PIZZI, Gioacchino
PIZZI, Gioacchino. – Nacque a Roma l’11 settembre 1716 da Gaetano e da Antonia Scaccieri, bolognese. Di famiglia modesta, compì i primi studi presso le Scuole pie. La propensione per la poesia lo indusse ad avvicinarsi all’Arcadia (con il nome di Nivildo Amarinzio) e al suo custode, l’abate Francesco Lorenzini, di cui cominciò a frequentare la casa seguendo un magistero che prevedeva lo studio dei classici oltre a un’ampia formazione scientifico-filosofica secondo il modello di riforma letteraria di cui si era fatto promotore Gian Vincenzo Gravina. Divenne segretario di Alessandro Albani per passare poi alle dipendenze di monsignor Marco Antonio Colonna, allora maggiordomo pontificio; rafforzò, così, la propria posizione in quella corte, in particolar modo sotto i pontificati di Benedetto XIV e Clemente XIII, accrescendo la sua influenza in Arcadia: sotto il custodiato di Michele Giuseppe Morei (1743-66) ottenne ricche elargizioni per restaurare il bosco e il teatro parrasio e ricoprì gli incarichi di collega e sottocustode. Giuseppe Brogi, succeduto a Morei, lo nominò vicecustode indicandolo quale suo successore: il 20 agosto 1772 i cento arcadi elettori, designati da Clemente XIV, lo elessero con voti «concordi».
A questa prima fase appartengono testi di ispirazione occasionale, legati, per lo più, alle relazioni diplomatiche dei cardinali presso i quali fu impiegato: il 20 gennaio 1743 fu eseguito a palazzo di Spagna il componimento per musica in onore di Carlo di Borbone; il 6 gennaio 1745 fu messo in scena il testo, scritto su commissione di Alessandro Albani, per la nomina a imperatore di Francesco I, marito di Maria Teresa, cui fu offerta, il 17 dicembre del 1747, una cantata eseguita su libretto di Pizzi, già membro della Crusca e dell’Académie des belles lettres di Parigi; numerosi suoi componimenti furono stampati nelle Rime degli Arcadi, tomi X (Roma 1747), XI (Roma 1749), XII (Roma 1759), XIII (Roma 1780) e XIV (Roma 1781). In questo periodo si concentra la produzione drammaturgica: il dramma per musica Eumene (1754), i drammi sacri Il roveto di Mosè e Per la festa dell’Assunzione di Maria Vergine (1755 e 1757) e l’oratorio La gara divota (1763). Del 1772 è la Dissertazione sopra un antico cameo indirizzata all’Accademia di belle arti di Parigi.
I primi anni del custodiato di Pizzi si caratterizzarono per una forte ripresa delle attività dell’Accademia, che tornò a esercitare un capillare controllo sulle colonie ed estese la propria influenza con tredici nuove fondazioni. Le nuove colonie furono: Enguina a Gangi (Palermo) (1772); Vatrenia a Imola (1773); Litana a Lugo (1773); Properziana ad Assisi (1774); Antillana a Santo Domingo (1777); Fossanense a Fossano in Piemonte (1778); Rediviva ad Albano (1779); Sonziaca a Gorizia (1780); Erculea a Modena (1781); Mergellina a Napoli (1781); Aruntica a Carrara (1783); Focense a Marsiglia (1786); Chiabreresca a Savona (1787). Nivildo si impegnò anche nelle attività dell’Accademia di S. Luca scrivendo un poema in sette canti, il Tempio del buon gusto, recitato nel corso delle adunanze per il concorso di disegno fra il 1773 e il 1779. Del 1778 è il poema La visione dell’Eden.
