosofico e sociale, contrario al cartesianesimo e in favore del neotomismo, in Essai sur le pouvoir public (1859) e nel postumo La philosophie chrétienne (I-III, 1861). Del 1859 è anche Les délices de la Piété, sul culto della Vergine Maria.
Morì a Versailles il 2 agosto 1861. Le spoglie furono tumulate nella chiesa di S. Andrea della Valle in Roma nell’ottobre dello stesso anno.
Opere. La produzione di Ventura è sterminata e risulta ancora in parte dispersa. Per un’indagine bibliografica è imprescindibile F. De Lucia, Bibliografia del padre Ventura, I, Opere e scritti del padre Ventura, in Regnum Dei, XX (1964), 77-80, pp. 148-184. La raccolta più consistente dei suoi scritti omiletici e saggistici sono ancora le Opere complete, I-XXXI, Milano-Venezia 1852-1864, ma non esiste un’edizione critica dei testi finora dati alle stampe. Più di recente, è stato pubblicato a cura di E. Guccione il testo del 1833 Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare (Torino 1998), sulla base di una trascrizione già utilizzata da R. Rizzo, Teocrazia e neo-cattolicesimo. Genesi e sviluppi del pensiero politico del P. G. Ventura attraverso un manoscritto inedito, Palermo 1938: il manoscritto originale, un tempo conservato nella Biblioteca comunale di Agira (Enna), è andato perduto dopo la seconda guerra mondiale.
Fonti e Bibl.: Manoscritti e autografi di e su Ventura si trovano in numerosi depositi archivistici, non tutti finora censiti: Roma, Archivio generale dei teatini di S. Andrea della Valle, R 245-264 (diversi manoscritti solo in parte attribuiti risultano ancora non inventariati); Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Segr. Stato; Arch. Part. Pio IX, Oggetti vari, nn. 151, 303, 564, 597, 1605; Modena, Biblioteca Estense universitaria, Epistolario di Giuseppe Baraldi, Alfa.L.6.23; Autografoteca Campori, Corrispondenza varia di Giuseppe Baraldi, Beta.2.2.26-27; Biblioteca del seminario metropolitano L.A. Muratori, Manoscritti, Carteggio Baraldi, Corrispondenza con Ventura (30 lettere manoscritte).
In assenza di una biografia critica, si può ricorrere come primo orientamento a P. Cultrera, Della vita e delle opere del Rev. P. D. G. V., ex-generale dell’Ordine dei teatini, Palermo 1877; A. Rastoul, Le Père V., Paris 1906; F. Andreu, Padre G. V. Saggio biografico, in Regnum Dei, XVII (1961), 65-68, pp. 1-161; Ph. Boutry, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Rome 2002, pp. 764-766. Le bibliografie più fornite sono F. Andreu, Opere e scritti sul padre V., in Regnum Dei, XX (1964), 77-80, pp. 185-210; R. Marsala, G. V.: bibliografia, in G. V. e il pensiero politico d’ispirazione cristiana dell’Ottocento, a cura di E. Guccione, II, Firenze 1991, pp. 753-771. Tra gli studi su questioni specifiche, cfr. W. Maturi, Il principe di Canosa, Firenze 1944, ad ind.; F. Andreu, Il P. G. V. di Raulica e i Gesuiti, in Archivum Historicum Societatis Iesu, XXIII (1954), 46, pp. 195-233; A. Baviera Albanese, La corrispondenza diplomatica del p. G. V., incaricato del Governo provvisorio siciliano a Roma (31 marzo 1848-9 aprile 1849), in Miscellanea di studi in onore del prof. Eugenio Di Carlo, II, Trapani 1960, pp. 7-60; G. Facciponte, Padre G. V. e la Sicilia nel 1848-49, in Regnum Dei, XVII (1961), 65-68, pp. 162-214; R. Colapietra, L’insegnamento del padre V. alla Sapienza, ibid., pp. 230-259; Id., La chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia 1963, ad ind.; S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia (1820-1830), Brescia 1968, ad ind.; M. Tesini, G. V. La Chiesa nell’età delle rivoluzioni, Roma 1988; G. V. e il pensiero politico d’ispirazione cristiana dell’Ottocento, a cura di E. Guccione, I-II, Firenze 1991; C. Giurintano, Aspetti del pensiero politico di G. V. nel “De jure publico ecclesiastico”, in Studi in memoria di Gaetano Falzone, a cura di G. Tricoli, Palermo 1993, pp. 239-258; Ead., Due pensatori politici a confronto: G. V. critico di Jacob Anton Zallinger, in Momenti di storia e pensiero politico in Sicilia. Scritti in ricordo di Ottavio Ziino Tortorici, Palermo 1996, pp. 81-98; P. Pastori, G. V. di Raulica e la Costituzione napoletana del 1820, Lecce 1997; G.M. Croce, Mauro Cappellari censore di G. V. Una problematica edizione romana dell’Elogio di Pio VII, in Monastica et humanistica. Scritti in onore di Gregorio Penco O.S.B., a cura di G.B. Trolese, II, Cesena 2003, pp. 855-875; C. Giurintano, Il progetto d’indipendenza della Sicilia in Francesco e G. V., in Tradizione, rivoluzioni, progresso. Studi in onore di Paolo Pastori, a cura di S. Ciurlia, I, Sesto Fiorentino 2012, pp. 553-575; G. Scarpato, Le fatiche di un giornalista reazionario. G. V. e l’«Enciclopedia ecclesiastica» (1821-1822), in Studi storici, LVIII (2017), n. 3, pp. 603-643; C. Giurintano, G. V. e Napoleone III: «la résurrection de l’Empire comme celle du jour de Pâques», in Storia e politica, XI (2019), 1, pp. 58-89.