La sua capacità di farsi interprete efficace delle esigenze culturali del momento, testimoniata dallo sforzo di dare all’Italia una capitale letteraria e di rispondere in tal modo alle istanze di rinnovamento e autonomia del ceto intellettuale che avevano trovato in Clemente XIV un interlocutore inatteso, fu già osservata dal primo biografo che legò la nascita di un gran numero di nuove colonie alla forza attrattiva dell’Arcadia romana di quegli anni, quella «seconda Arcadia» (cfr. Dionisotti, 1948) che, proprio durante il custodiato di Pizzi, annoverò fra i suoi membri Aurelio Bertola (dal 1775), Vincenzo Monti (dal 1775), Ippolito Pindemonte (dal 1778), Vittorio Alfieri (dal 1783), Melchiorre Cesarotti (dal 1784) e lo stesso Johann Wolfgang von Goethe (accolto in accademia nel gennaio 1787 con il nome di Megalio Melpomenio), per limitare l’elenco ai soli maggiori.
Il legame fra la politica culturale di Clemente XIV e il successo della riforma arcadica di Nivildo, sottolineato dagli studi più recenti, è avvalorato dal profondo rapporto che Pizzi instaurò, fin dai primi anni del suo custodiato, con Giovanni Cristofano Amaduzzi, mentore di Bertola a Roma e fautore della coppia Maria Maddalena Morelli-Luigi Gonzaga, protagonista del più celebre scandalo dell’Arcadia di questi anni. La fase di forte rinnovamento dell’Accademia è infatti da connettere alla vicenda del pontificato Ganganelli, durante il quale fu sciolta la Compagnia di Gesù con un atto che sembrò aprire nuovi spazi al ceto intellettuale e inedite prospettive di intervento delle accademie nell’organizzazione culturale dello Stato della Chiesa.
In tale contesto Pizzi redasse il Ragionamento sulla tragica e comica poesia, dato alle stampe l’anno della sua nomina a custode d’Arcadia. In esso veniva sottratta importanza alla tradizione idillico-pastorale a vantaggio di una più decisa apertura alla scienza e alla filosofia. Una riflessione estetica che fu sviluppata all’interno delle due raccolte poetiche compilate per celebrare la coronazione di Corilla: l’Adunanza tenuta dagli Arcadi per la coronazione della celebre pastorella Corilla Olimpica (Roma 1775) e gli Atti della solenne coronazione fatta in Campidoglio (Parma 1779).
L’avvenimento che decretò in maniera esplicita l’inizio di questo nuovo corso dell’Arcadia fu, dunque, la coronazione arcadica (16 febbraio 1775) e, quindi, capitolina (31 agosto 1776) della Morelli, nella cui preparazione fu coinvolto il cenacolo di letterati che si era fatto erede della politica culturale di Ganganelli (morto nel settembre del 1774). Amaduzzi entrò in Arcadia proprio in quell’occasione e su esplicito invito di Pizzi, Bertola legò il suo esordio romano e arcadico all’edizione delle Notti clementine (un elogio in sestine del pontefice appena scomparso) e Luigi Gonzaga fu autore del Letterato buon cittadino, discorso letto in Arcadia il 6 maggio 1776 e stampato nello stesso anno con la prefazione del custode.
Le conseguenze della coronazione misero in luce le difficoltà del progetto cui Pizzi aveva dato voce: la Protesta contro il custode, sottoscritta l’8 agosto del 1776 da Gaetano Golt e Giuseppe Petrosellini, e le scissioni delle Accademie romane dei Forti e degli Aborigeni esplicitarono le resistenze agli orientamenti del custode che il 4 settembre 1781 scrisse ad Angelo Mazza: «Corilla fu per l’Arcadia una Pandora la quale rovesciò sopra di me l’urne de’ mali» (Parma, Biblioteca Palatina, fondo Micheli Mariotti, cass. II, Carteggio Pizzi-Mazza, c. 39v).
Gli sviluppi fallimentari dell’affaire indussero Pizzi a indirizzare le sue esigenze riformistiche verso la ripresa delle relazioni con le colonie, soprattutto quelle delle aree settentrionali, come risulta dal carteggio con Mazza. Nel 1780 e nel 1781 uscirono, così, il XIII e il XIV volume delle Rime degli Arcadi, nei quali esse sono particolarmente rappresentate.
Se da un lato le raccolte offrono un «saggio del nuovo gusto poetico dell’accademia» (Baragetti, 2012, p. 114), dall’altro esprimono la mediazione attraverso cui Pizzi ricostruì, nell’ultimo decennio del suo custodiato, un profilo comune dell’Arcadia, basato sullo specifico neoclassicismo di cui essa si fece promotrice a partire dalla raccolta in onore di Anton Raphael Mengs (Adunanza tenuta dagli Arcadi in morte del cavaliere A.R. Mengs in Arcadia Dinia Sipilio, Roma 1780). Testimone di questo ulteriore sviluppo dell’Accademia è la raccolta Festa pastorale celebrata dagli Arcadi nel fausto giorno in cui nella sala del serbatoio di Roma fu collocata la dipinta effige dell’inclito Meronte abate Melchiorre Cesarotti (Roma 1785).
Pizzi morì a Roma l’8 settembre 1790, in seguito a una malattia cardiaca, e venne sepolto per cura della moglie, Teresa Buongiovanni, nella chiesa di S. Nicola in Arcione, emblema del classicismo promosso a Roma dall’Arcadia e dall’Accademia di S. Luca.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca Angelica, Atti arcadici. Nivildo Amarinzio; ms. 31 (copialettere di Pizzi); Parma, Biblioteca Palatina, fondo Micheli Mariotti, cass. II, Carteggio Pizzi-Mazza; Savignano sul Rubicone, Biblioteca dell’Accademia dei Filopatridi, Fondo Amaduzzi, voll. 4, 6, 7, 30; Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla Olimpica. 1775-1792, a cura di L. Morelli, Firenze 2000; G.C. Amaduzzi - A. De’ Giorgi Bertola, Carteggio 1774-1791, a cura di M.F. Turchetti, Roma 2005. Biografie: A. Battaglini, Discorso, in Adunanza tenuta dagli Arcadi in dì 24 marzo 1791, Roma 1791, pp. 3-28; T. Matteucci, L’Apocalisse in Arcadia, Firenze 2001, pp. 29-39; S. Baragetti, I poeti e l’Accademia. Le «Rime degli Arcadi» (1716-1781), Milano 2012, pp. 108-143. Saggi: C. Dionisotti, Ricordo di Cimante Micenio, in Atti e memorie d’Arcadia, s. 3, I (1948), 3-4, pp. 94-121; L. Felici, Relazioni fra l’Arcadia di Roma e la colonia parmense, in Atti del Convegno «Settecento parmense nel II centenario della morte di C.I. Frugoni», Parma 1969; Id., L’Arcadia romana fra illuminismo e neoclassicismo, in Atti e memorie d’Arcadia, s. 3, V (1971), 2-3, pp. 167-182; A. Cipriani, Storia politica dell’Arcadia settecentesca, ibid., pp. 101-166; La colonia Renia. Profilo documentario e critico dell’Arcadia bolognese, a cura di M. Saccenti, Modena 1988; Il III centenario d’Arcadia, Atti del Convegno... Roma... 1991, in Atti e memorie d’Arcadia, s. 3, IX (1991-94), 2-4; A. Vergelli, Letteratura e costume in Arcadia attraverso l’epistolario di G. P. (1772-1790), in Roma moderna e contemporanea, I (1993), 3, pp. 155-174; Aequa potestas: le arti in gara a Roma nel Settecento, a cura di A. Cipriani, Roma 2000; M.P. Donato, Accademie romane. Una storia sociale (1671-1824), Napoli 2000; A. Nacinovich, «Il sogno incantatore della filosofia». L’Arcadia di G. P., Firenze 2003; L’età di Clemente XIV. Religione, politica, cultura, Atti del Convegno, Sant’Arcangelo di Romagna 7-8 ottobre 2005, a cura di M. Rosa - M. Colonna, Roma 2010; B. Alfonzetti - S. Canneto, L’Accademia dell’Arcadia, in Atlante della letteratura italiana, a cura di S. Luzzatto - G. Pedullà, II. Dalla Controriforma alla Restaurazione, a cura di E. Irace, Torino 2011, pp. 591-596.